Nota severamente polemica sulla linea della Farnesina in Libano e Siria

da Il Foglio  del 31 ottobre 2012 di Carlo Panella

Se in Italia vi fosse un ministro degli Esteri, non avremmo letto il surreale comunicato del comitato interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (Cisr) sulla situazione in Siria – e quindi in Libano – diramato il 26 ottobre. Nella riunione di quel comitato infatti, Mario Monti e i ministri della Difesa, dell’Interno, della Giustizia e dell’Economia – se solo in Italia vi fosse un ministro degli Esteri – sarebbero infatti stati informati della improrogabile necessità di una rivisitazione radicale del ruolo del contingente italiano di Unifil, in Libano. I responsabili istituzionali della nostra sicurezza sarebbero stati avvertiti dei gravissimi pericoli che il contagio della crisi siriana, già in atto, comporta per la stabilità del Libano e quindi per la sicurezza e la vita stessa di più di 1.100 militari italiani di stanza nel sud del paese. Il contagio libanese della sanguinosa guerra civile siriana è infatti ormai irreversibile ed è perfettamente rappresentato nell’allarme del leader cristiano libanese Samir Geagea: “In Libano la macchina di morte si è rimessa in moto”. E’ peraltro appurato che Hezbollah libanese – il cui disarmo sarebbe il fine principale di Unifil – partecipa attivamente alla repressione in Siria, anche bombardando dalla valle della Bekaa la città siriana di Qusair, controllata dai ribelli anti regime. I nostri soldati in Libano operano dunque in un teatro nettamente, radicalmente difforme da quello del 2006, quando iniziò l’ultima fase della missione Unifil. Ma nulla di tutto ciò è stato rappresentato da nessuno a Mario Monti e ai ministri e quindi il Cisr, si è espresso sulla crisi siriana in termini lunari: “Convinto appoggio italiano all’impegno internazionale per una soluzione pacifica del conflitto in Siria”. Il tutto, nelle stesse ore in cui le agenzie davano conto dell’ennesimo, misero, fallimento dell’impegno internazionale con il mancato rispetto della ventesima tregua mediata dall’Onu (151 morti in 24 ore e bombardamento aereo della periferia di Damasco). Ma c’è ancora di peggio, forse. Se in Italia vi fosse un ministro degli Esteri, l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata non avrebbe comunicato una ventina di giorni fa alle commissioni Esteri riunite del Parlamento che Unifil continua a garantire gli sforzi per la consegna delle armi da parte di Hezbollah all’esercito libanese, come da mandato della risoluzione 1.701 dell’11 agosto 2006 e per “mettere in atto i provvedimenti che impongono il disarmo dei gruppi armati in Libano”. Affermazione surreale, totalmente, radicalmente smentita dai fatti e platealmente irrisa poche ore dopo quando Hezbollah ha addirittura lanciato – rivendicandolo! – un drone armato sul cielo di Israele, prontamente abbattuto. Pochi giorni dopo, un attentato in piena Beirut, ha ucciso il capo dei servizi segreti militari, il generale Wissam el Hassan, dopo che ad aprile era fallito l’attentato contro Samir Geagea, leader del partito anti siriano Forze libanesi, come era fallito l’attentato contro il deputato anti siriano Boutros Harb. Persino il leader dell’opposizione Saad Hariri è costretto a vivere in esilio a Parigi per evitare di fare la fine del padre ucciso da un network libanese-siriano di cui Hezbollah era ed è l’asset principale. La conclusione della vacanza di gestione della Farnesina è che tra poche settimane il Parlamento sarà chiamato a deliberare il rifinanziamento della missione Unifil – coperta sino al 31 dicembre – e che lo farà sulla base di informazioni completamente false. Ma, se in Italia vi fosse un ministro degli Esteri che si rendesse conto della gravità della crisi libanese incombente, questi chiederebbe al Parlamento il mandato per una incisiva discussione in sede Onu a favore di una delle due opzioni possibili. O una radicale modifica delle regole d’ingaggio di Unifil – impossibile oggi da realizzare – sì da garantire l’effettivo disarmo di Hezbollah, quantomeno nel sud del Libano. O un rapido disimpegno, per evitare che Unifil si trovi ostaggio del deflagrare di una crisi sempre più probabile, anzi certa. Una iniziativa forte, che rompa l’inerzia onusiana, che nulla sa fare a fronte dei 30.000 morti e 20.000 dispersi in Siria (più che in tutte le guerre nella ex Yugoslavia) e che ancor meno fa e ha fatto in questi sei anni per arrivare all’effettivo disarmo di Hezbollah. Una iniziativa diplomatica decisa che affronti anche il difficile nodo del raccordo con Israele, favorevole a uno scenario che può vedere, da qui a poco – soprattutto in caso di un suo “strike” contro l’Iran – il contingente Unifil letteralmente ostaggio di un conflitto armato tra Israele e Hezbollah. Discutere in tutte le istanze, al più presto, degli scenari libanesi è indispensabile e urgente. Se non lo si farà, il prezzo politico e di vite umane che l’Italia rischia di pagare può essere drammatico.

Foto:  caschi blu italiani in Libano  (G. Gaiani)

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