Quanti dollari buttati al vento a Kabul

da Il sole 24 Ore

Dagli aerei cargo italiani al comando hi-tech per le forze afghane, la lista delle opere incompiute e dei programmi militari abortiti dal comando statunitense in Afghanistan sembra destinata ad allungarsi con l’avvicinarsi della conclusione dell’attuale missione militare USA/Nato prevista per la fine dell’anno prossimo.  Nell’ambito della cooperazione militare con le forze afghane Washington aveva dato il via nel 2009 alla realizzazione di un “Pentagono afghano”, un quartier generale hi-tech destinato ai vertici militari di Kabul e ai consulenti statunitensi che dovrebbero restare nel Paese asiatico almeno fino al 2024 se il presidente Hamid Karzai si deciderà a firmerà l’accordo bilaterale di sicurezza recentemente messo a punto. Un edificio di cinque piani con uffici, sale operative e bunker per ospitare 2.200 militari costati finora  107 milioni di dollari ma non ancora completato nonostante il progetto prevedesse solo un anno di lavori. I cantieri sono fermi da settembre, forse non casualmente da quando Karzai ha cominciato a mostrarsi ostile a rinnovare la presenza militare statunitense e della Nato in Afghanistan.

Secondo il Washington Post il problema è che i soldi per il progetto, realizzato dagli statunitensi ma eseguito in gran parte da maestranze e aziende afghane, sono esauriti e per completare l’opera è stata sottoposta al Pentagono una richiesta per altri 24 milioni di dollari. Le stime iniziali dei costi si sono rivelate irrealistiche anche per la difficoltà a reperire sul mercato afghano materiali pregiati come l’acciaio di qualità.  Il colonnello Butch Graham del Combined Security Transition Command ha parlato di ”esaurimento dei fondi” mentre Mohammad Rafi, proprietario di un’impresa edile di Kabul, ha confermato al quotidiano statunitense che lo stop ai lavori è scattato a settembre e che è ancora in attesa di alcuni pagamenti. Per il generale Michael Wehr, responsabile delle unità del Genio in Afghanistan, si tratta di un ”edificio importante e i lavori  vanno completati bene”, auspicabilmente entro la fine del 2014, ma l’episodio rischia di aggiungersi a una lunga lista di esempi di cattiva gestione e sprechi di denaro nei progetti statunitensi in Afghanistan.

La costruzione del nuovo quartier generale  rientra in un impegno da 9,3 miliardi di dollari per realizzare centinaia di basi, avamposti e ospedali per le forze di sicurezza afghane: 835 progetti sono già stati completati ma ne restano altri 291 ancora in fase di pianificazione o realizzazione. L’aspetto paradossale è che negli ultimi mesi  le forze alleate hanno pagato milioni di dollari a un’azienda statunitense per la demolizione di centinaia di basi e avamposti che la Nato evacuava ma non voleva cedere alle truppe di Kabul per la loro incapacità di presidiarli e rifornirli. Dal 2005 sono stati spesi circa 53 miliardi di dollari (patri a tre volte il budget annuale delle forze armate italiane) per equipaggiare e addestrare, accasermare e sfamare i circa 348mila militari e poliziotti afghani.  Anche il ritiro delle truppe statunitensi sta comportando sprechi non indifferenti poiché circa un quarto dei mezzi e degli equipaggiamenti, per un valore di 7 miliardi di dollari, vengono abbandonati e distrutti in Afghanistan perché rimpatriarli sarebbe anti-economico a causa dei costi di trasporto o delle pessime condizioni di manutenzione e usura.

Un altro spreco di denaro del contribuente statunitense è rappresentato dalla commessa all’italiana Alenia Aeronautica per 20 aerei cargo tattici G-222  appartenuti all’Aeronautica Militare ma ammodernati e ricondizionati per equipaggiare le forze aeree di Kabul che necessitano di aerei robusti e in grado di atterrare su piste corte e in terra battuta. Dopo la consegna di 16 aerei nel marzo scorso il contratto per la manutenzione con l’azienda del gruppo Finmeccanica non è stato rinnovato e i velivoli sono stati abbandonati in un’area dell’aeroporto internazionale di Kabul dopo che Washington aveva speso quasi mezzo miliardi di dollari per acquisirli e addestrare il personale afghano. Il comando statunitense ha lamentato problemi di manutenzione e pezzi di ricambio che avrebbero limitato le ore di volo ad appena 200 contro le 4.500 previste. “Abbiamo bisogno di risposte rispetto a questo grande sperpero di denaro pubblico”, ha dichiarato a Bloomberg John Sopko, ispettore generale per la ricostruzione in Afghanistan che ha aperto un’inchiesta sulla vicenda. I G-222 avrebbero dovuto costituire il 15% dei 105 aerei delle forze aeree afgane, trasportare alti funzionari, truppe da combattimento ed evacuare feriti.

Invece sei aerei risultano già stati smontati e depredati delle parti meccaniche secondo una verifica dell`ispettorato generale del Pentagono. Oltre ai 16 aerei parcheggiati a Kabul ce ne sono altri quattro nella base aerea statunitense di Ramstein, in Germania. “Nel momento in cui l’aeronautica ha deciso di non rinnovare il contratto” – ha detto Dan Hill, portavoce di Alenia North America – “gli aerei erano perfettamente in funzione per le missioni in Afghanistan e superavano le capacità richieste per gli obiettivi del programma.” Il sospetto è che i vertici militari statunitensi abbiano fatto marcia indietro in seguito alle pressioni dei gruppi industriali aeronautici statunitensi. Non a caso i G-222 verranno rimpiazzati dal 2016 dai C-130H di Lockheed Martin, velivoli di seconda mano ma troppo grandi e complessi per le capacità e le esigenze delle neonate forze aeree afghane. Lo stesso tipo di pressioni che ha portato al blocco dell’acquisto di altri 15 elicotteri  russi Mi-17V-5, destinati all’esercito di Kabul ma pagati dal Pentagono che dal 2011  ha sborsato a Mosca 945 milioni di dollari per 51 velivoli. Contratti che hanno suscitato forti reazioni al Congresso tra quanto sostengono che il denaro del contribuente americano debba essere speso per dotare l’Afghanistan di elicotteri “made in USA” realizzati cioè dalle società Boeing e Sikorsky. Tecnici e piloti afghani però hanno familiarità con le rustiche macchine russe che impiegano fin dagli anni ’70 mentre avrebbero difficoltà a gestire i più sofisticati velivoli americani.

Foto: Washington Post, Alenia Aermacchi, AP

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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