LE DONNE IN GUERRA

di Walter E. Williams  da Lew Rockwell.com
(Traduzione di Leonardo Pavese)

Un funzionario di lunga data del Ministero della Difesa (degli Stati Uniti) ha dichiarato che la proibizione dell’impiego delle donne in combattimento dovrebbe essere eliminata, perché l’obiettivo delle forze armate è di “creare un terreno più equo e neutro dal punto di vista sessuale”. Avrei creduto che l’obiettivo delle forze armate fosse invece quello di disporre delle forze da combattimento le più toste e cattive possibili. Ma, visto che ci siamo, esaminiamo quest’idea del “terreno più equo e neutro.” Il test di idoneità fisica all’addestramento iniziale, dell’Esercito degli Stati Uniti, consiste di una prova in tre stadi per valutare la resistenza. I requisiti minimi, per i maschi dai diciassette ai ventun’anni di età, sono: trentacinque flessioni sulle braccia, quarantasette flessioni del busto (cioè quando ci si mette a sedere da una posizione supina) e una corsa di due miglia (3,2 chilometri) in un tempo non superiore ai 16’ 36’’. Per le femmine della stessa età, il requisito minimo è di 13 flessioni sulle braccia, 47 flessioni del busto e un tempo massimo sui 3,2 chilometri di 19’42’’. Ma perché tanta differenza nei requisiti? Il “USMC Women in the Service Restrictions Review”, cioè un’inchiesta del Corpo dei Marines riguardo alle limitazioni delle donne in forza al corpo ha rilevato che le femmine, in media, possiedono il 20% in meno della potenza aerobica dei maschi, 40% in meno della forza muscolare degli arti inferiori, una capacità di sollevamento inferiore del 47% e una velocità di marcia, rispetto agli uomini, inferiore del 26%. William Gregor, professore di sociologia allo Army’s Command and General Staff College, scrive, in un suo rapporto, che nei test di potenza aerobica i rilevamenti dimostrano che solo 74 fra le donne dello ROTC, il Reserve Officers’ Training Corps ( programma a livello universitario per la preparazione di futuri ufficiali delle forze armate), sono state in grado di raggiungere il livello del 16% degli uomini che si sono piazzati più in basso in graduatoria. Il “carico di combattimento”, cioè l’equipaggiamento che un fante porta sulle spalle in pattuglia, equivale al 35% del peso corporeo di un uomo medio, e al 50% del peso medio di una femmina in forza all’Esercito degli Stati Uniti. Dall’esame dei risultati delle prove fisiche effettuate, forniti dallo ROTC, che risalgono al 1992 e riguardano 74000 cartelle di ufficiali di entrambi i sessi, solo il 2,9% delle donne è stato in grado di raggiungere la media maschile di sollevamenti sulle braccia ed eguagliare i tempi degli uomini sui famosi 3,2 chilometri. In una relazione dello scorso gennaio, intitolata “Gli sforzi verso la “differenziazione” in favore delle donne nell’ambito del combattimento terrestre,” (http://tinyurl.com/axn9l93), Elaine Donnelly, direttrice del Center for Military Readiness (il Centro per la Preparazione Militare), indica studi dell’Esercito i quali dimostrano che le donne hanno il doppio delle probabilità degli uomini di soffrire danni fisici e sono tre volte meno impiegabili degli uomini. Inoltre, è meno probabile che siano in grado di marciare portando un carico (per 20 chilometri, in cinque ore, con un carico di materiali per un assalto di 38 chilogrammi), e che con quel fardello sulle spalle riescano a strisciare, scattare di corsa, superare ostacoli, o a spostare un ferito che pesa almeno 75 chilogrammi. Senza contare le altre operazioni che comportano grandi fatiche muscolari anche per un uomo, come per esempio riparare un carro armato M1A1 Abrams sul campo. Poi ci sono le questioni relative alla gravidanza, le quali rendono le donne dalle tre alle quattro volte meno impiegabili degli uomini; e una volta sul campo, le donne devono spesso essere evacuate lasciando le loro unità sguarnite.  Infine, c’è un’altra ovvia e sostanziale differenza fra uomini e donne, che però viene raramente presa in considerazione nelle deliberazioni riguardo al ruolo delle donne in combattimento. Tutte le misurazioni dell’aggressività fisica dimostrano che gli uomini, forse per via del livello di testosterone dieci volte più alto, sono più aggressivi, competitivi e ostili delle donne. Tutte caratteristiche, se non piacevoli, certamente desiderabili in combattimento.  Facciamo un paio di ipotesi. Supponiamo che un’unità si stia ritirando sul terreno montagnoso dell’Afghanistan, dove la capacità aerobica di una persona fa una bella differenza; e che le donne non riescano a tenere il passo con gli uomini. Cosa si propone? Di lasciarsi dietro le donne, e farle cadere probabilmente in mano ai talebani, o di rallentare cosicché le donne possano stare al passo rischiando quindi delle perdite, o la cattura?  Cosa succede se un maschio viene scartato dall’addestramento speciale di fanteria dell’Esercito perché non ha superato l’esame d’idoneità fisica, e invece una soldatessa che non riesce neanche a raggiungere il suo livello viene mantenuta in servizio? Dovrebbe essere consentito ai maschi di citare in giudizio lo stato per discriminazione sessuale? Quanto rispetto può provare un maschio verso un commilitone femmina, al quale non è richiesto di adeguarsi allo stesso standard?
E c’è un altro problema. Il Selective Service System (il sistema attraverso il quale il governo federale degli Stati Uniti registra le informazioni sulle persone soggette a un’eventuale servizio di leva), diffonde il seguente messaggio sul suo sito web:
“Nonostante il Ministero della Difesa abbia deciso di consentire l’accesso ai ruoli di combattimento anche alle donne, la normativa non è stata ancora modificata in tal senso. Di conseguenza, in questo momento solo i maschi di età compresa fra i 18 e i 25 anni sono tenuti per legge a registrarsi col Selective Service. Le donne non sono ancora tenute a registrarsi.”  Volete spiegarmi come si possa conciliare tutto questo con le intenzioni del Ministero della Difesa di creare un terreno più equo e neutro dal punto di vista sessuale?

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