F-35: gli USA ai ferri corti con la Turchia?

La parziale marcia indietro della Turchia sull’acquisito di sistemi anti-missile di produzione cinese anziché occidentale – Stati Uniti ed Europa coi loro Patriot e Aster saranno riammessi alla gara se presenteranno condizioni contrattuali competitive con quelle offerte da Pechino – non ha placato le contrarietà e le preoccupazioni di Washington e della NATO per una scelta che scardinerebbe i fondamenti politici e militari dell’Alleanza Atlantica nel suo scacchiere più “caldo”. Offesa dal voltafaccia turco, attuato con il non secondario proposito di sondare le reazioni occidentali, l’America adesso mette Ankara sotto pressione sul fronte del programma Joint Strike Fighter: la Turchia deve scegliere fra lo strike di Lockheed Martin e il nuovo caccia che l’industria nazionale TAI (Turkish Aerospace Industries) sta studiando con l’apporto della svedese SAAB, e che conta di mettere in servizio nel 2023, quando celebrerà i 100 anni di fondazione del moderno Stato turco.
A parlare di un irrigidimento americano nei confronti del membro “orientale” della NATO riguardo la questione JSF è il sito di informazione turco World Bulletin, che cita fra gli altri report quelli del quotidiano Yeni Safak. Secondo quest’ultimo, gli Stati Uniti userebbero il programma dell’F-35 “come arma di ricatto” non solo nei confronti della Turchia ma dell’intera “comunità JSF”. Per gli Americani, si sostiene, il caccia di Ankara e ogni eventuale nuovo programma similare extra-statunitense non sarebbe compatibile in un’ottica NATO con quello “a carattere diffuso” di Lockheed Martin, bastando l’F-35 “a coprire le necessità dei vari paesi in materia di difesa aerea”. “La questione dei sistemi anti-missile”, ha ribattuto al recente salone di Dubai il capo delle forze aeree turche Generale Akın Öztürk, “non ha niente a che vedere con l’acquisto degli F-35”. Dal canto suo Hürriet, il maggiore quotidiano di Ankara, ricorda come una decisione definitiva sull’acquisto di una prima coppia di F-35A, sospesa all’inizio dell’anno a causa dei costi eccessivi e dell’immaturità del velivolo, sia ora “attesa al massimo entro la metà del gennaio 2014”. A prenderla sarà direttamente il premier Recep Tayyip Erdogan, che guida personalmente il Comitato Esecutivo dell’industria della difesa turca.

Partner non “docile”
Pur prendendole con beneficio di inventario, le affermazioni dei primi due media turchi citati colgono nel segno il carattere inequivocabilmente egemone e “globalizzante” del programma americano, non ancora ben assimilato da una Potenza alla ricerca di una supremazia più che regionale qual è oggi la Turchia. E’ innegabile che per Washington il Governo di Ankara, partner di 3° livello nel JSF con un impegno d’acquisto per 100 F-35A, non sia mai stato un cliente “docile” dei sistemi d’arma statunitensi e men che meno malleabile riguardo il divieto di esportazione delle tecnologie associate (esemplare il caso dell’apparato “indigeno” IFF – Identification Friend or Foe – con cui le forze aeree turche hanno dovuto dotare i propri F-16 per metterli in grado di smascherare gli F-16 israeliani). Nel marzo del 2011 la Turchia minacciò di sospendere la sua partecipazione al programma F-35 se non avesse ottenuto l’accesso ai codici sorgente del software del velivolo. Secondo quanto riferisce oggi il quotidiano Hürriet “i negoziati (per ottenere l’accesso) non avevano dato risultati soddisfacenti, e in queste condizioni la Turchia non avrebbe accettato gli aerei. La questione” conclude il media turco, “rimane irrisolta”.

La soluzione verosimilmente prospettata da Washington, e cioè concedere a partner o semplici (ancorché talora più privilegiati) acquirenti del caccia USA solo la visibilità al suo Mission System necessaria per poter implementare in patria programmi di upgrade hardware/software comunque stabiliti e sviluppati in via esclusiva negli Stati Uniti, ha trovato un’accoglienza molto fredda nell’intera “comunità JSF”. Il caccia americano viene sempre più visto come una sorta di Information Warfare Aircraft al centro di quel “Coalition Airpower” cui il Pentagono in futuro vorrebbe affidarsi, controllandolo al tempo stesso. Arrivando magari all’estremo per cui, secondo quanto ha affermato il comandante della 3a Air Force statunitense in Europa alla recente Fighter International Conference di Londra, alcuni Paesi minori in ossequio ai principi della futura “Smart Defense” potrebbero addirittura fare a meno di propri aeroplani da combattimento. O se del caso, affidarsi a quell’esclusivo “distributore” di informazioni che promette di essere l’F-35.

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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