I pirati puntano sul petrolio del Golfo di Guinea

L’ultimo rapporto sulla pirateria dell’International Maritime Bureau (IMB) conferma le preoccupazioni espresse in gennaio dall’European Community Shipowners’ Associations (ECSA), l’associazione degli armatori europei che richiamò l’attenzione sul crescente numero di attacchi di pirateria nel Golfo di Guinea invitando la Ue e i suoi Stati membri ad un’azione immediata e concreta.
Gli attacchi registrati dall’IMB in quest’area sono stati 138 solo negli ultimi sei mesi del 2013 a conferma dell’intensità del fenomeno in coincidenza con il calo costante delle attività dei pirati nell’Oceano Indiano di fronte alle flotte militari internazionali e alla capillare presenza di guardie armate a bordo dei mercantili. Non che i pirati somali siano stati debellati ma sono stati resi inoffensivi dai dispositivi di sicurezza come ha dimostrato l’abbordaggio tentato l’8 marzo da tre barchini contro il portacontainer italiano Jolly Quarzo e respinto dalle guardie della Triskel Risk Management.

Nel Golfo di Guinea non sono schierati 3 gruppi navali internazionali oltre alle flotte di singoli Paesi che sono operative nell’Oceano Indiano con due dozzine di navi da guerra, né è così diffusa la presenza di guardie armate sui mercantili. Il rapporto dell’IMB sottolinea anche le diversità tra le due tipologie di pirateria attive in Africa Orientale e Occidentale. Nel Golfo di Guinea i pirati saccheggiano le navi e sequestrano i membri degli equipaggi (56 l’anno scorso) e solo lungo le coste della Nigeria sono stati segnalati 31 incidenti e 28 sequestri. Il proliferare dei pirati nel Golfo di Guinea è legato ai ricchi bottini ottenibili in un’area dove vengono estratti ogni gironi 5 milioni di barili che aumenteranno notevolmente quando saranno attivi anche i nuovi pozzi off-shore dell’Angola che presumibilmente costituiranno più a sud una nuova area di interesse per la pirateria. A differenza dei pirati somali, quelli dell’Africa occidentale non operano dalle coste di uno “Stato fallito” e non dispongono di “tortughe” sicure dove tenere prigionieri equipaggi e navi per mesi.

Per questo i pirati puntano a saccheggiare soprattutto petroliere che hanno appena “fatto il pieno” nei terminal abbordandole con barchini che viaggiano a 30 nodi con a bordo 7/8 pirati armati di kalashnikov, mitragliatrici PKM e lanciagranate, armamento simile a quello dei loro “colleghi” somali. Molti dati circa il modus operandi dei pirati del Golfo di Guinea sono stati forniti da fonti ben informate che hanno chiesto l’anonimato. Fonti che spiegano come per svuotare le petroliere dal greggio i pirati impieghino navi costerna più piccole sotto il loro controllo sequestrando alcuni uomini degli equipaggi per ottenere riscatti anche se di solito di entità limitata a qualche migliaio di dollari. Azioni facilitate dalla grande estensione territoriale dell’area marittima interessata dal fenomeno piratesco, che va dalla Costa d’Avorio all’Angola, oltre che dalle scarse capacità delle Marine dei Paesi africani incapaci persino di garantire un buon controllo anche solo degli spazi costieri e delle acque territoriali. Negli ultimi mesi gli attacchi sono calati in Benin per aumentare invece in Togo, Costa d’Avorio e Gabon.

Per compiere rapidamente gli abbordaggi i pirati del Golfo di Guinea ricorrono con sempre maggiore frequenza alla violenza come ha segnalato l’IMB riferendo di molti feriti specie nelle acque di Nigeria, Benin e Togo. Come in Somalia, anche qui l’impiego di navi-madri (per lo più rimorchiatori) consente ai pirati di ampliare sempre di più il raggio d’azione, arrivando a colpire anche fino a mille miglia dalle coste come nel caso della petroliera liberiano Kerala, abbordata il 18 gennaio nelle acque angolane e poi svuotato delle 70 mila tonnellate di greggio che trasportava utilizzando un piccolo tanker che con tre successivi trasferimenti ha scaricato il petrolio poi raffinato clandestinamente nel delta del Niger e rivenduto in Congo.

Secondo l’intelligence statunitense la gran parte dei pirati attivi nel Golfo di Guinea sono originari di Nigeria e Benin e hanno stretti rapporti con le bande criminali coinvolte nel mercato nero del petrolio e le milizie attive proprio nel delta del fiume Niger.
A sostegno dei Paesi rivieraschi si è mosso recentemente l’Africa Command statunitense (AFRICOM) fornendo assistenza alle forze navali locali per aumentarne le capacità operative con programmi di formazione e consulenza. In aprile la US Navy sosterrà esercitazioni navali congiunte con le Marine dei Paesi del Golfo di Guinea e la Us Coast Guard ha recentemente ceduto alla marina Nigeriana il cutter Gallatin. Con 3.250 tonnellate di stazza, 115 metri di lunghezza e 170 uomini d’equipaggio, l’unità con 45 anni di servizio alle spalle è ancora idonea a svolgere compiti di pattugliamento a lunga autonomia. La Marina di Lagos, che ha ordinato due corvette in Cina, ha ricevuto negli ultimi anni una mezza dozzina di unità ex USCG che ne hanno incrementato notevolmente le capacità di sorveglianza marittima.

La cooperazione instaurata nell’ambito del West and Central Africa Maritime Security Trust Fund, istituito da Koji Sekimizu, Segretario generale dell’International Maritime Organization, ha visto recentemente il Giappone stanziare il contributo di un milione di dollari.  Anche la Francia è impegnata in questa regione con una nave da guerra e un aereo da pattugliamento marittimo Atlantique schierati in Senegal e Gabon nell’ambito dell’Operazione Corymbe varata nel 1990 per il contrasto di pirateria e traffico di droga. Un ruolo di rilievo potrebbe ritagliarselo in queste acque anche la Marina italiana, presente in queste ultime settimane con il 30° Gruppo Navale guidato dalla portaerei Cavour che ha completato l’8 aprile il tour promozionale a sostegno del “made in Italy” iniziato nel novembre scorso. Per offrire addestramento e supporto alla Marina del Mozambico nel contrasto alla pirateria il pattugliatore Comandante Borsini è stato distaccato a Maputo per due mesi mentre altre attività di cooperazione sono state messe a punto durante le soste in Angola, Congo, Ghana e Senegal.

L’interesse mostrato dai vertici dei Paesi africani toccati dalle navi italiane lascia ben sperare circa a possibilità di consolidare la cooperazione anche in termini di acquisizione di navi ed equipaggiamenti. Per sorvegliare la sua Zona economica esclusiva l’Angola sembra interessata ad acquisire di seconda mano le corvette italiane classe Minerva in procinto di essere radiate dalla nostra Marina.

Con fonte Il Sole24 Ore. Foto: Oceanus.com, Knigh tAssociates, Sabc.co.za,Sweet crude, Edge Group, Defenceweb

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