L’alpino Chierotti ucciso da militari afghani: la difesa non lo aveva detto e tace

La credibilità dell’informazione militare ha sempre traballato tra silenzi e censure d’ispirazione politica, ma oggi sembra tracollare. Dopo i dati resi noti “al ribasso” sui costi dei jet F-35 e i silenzi sui costi “a consuntivo” della parata del 2 giugno (ancora non pervenuti a quasi sei mesi dall’evento), l’ultimo grave episodio riguarda la morte del caporale Tiziano Chierotti, il cinquantaduesimo caduto italiano in Afghanistan ucciso il 25 ottobre da militari afghani in uno scontro a fuoco nel villaggio di Siav, a 20 chilometri dalla base del Secondo reggimento alpini a Bakwa (provincia di Farah). L’attacco che ha ucciso Chierotti e ferito altri tre alpini  è stato scatenato  da due militari afghani rinnegati, talebani infiltrati che hanno teso un agguato alla pattuglia italiana. Lo racconta sul quotidiano Il Foglio  il reporter Fausto Biloslavo in un dettagliato articolo dal villaggio di Siav nel quale cita le testimonianze dei militari che hanno partecipato al combattimento. Un reportage che completa e in parte smentisce la scarna versione ufficiale fornita dalle fonti ufficiali militari che avevano riferito di un attacco condotto da un gruppo di insorti. “I talebani hanno attivato due soldati per uccidere degli italiani” ha dichiarato il maggiore Gul Ahmad, capo della polizia afghana di Bakwa raccontando come due militari afghani (dei quali cita il nome) del presidio di Siav abbiano atteso l’arrivo degli italiani per attaccarli con lanciarazzi e raffiche di mitragliatrice in un’imboscata che ha visto anche l’intervento di gruppi di insorti appostati nelle vicinanze. Un punto importante perché a Siav c’è un avamposto controllato da un plotone di soldati dell’Afghan National Army. Impossibile quindi per i talebani appostarsi nel villaggio o nelle sue vicinanze senza che i soldati se ne accorgessero ed è quindi più che lecito sospettare della complicità dei soldati con gli insorti.  Nella sparatoria durata una quindicina di minuti uno dei militari rinnegati è stato ucciso ma l’altro è riuscito a fuggire con i miliziani. Il reportage di Biloslavo, che Analisi Difesa ha ripreso dal Foglio, è ricco di dettagli e testimonianze che fanno onore agli uomini del Secondo plotone che hanno risposto al fuoco nemico senza coinvolgere gli abitanti del villaggio. L’aspetto più grave e preoccupante riguarda però l’ormai palese inaffidabilità delle fonti ufficiali italiane che, a Herat come a Roma, risultano ancora una volta  incomplete, lacunose o restìe a fornire informazioni e dettagli circa gli scontri che coinvolgono le nostre truppe. Non è la prima volta che fonti giornalistiche fanno luce su scontri e caduti italiani nella guerra afghana sulla quale tutti i governi, incluso quello dei tecnici, hanno cercato di tenere nascosti aspetti spinosi che nulla hanno a che vedere con il segreto militare. Certo la scusa per le omissioni, come già in passato, è quella del silenzio imposto dall’inchiesta in corso ma si tratta evidentemente di una cortina fumogena. Quest’anno statunitensi, britannici, francesi e australiani (che pure hanno aperto inchieste sui singoli avvenimenti)  hanno reso noto senza censure i dettagli delle uccisioni di una sessantina di loro soldati colpiti dagli “alleati” afghani. Del resto la notizia che Chierotti è stato ucciso da militari afghani non influisce in nessun modo sullo sviluppo dell’inchiesta. Roma sembra voler nascondere episodi che altri contingenti alleati raccontano dettagliatamente. Episodi  di “green on blue” che già in passato avevano provocato almeno un morto e una mezza dozzina di feriti tra il nostro contingente. Un silenzio spiegabile forse perché parlare dei talebani in uniforme afghana significherebbe ammettere che le truppe di Kabul non sono pronte a rilevare le forze italiane in rapida ritirata dalle zone più calde dell’Ovest. Gli “insider attacks” smentiscono la favola della transizione ordinata tra alleati e forze di Kabul e  qualcuno preferisce tacerli. Si tace forse per non contraddire  il ministro Giampaolo Di Paola che l’11 ottobre aveva definito questi attacchi “in diminuzione” nonostante quest’anno abbiano raggiunto il record rispetto agli 11 anni precedenti di presenza internazionale in Afghanistan. O forse per non contraddire le numerose dichiarazioni di generali e ministri (non solo italiani) che negli ultimi tempi hanno celebrato  l’accresciuta efficienza dell’esercito di Kabul. Del resto proprio il reportage di Biloslavo spiega che a dicembre i nostri alpini se ne andranno da Bakwa lasciando la base di Camp Lavaredo a un centinaio di soldati afghani chissà quanti dei quali in combutta con talebani e milizie narcos. Il caso Chierotti costituisce una “waterloo” per l’informazione militare (che stranamente molti media non hanno rilevato) al tempo stesso paradossale e ridicola. Paradossale che ufficiali afghani raccontino senza reticenze degli insider attacks dei quali le autorità italiane preferiscono non parlare. Inaccettabile che le nostre forze armate, in Afghanistan per difendere la democrazia, debbano incassare lezioni di trasparenza e comunicazione dai colleghi afghani. Ridicola perché lo stesso giorno che il Foglio pubblicava il reportage contenente la verità sulla morte dell’alpino 24enne dal comando di Herat veniva diffusa la notizia che i militari padri di famiglia di stanza a Farah hanno appuntato sulla mimetica un piccolo cuore con il tricolore e la scritta “il mio papà è in Afghanistan”.  Ogni commento pare francamente superfluo.

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http://planetoplano.blogspot.it/2012/12/when-green-shoots-blue.html

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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