STRAPPO DI ERDOGAN. LA TURCHIA SCEGLIE L’ANTIMISSILE CINESE

Che la compattezza della Nato fosse da tempo messa a dura a prova dai divergenti interessi nazionali dei suoi partner e dalla sempre più ardua capacità di mobilitare tutti gli Stati membri per cause comuni non è certo una novità ma finora non era mai successo che un Paese dell’Alleanza Atlantica acquistasse armi cinesi. Alcuni partner dell’Europa Orientale hanno continuato a utilizzare e ad acquisire equipaggiamenti russi anche dopo l’adesione alla Nato e in passato Grecia e Turchia avevano acquistato armi leggere e mezzi blindati russi, mai cinesi. Il premier turco Recep Tayyp Erdogan sembra aver voluto superare questa “linea rossa” e non certo in modo simbolico ma giocando la carta della provocazione nei confronti degli alleati europei e statunitensi selezionando un sistema di difesa antimissile cinese. Nella gara per lo “scudo” T-Loramids (Turkish Long Range Air and Missile Defence System) contro i missili balistici, Ankara aveva finora preso tempo rinviando più volte la decisione per poi optare per il sistema missilistico FD-2000 prodotto dal consorzio cinese China Precision Machnery Ezport-Import Group (Cpmiec)  basato sulle batterie missilistiche HQ-9 (la sigla FD-2000 indica la versione da esportazione del sistema antiaereo e antimissile) derivate dalla prima versione del russo S-300 con l’applicazione di elettronica cinese. Nonostante la partecipazione di cinesi e russi tutti gli osservatori ritenevano nella gara del valore di 4 miliardi di dollari la competizione sarebbe stata ristretta tra l’americano Patriot prodotto da Raytheon e l’italo-francese SAMP-T con missili Aster 30 realizzato dal consorzio Eurosam (MBDA e Thales).

 

 

 

 

 

HQ/9 – FD-2000

 

Il sistema russo S-400 di ultima generazione offerto dai russi di Rosoboronexport  non sembrava avere possibilità di imporsi come del resto il cinese FD-2000 non tanto per le prestazioni dei radar e dei missili intercettori quanto perché armi di provenienza non occidentale che un partner della Nato come la Turchia non può certo sperare di vedere integrati nel sistema di comando e controllo che difende lo spazio aereo dell’alleanza. Impossibile far dialogare sistemi così diversi e del resto ragioni evidenti di sicurezza impediscono di integrare armamenti cinesi nella rete criptata che gestisce i segreti della difesa strategica dell’Alleanza Atlantica.  L’offerta cinese pare fosse la più economica, 3 miliardi di dollari invece dei 4 previsti dal programma, e quella che garantisce un maggiore trasferimento di tecnologie e un maggior carico di lavoro all’industria turca ma sarebbe semplicistico attribuire il successo di Pechino a una mera questione economica. Più probabile che Ankara abbia voluto tirare un sonoro ceffone agli alleati occidentali, soprattutto agli Stati Uniti dal momento che il consorzio Cpiemc, produttore dell’FD-2000, è sotto embargo statunitense per aver fornito missili a Iran, Corea del Nord e Siria.

 

 

 

 

 

HQ9/ FD-2000

 

Sul piano politico e militare poi i rapporti militari tra Turchia e Cina non sono certo una novità e nell’ottobre 2010 fece scalpore la partecipazione di cacciabombardieri Sukhoi 27 dell’aeronautica di Pechino alle esercitazioni aeree “Aquila Anatolica” alle quali l’Usaf decide di non partecipare. Negli ultimi tempi Erdogan si è avvicinato alla Shanghai Cooperation Organization (alleanza politico-militare che raccoglie Cina, Russia e alcuni Paesi dell’Asia Centrale ex sovietica oltre all’Iran) dichiarando apertamente di volervi aderire. Un’iniziativa non compatibile con la presenza di Ankara nella NATO ed è possibile quindi che  Erdogan abbia voluto vendicarsi delle numerose critiche subite da statunitensi ed europei per la gestione dei diritti umani specie dopo le manifestazioni dell’estate scorsa.

La decisione di Ankara di scegliere lo “scudo antimissile” cinese (certo meno sofisticato dei concorrenti russi e occidentali)  ha colto tutti di sorpresa. Il portavoce di Raytheon, Mike Doble, ha ricordato che da un anno sei batterie di missili Patriot e oltre 400 militari di Paesi membri della NATO (USA, Olanda e Germania) sono schierati in Turchia per proteggerla da eventuali attacchi siriani e ha auspicato di “avere l’opportunità di un debriefing e di saperne di più su questa decisione”.
Un portavoce del Dipartimento di Stato ha espresso “ grave preoccupazione per la decisione del governo turco” e anche fonti industriali di Ankara registrano il malumore di Washington ricordando che in un paio di occasioni Barack Obama aveva sollevato la questione dei missili per la difesa contro i vettori balistici nei faccia a faccia con Erdogan ricordando al premier turco i problemi di interoperabilità che un sistema non-NATO avrebbe creato.

 

 

 

 

 

 

SAMPT/T

 

 

Il generale Atilla Sandikli, ora presidente del think-tank Bilgesam, sottolinea che la decisione di acquisire il sistema cinese è dovuta a ragioni “tecnologiche e di costo” ma soprattutto al fatto che “gli alleati della NATO erano lontani dall’idea di far co-produrre i loro sistemi antimissile ai turchi e di trasferire le tecnologie al contrario dell’azienda cinese. Per questo credo che la scelta turca sia un messaggio agli alleati della NATO”. Una risposta solo parziale però perché anche Raytheon e Eurosam avevano offerto un ampio coinvolgimento all’industria turca nella produzione mentre da tempo girava vice che i militari turchi avessero espresso una netta preferenza per il sistema SAMP/T italo-francese, considerato meno economico ma certamente il più prestante.

Ovviamente entusiasti i commenti degli analisti cinesi: a Pechino il commentatore di questioni militari Yue Gang  ha evidenziato che si tratta della prima vendita di armi avanzate in un Paese della Nato e “l’accordo ha aperto una finestra per la Cina per approfondire la cooperazione militare con i paesi della Nato”.  Antony Wong Dong, presidente dell’associazione Militare Internazionale di Macao sostiene che “la Cina potrebbe esportare armi più avanzate in futuro e questo potrebbe diventare causa di  tensioni con gli Stati Uniti mentre da Shanghai l’esperto Ni Lexiong sottolinea che “il prodotto cinese è più economico di quelli russi o statunitensi” ma soprattutto che “la Turchia non deve necessariamente accettare le offerte degli alleati della Nato”. Di certo Pechino continua ad aumentare la quota di armi che riesce a vendere sul florido mercato del Medio Oriente erodendo progressivamente quote a statunitensi ed europei.

 

 

 

 

 

Patriot

La scelta del missile cinese (200 chilometri di raggio d’azione, 180 chili di testata esplosiva) ha un indubbio valore politico, basti pensare che dopo tanti rinvii la notizia è trapelata subito dopo la risoluzione dell’Onu che impone a Damasco il disarmo chimico ma scongiura quell’intervento militare internazionale contro Bashar Assad più volte caldeggiato da Erdogan. Difficile pensare che si tratti di una coincidenza anche se va rilevato che Pechino è fornitore di primo piano di armi (e alleato) di Iran e Siria. Ciò nonostante ad Ankara sembra aver prevalso la volontà di dare una lezione a europei e statunitensi pur tenendo conto dell’aggressiva ed efficace campagna di penetrazione commerciale cinese sul mercato globale delle armi, soprattutto su quelli emergenti.

 

 

 

 

 

 

 

Resta il dubbio che la decisione turca rappresenti solo un gesto dimostrativo anche perché l’adozione dell’FD-2000 comporterebbe un’ampia e costosa revisione di tutta l’architettura della difesa aerea turca e dell’interfaccia tra il sistenma di difesa awerea e antimissile e gli altri sistemi d’arma di tipo occidentale oggi in servizio. In fondo, come fanno notare alcuni ambienti industriali, l’FD-2000 è stato solo “selezionato” da Ankara che non ha ancora firmato nessun contratto con il consorzio cinese Cpiemc. Se così fosse non si può escludere che l’iniziativa turca miri successivamente a comprare i missili americani o italo-francesi spuntando prezzi più bassi o maggiori compensazioni e partecipazioni per l’industria nazionale. Se invece la scelta dell’F-2000 venisse confermata rappresenterebbe una svolta della Turchia al di fuori dell’orbita politico-militare Occidentale che dovrebbe venire attentamente valutata. Conferme in tal senso non si farebbero attendere a lungo dal momento che Ankara sta sviluppando un cacciabombardiere nazionale e dovrebbe acquisire almeno un centinaio di cacciabombardieri statunitensi F-35A.

 

 

 

 

 

 

S-400′

Del resto la volontà di Erdogan di utilizzare a fini politici le commesse militari era già emersa nei giorni scorsi con la cancellazione della commessa da 1,5 miliardi di dollari per la costruzione di sei navi militari assegnata ai cantieri Rmk Marine. Ufficialmente il governo ha accolto i ricorsi presentati da cantieri navali concorrenti ma l’operazione rientra nella più ampia vendetta di Erdogan contro le aziende di Mutafa Koc, il magnate proprietario del gruppo omonimo accusato di avere appoggiato le manifestazioni anti-governative del giugno scorso. Nelle scorse settimane ispezioni fiscali su larga scala sono state avviate contro le società di Koc da un gruppo speciale di 200 ispettori costituito dal ministero delle finanze.

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