Stop agli aiuti USA: l’Egitto cerca altri partner militari?

da Il Sole 24 Ore del 12 ottobre

Ci sono almeno tre elementi che potrebbero determinare pesanti ripercussioni dopo la decisione statunitense di bloccare il supporto finanziario accordato alle forze militari egiziane istituito fin dalla firma del trattato di pace con Israele del 1979. Si tratta del congelamento di aiuti per 260 milioni di dollari più altri 300 milioni di prestiti garantiti già preventivati per quest’anno e che fanno parte di un aiuto finanziario annuale di 1,5 miliardi di dollari. Misure che interromperanno la consegna degli armamenti più moderni come i nuovi cacciabombardieri F-16, gli elicotteri d’attacco Apache, i missili antinave Harpoon e i carri armati M-1 Abrahams nelle versioni più aggiornate. Il primo elemento è costituito dall’atteggiamento “paternalistico” adottato dall’Amministrazione Obama e ben evidente nelle dichiarazioni del segretario di Stato John Kerry che ha cercato di minimizzare La sospensione degli aiuti “non è un ritiro” dell’amicizia americana e può essere superata “sulla base dei comportamenti” del governo egiziano. “Non si tratta in alcun modo di un ritiro dal nostro rapporto o di un’interruzione del nostro serio impegno ad aiutare il governo” nella transizione verso la democrazia, ha assicurato il segretario di Stato ribadendo che gli Stati Uniti vogliono “un governo che gli americani si sentano a loro agio a sostenere” e attendono “credibili progressi” verso un governo di larghe intese e libere elezioni.

La decisione statunitense non è priva di ambiguità poiché non vengono tagliati gli aiuti e le consulenze forniti al governo egiziano per la lotta ai terroristi islamici e ai gruppi affiliati ad al-Qaeda attivi soprattutto in Sinai. Al Cairo non l’hanno presa bene. Una nota del ministero degli Esteri definisce la decisione di Washington “sbagliata sia per i contenuti che per la tempistica e solleva dubbi sulla volontà degli Stati Uniti di fornire un sostegno strategico ai programmi di sicurezza egiziani”. Il consiglio dei ministri egiziano si è detto “stupito soprattutto visto il momento importante nel quale il Paese affronta una guerra contro il terrorismo”. Negli ambienti militari del Cairo la fiducia negli Stati Uniti è in crollo verticale, rivela al Sole 24 Ore una fonte ben informata che fa notare come al “tradimento” della Casa Bianca abbia fatto seguito una dichiarazione di tenore opposto del Fondo monetario Internazionale, pronto ad “aiutare l’Egitto per stabilizzare la situazione e affrontare le difficoltà economiche” come ha assicurato il direttore generale, Christine Lagarde- L’FMI si affianca quindi ai Paesi del Golfo che, guidati dall’Arabia Saudita, hanno raccolto 12 miliardi di dollari per sostenere economicamente l’attuale governo che ha rovesciato il presidente Mohammed Morsi e l’esecutivo dei Fratelli Musulmani.

 

 

 

 

Il generale Abdel Fattah al-Sissi

 

Il secondo elemento critico è rappresentato dalla soddisfazione con la quale la Fratellanza Musulmana ha accolto la decisione di Washington che secondo Mamdouh Ahmed, uno dei dirigenti dell’organizzazione, “rafforza l’atteggiamento dei manifestanti pro Morsi” perché c’è la consapevolezza che Washington reagisce solo quando “i suoi interessi sono minacciati”. Secondo Ahmed l’aver fissato la data del processo contro l’ex presidente Mohamed Morsi (che si presenterà in tribunale il 4 novembre per rispondere dell’omicidio di alcuni manifestanti e di incitamento alla violenza in occasione delle proteste del dicembre scorso)  dimostra che “i golpisti sono in una impasse” e che le manifestazioni “li stanno mettendo sotto pressione”.

Il terzo elemento è costituito dalla possibilità concreta che Il Cairo, sostenuto dai petrodollari del Golfo, possa decidere di ridurre o azzerare la sua dipendenza militare dagli Stati Uniti decidendo di acquisire altrove i sistemi d’arma necessari. Un cambiamento radicale nel procurement militare che il Cairo ha già fatto una volta, quando alla fine degli anni ’70 chiuse con le forniture sovietiche per acquisire prodotti occidentali e soprattutto statunitensi. Cina e Russia potrebbero quindi tornare a corteggiare il mercato egiziano non solo pe la completezza ed efficacia dei sistemi d’arma offerti ma anche perché Mosca e Pechino non hanno mai mostrato ambiguità nel combattere l’estremismo islamico e potrebbero venire considerati partner più affidabili degli statunitensi. L’Egitto inoltre dispone di un’industria militare già molto sviluppata che produce aerei, sistemi elettronici, missili e carri armati in gran parte realizzati su licenza straniera. Un’industria sotto lo stretto controllo delle forze armate che potrebbe ottenere ampie compensazioni anche da fornitori diversi dagli statunitensi. Un’eventuale rinuncia egiziana a continuare la cooperazione militare con Washington rappresenterebbe un danno pari ad oltre un miliardo di dollari annui per le grandi compagnie americane della difesa che hanno appena dovuto incassare la decisione turca di dotarsi di un sistema di difesa antimissile “made in China”.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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