La Difesa addestra "consiglieri di genere"

Le forze armate italiane non hanno un euro per l’addestramento e le manutenzioni ma per le iniziative politicamente corrette il denaro si trova sempre. Lo Stato Maggiore Difesa ha reso noto ieri che ha preso il via presso il Centro Alti Studi della Difesa di Roma, il primo corso per Gender Advisor, in italiano  “Consigliere di Genere”. Il corso formerà personale per questa nuova figura professionale istituita in ambito NATO che “supporterà i comandanti nel rendere le Forze Armate sempre più aderenti ai principi delle pari opportunità e dell’uguaglianza di genere, da un lato, e di contribuire a una pace sempre più stabile e duratura nei territori di missione, dall’altro” recita il comunicato.“Il Gender Advisor dovrà infatti operare facendo in modo che in tutte le fasi della missione sia considerata e coinvolta, al massimo livello possibile, anche la componente femminile della popolazione locale, la cui partecipazione va tenuta presente come necessario strumento di stabilizzazione e ricostruzione. Tale approccio, orientato alla prospettiva di genere, rappresenta, in sintesi, un moltiplicatore di efficacia per l’impiego dei militari sia in Patria che all’estero”.

Ma a chi è rivolto il corso di SMD?  Il comunicato spiega che sono stati “selezionati in base alla motivazione, alla predisposizione per le relazioni interpersonali e all’attenzione per la prospettiva di genere 50 frequentatori: ufficiali, funzionari e dirigenti civili della Difesa, uomini e donne di tutte le Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri. Oltre a seguire lezioni teoriche su temi collegati alle pari opportunità, agli studi di genere e all’attuazione delle risoluzioni ONU su ‘donne, pace e sicurezza’, discuteranno di casi concreti e seguiranno esercitazioni pratiche guidate da personale dei reggimenti CIMIC (Civil-Military Cooperation) e PSYOPS (Psychological operations) dell’Esercito e del CoESPU (Center of Excellence for Stability Police Units) dei Carabinieri.  Dal 9 al 20 giugno, docenti universitari esperti di studi di genere, antropologia e comunicazione si alterneranno con professionisti della cooperazione civile e con esperti militari e civili, per sviluppare il corso”.

Tra le fondamentali materie di studio “saranno affrontati argomenti quali la storia del genere, le pari opportunità, l’immagine e la diffusione di pregiudizi e stereotipi di genere, le devianze comportamentali quali molestie, mobbing, stalking e verranno forniti gli strumenti normativi e comunicativi da acquisire per fronteggiarle.

Nella seconda settimana di lezioni saranno fornite ai frequentatori le informazioni e gli strumenti per orientare le Unità impiegate in missione ad operare secondo le indicazioni delle risoluzioni ONU e delle direttive NATO che chiedono di sviluppare la missione secondo la prospettiva di genere, tenendo cioè in conto, in ogni fase delle attività, dei differenti bisogni e delle esigenze di uomini, donne, ragazzi e ragazze. In aggiunta, i docenti affronteranno i temi della violenza di genere come arma di guerra e condurranno esercitazioni pratiche su come opera un Gender Advisor durante una missione operativa”.

Il corso costituirà probabilmente un’iniziativa fondamentale per il futuro dell’Alleanza Atlantica, evidentemente orientata a diventare una grande agenzia umanitaria secondo l’esempio fornito dalle forze armate italiane così definite l’anno scorso dall’allora ministro della Difesa, Mario Mauro. Il corso darà forse utili indicazioni a garantire il successo nella missione di “conquistare i cuori e le menti” (almeno quelli delle donne) nei teatri operativi ma l’impressione è che la NATO avrebbe garantito maggiori benefici al genere femminile vincendo la guerra in Afghanistan da dove si sta ritirando, sconfitta, lasciando la popolazione femminile in balìa di leggi incivili e discriminatorie emanate dal governo di Kabul (nostro alleato) ed esposta al rischio che il Paese torni presto sotto il tallone talebano.

Del resto gli schemi occidentali improntati sulle pari opportunità hanno dimostrato tutti i loro limiti “culturali” proprio in Afghanistan dove la presenza di donne soldato nei contingenti di ISAF ha consentito alla propaganda talebana di accusare di codardia i militari alleati perché “si fanno difendere dalle loro d0onne”.Un messaggio che ci fa sorridere ma che ha avuto invece una facile presa sull’opinione pubblica afghana che costituisce il target di riferimento dei talebani che lì eclutano simpatizzanti e combattenti.

Foto: SMD e Isaf RC-W

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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