Damasco ha consegnato l’11% delle armi chimiche

AGI/REUTERS – Il governo siriano ha consegnato finora solo l’11 per cento delle armi chimiche stoccate nei propri depositi e difficilmente rispetterà la scadenza del 30 giugno prossimo, entro il quale dovranno essere distrutti tutti gli agenti chimici in base a un accordo tra Mosca e Washington. Damasco, secondo fonti dell’Organizzazione per la proibizione di armi chimiche (Opac), avrebbe già dovuto cedere 1.300 tonnellate di agenti chimici, ma solo tre carichi sono stati fatti a bordo delle navi danese e norvegese che adesso si trovano in acque internazionali. Il terzo carico conteneva 54 tonnellate di esano, utile per la realizzazione di esplosivi, portando il totale degli agenti chimici consegnato a un po’ più di 140 tonnellate, delle quali solo il 5% è costituito dai piu’ importanti e pericolosi agenti chimici. “Siamo onesti”, ha detto una delle tre fonti contattate da Reuters, “i materiali importanti non sono stati ancora ceduti tranne una piccola consegna all’inizio. Devono sbrigarsi, la distruzione sarebbe dovuta cominciare dieci giorni fa e invece non è stata ancora avviata”. Nei giorni scorsi il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il capo della missione congiunta Onu-Opac, Sigrid Kaag, si erano detti fiduciosi che la scadenza sarà rispettata ma in realtà ciò è “improbabile”, a meno che il governo siriano si riveli in grado di organizzare decine di carichi nelle prossime settimane. L’altra scadenza imminente è quella di fine marzo, entro la quale agenti come il sarin e il gas mostarda dovranno essere distrutti sul territorio siriano. Damasco ha attribuito la responsabilità dei ritardi all’insicurezza che regna nel paese. Il trasferimento delle armi chimiche parte da dieci siti in tutto il paese, con destinazione il porto di Latakia. Qui prossima settimana arriveranno container blindati e altri dieci sono attesi il prossimo mese. Ma ormai è chiaro che sono saltate le scadenze fissate dall’intesa internazionale che aveva evitato un intervento americano in Siria e con esse anche le aspettative riposte dalle diplomazie di Mosca e di Washington, che sulla riuscita di quel piano hanno fatto un notevole investimento di credibilità.

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