Washington vuole uno scudo antimissile in Asia

25 agosto – Gli Stati Uniti tentano il bis nel campo della difesa globale contro i missili balistici. Dopo aver definito con gli alleati europei la costituzione di una rete radar e di armi tesi ufficialmente a contrastare i missili iraniani Washington punta ora a Oriente con l’obiettivo, altrettanto ufficiale, di proteggere gli alleati del Pacifico dai missili balistici nordcoreani.  Il progetto dello scudo asiatico dell’Amministrazione Obama è stato rivelato oggi dal Wall Street Journal   che ne sottolinea anche il ruolo di controllo e deterrenza del potenziale offensivo cinese la cui aggressività ha messo in allarme molti Paesi dell’area. Il programma fa parte di uno scudo di difesa in grado di coprire vaste aree dell’Asia sulla falsariga di quello attuato in Europa e che ha destato le aspre critiche di Mosca. Pochi i dettagli resi noti ma il sistema di allarme precoce verrebbe incentrato su tre radar prodotti dalla Raytheon ( e simili a quelli già schierati in Europa e Medio Oriente) in grado di scoprire immediatamente il lancio di missili balistici e di seguirne la traiettoria a vantaggio dei missili antimissile. Uno esiste già ed è stato installato nel 2006 dagli statunitensi nella provincia settentrionale giapponese di Aomori per tenere d’occhio i lanci dei missili Taepodong di Pyongyang. Un altro radar in Banda X americano verrebbe installato nel Giappone meridionale, sull’isola di Okinawa (che già ospita basi aeree e dei marines) e un altro in un Paese non specificato del sud-est asiatico, forse le Filippine che hanno chiesto a Washington di riprendere il possesso delle vecchie basi di Clark Fiekd e Subic Bay  in seguito alle tensioni con i cinesi per il controllo dell’arcipelago di Scarborough. L’espansionismo cinese sugli arcipelaghi del Pacifico Occidentale, ricchi di materie prime e rivendicati da gran parte degli Stati rivieraschi, sembra favorire il progetto statunitense e del resto basta osservare una mappa per notare che la dislocazione dei tre radar copre le possibili direttrici di lancio dei pochi missili balistici nordcoreani ma consente anche di controllare i ben più consistenti arsenali missilistici cinesi da nord, est e sud integrando sul continente asiatico i sistemi di allarme strategici satellitari con i quali gli Stati Uniti tengono costantemente d’occhio gli arsenali missilistici e atomici di Russia e Cina. La necessità statunitense di disporre di radar e sensori più vicini al territorio cinese si è fatta stringente dopo che Pechino ha sviluppato versioni antinave dei missili balistici utilizzati per colpire le portaerei statunitensi della Flotta del Pacifico. La componente armata dello scudo antimissile asiatico, cioè i missili antimissile, sarà imbastita su sistemi d’arma di produzione statunitense, a differenza di quello europeo che vedrà l’integrazione tra sistemi europei e made in USA. In mare vi saranno le batterie di missili Standard SM3 imbarcati sugli  incrociatori classe Ticonderoga e i cacciatorpediniere classe Arleigh Burke statunitensi, quelli giapponesi classe Kongo e i nuovi cacciatorpediniere sudcoreani. Alla stessa arma è interessata anche la marina di Taiwan che da anni deve fare i conti con la minaccia di un pesante bombardamento missilistico cinese che sulle coste di fronte all’isola schiera circa 600 missili balistici a medio raggio.  Batterie antimissile mobili del tipo mobile Terminal High Altitude Area Defense (THAAD) costituiranno invece la componente antimissile basata a terra e il Pentagono sta valutando appositamente di ordinare altri sistemi di questo tipo oltre ai 6 già in acquisizione. Lo “scudo” comporta inoltre importanti  ricadute industriali poiché permette di condividere con gli alleati asiatici l’acquisizione di radar e armi interamente prodotti dall’industria americana.

link:

http://online.wsj.com/article/SB10000872396390444812704577605591629039400.html
www.ilsole24ore.it

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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