Il mondo arabo allo specchio

di Thomas L. Friedman

dal New York Times del 19 settembre. Ripreso e tradotto da  La Repubblica  del 20 settembre
Lunedì il responsabile della redazione del Times al Cairo ha riportato le parole di uno dei manifestanti egiziani fuori dall’ambasciata degli Stati Uniti: giustificando le violenti proteste della settimana scorsa, Khaled Ali ha dichiarato: «Noi non insultiamo nessun profeta, né Mosé, né Gesù. Perché dunque non possiamo esigere che Maometto sia rispettato?». Ali, un operaio tessile di 39 anni, reggeva un cartello riportante la scritta in inglese “Chiudi il becco, America”. Ha concluso dicendo: «Il presidente è Obama, ed è lui che dovrebbe chiedere scusa». Sulla stampa ho letto parecchi commenti di questo stesso tenore espressi da vari dimostranti, e mi trovo in grande difficoltà. A me non piace che si offenda la religione di nessuno, ma vanno dette due cose, e molto chiaramente. Con ancora maggiore chiarezza di quanto abbia fatto il team di collaboratori del presidente Obama. La prima è che un’offesa — per quanto ottusa e malfatta come il filmato anti-islamico messo su YouTube che ha scatenato tutto ciò — non dà alcun diritto a chicchessia di assaltare le ambasciate e assassinare diplomatici innocenti. Non è questo il comportamento che più si addice a un popolo che si autogoverna. Non ci sono giustificazioni che tengano per una cosa del genere. È semplicemente vergognoso. La seconda è che prima di pretendere le scuse del nostro presidente, Ali e gli altri giovani egiziani, tunisini, libici, yemeniti, pachistani, afgani e sudanesi che sono scesi in piazza farebbero meglio a guardarsi allo specchio, oppure ad accendere la televisione. Potrebbero così vedere quanta bile sciovinista alcuni dei loro stessi mezzi di comunicazione stiano continuando a riversare — sulle emittenti tv via satellite, sui siti web, o nelle librerie improvvisate sui marciapiedi fuori dalle moschee — contro sciiti, ebrei, cristiani, sufi e chiunque altro non sia sunnita, integralista o musulmano. Esistono individui nei loro Paesi per i quali odiare “l’altro” è diventato motivo di identità e una legittimazione collettiva per non essere riusciti a realizzare in pieno le loro potenzialità. Il Memri (Middle East Media Research Institute, Istituto di ricerca sui media mediorientali) è stato fondato nel 1998 a Washington da Yigal Carmon, ex consigliere per l’antiterrorismo del governo israeliano, con lo scopo di «colmare il divario espressivo esistente tra Medio Oriente e Occidente, monitorando, traducendo e studiando i media arabi, iraniani, urdu e pashtu, come pure i testi scolastici e i sermoni dei religiosi». Di Memri ammiro molto il fatto che non traduce soltanto i contenuti sgradevoli, ma anche i commentatori arabi liberali, riformisti e coraggiosi. Ho chiesto se potevano inviarmi un campione dei filmati che istigano all’odio regolarmente trasmessi dalle emittenti arabo-musulmane. Visionandoli ho trovato, per esempio, per quanto riguarda i cristiani, Hasan Rahimpur Azghadi, del Consiglio supremo iraniano per la rivoluzione culturale, che nel 2007 affermava che il cristianesimo è «un fetido cadavere, sul quale devi continuare a versare incessantemente acqua di colonia e profumo e lavarlo per tenerlo pulito ». Per Sheik Al-Khatib al-Baghdadi nel 2011 era «lecito versare il sangue dei cristiani iracheni. Ed è un dovere combattere contro di loro nel jihad». C’era poi Abd al-Aziz Fawzan al-Fawzan, professore saudita di legge islamica, che nel 2005 su Al-Majd TV (Arabia Saudita), incitava all’«odio convinto» verso i cristiani. E infine, l’ex imam della moschea di Manhattan, Imran Nazar Hosein, il 2 luglio 2012, affermava che: «Gli infedeli cristiani — l’Anticristo — ormai stanno quasi dominando il mondo». Anche gli sciti non sono risparmiati: il religioso egiziano Muhammad Hussein Yaaqub, il 13 giugno 2012, ha affermato che «Mohammed Morsi, il candidato dei Fratelli musulmani alla presidenza dell’Egitto, mi ha detto che per l’Islam gli sciiti sono più pericolosi degli ebrei». Nell’agosto dello scorso anno un altro religioso egiziano, Mazen al-Sirsawi ha sostenuto che «se Allah non avesse creato gli sciiti con fattezze umane, sarebbero stati asini». A marzo 2012 risalgono invece una serie di filmati del gruppo pachistano Sipah-e-Sahaba dove si dice, tra l’altro che «gli sciiti sono una sottorazza che discende dagli ebrei». Di ebrei si parla anche in un articolo pubblicato a settembre sul sito web dei Fratelli Musulmani che incita alla jihad contro l’America e contro, appunto, gli ebrei, definiti «discendenti dalle scimmie e dai maiali ». Il religioso pachistano Muhammad Raza Saquib Mustafai si è spinto, nell’agosto di quest’anno, ad affermare che: «Quando gli ebrei saranno stati spazzati via, il mondo sarà purificato e il sole della pace splenderà sul mondo intero». Mentre Ismail Ali Muhammad, studioso di Al-Azhar, in un intervento del febbraio 2012, ha detto che: «Gli ebrei sono l’origine del male in tutte le società umane». Altra religione nel mirino è quella sufi. In Libia un tempio dedicato a un santo sufi musulmano è andato in parte distrutto e, come racconta un report della Bbc del 25 agosto scorso, si tratta dell’ultimo di una serie di attacchi la cui responsabilità è stata attribuita agli islamisti salafiti. Dato che sono un ebreo che ha vissuto e lavorato nel mondo musulmano, so che queste manifestazioni di intolleranza rappresentano soltanto una faccia della medaglia, e che esistono e sono professate anche opinioni e correnti islamiche profondamente tolleranti. Le loro società sono complesse. Questo è il punto: anche l’America è una società complessa. Cerchiamo dunque di porre fine una volta per tutte all’assurdità secondo la quale questo è il “ nostro” problema e l’unica questione è capire come “ purificare” il nostro operato. Come dar torto a quel manifestante del Cairo? Dovremmo rispettare le religioni e i profeti altrui. Ma naturalmente questo vale per tutti. Il nostro presidente e i nostri giornali più importanti hanno ininterrottamente condannato ogni discorso che istigasse all’odio nei confronti delle altre confessioni religiose. E i vostri? Traduzione di Anna Bissanti © 2012 New York Times News Service Distributed by The New York Times Syndicate

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