LE TREGUE "UMANITARIE" CHE PROLUNGANO LE GUERRE

Dopo 24 giorni di guerra tra Israele ed Hamas si ripete l’ipocrisia della “tregua umanitaria”, rito buonista suggerito dalle pressioni della comunità internazionale e protagonista indiscusso degli scontri tra israeliani Hamas ed Hezbollah degli ultimi anni.  I due contendenti hanno deciso ieri di sospendere le ostilità (o quasi perché questa mattina a un mortaio di palestinese ha risposto l’artiglieria di Tsahal) per almeno 72 ore. L’annuncio è arrivato nella serata di ieri  in un comunicato congiunto Usa-Onu, in cui si specifica che sono state ricevute assicurazioni da tutte le parti per un cessate il fuoco incondizionato durante il quale ci saranno trattative per una tregua più duratura. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha specificato che le ostilità cesseranno alle 8.00 locali (le 6.00 italiane) di oggi ed inizierà un confronto tra israeliani e palestinesi al Cairo. “Questo cessate il fuoco a Gaza è fondamentale per dare a civili innocenti una tregua necessaria dalla violenza”, ha detto il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, spiegando che durante questo periodo “i civili nella Striscia riceveranno assistenza umanitaria urgente e avranno la possibilità di svolgere funzioni vitali, tra cui seppellire i morti, curare i feriti, e fare approvvigionamento di cibo”.

Inoltre, le delegazioni israeliana e palestinese andranno immediatamente al Cairo per intraprendere negoziati con il governo egiziano, su invito dell’Egitto, per tentare di raggiungere l’accordo su un cessate il fuoco durevole” a Gaza, ha aggiunto Dujarric. Si tratta di uno spiraglio di speranza, arrivato nel giorno in cui Israele ha detto che non fermerà la sua operazione a Gaza, almeno finché non avrà terminato la distruzione dei tunnel annunciando poi il richiamo di altri 16.000 riservisti. Ai 61 caduti israeliani (le perdite più alte sofferte da Tsahal dal ritiro dal libano meridionale nel 2000) si aggiungono secondo fonti di Hamas circa 1.500 morti palestinesi che sarebbero per tre quarti civili mentre secondo Gerusalemme le proporzioni vanno invertite in 3 miliziani per ogni civile anche se è indubbio che la popolazione in molti casi è vittima della follia dei miliziani che utilizzano scuole, moschee e case come postazioni militari.

Come è noto la tregua è stata di breve durata, anche a causa del rapimento di un militare israeliano, ma ha  evidenziato due aspetti: che il cessate il fuoco temporaneo ha favorito solo Hamas e che la pressione di Washington su Israele per lo stop alle ostilità vanifica gli sforzi compiuti finora da Tsahal e rende inutili i morti di questa guerra. Inutili quanto lo sono state le vittime dei conflitti che si sono sviluppati dopo il ritiro israeliano alla Striscia nel 2005.
Di certo la proposta di pace formulata dal Segretario di Stato John Kerry (e subito sposata dal nostro Ministro degli esteri, Federica Mogherini) fa morire dal ridere: Israele dovrebbe fermare l’offensiva e in cambio Hams dovrebbe disarmare.  Una barzelletta, come quella raccontata al mondo intero circa il disarmo di Hezbollah previsto dopo la guerra del 2006 dal rinnovo della missione dei caschi blu in Libano ma che nessuno ha mai neppure tentato. E poi chi  andrebbe a Gaza a disarmare i miliziani palestinesi? I marines di Obama ritirati dall’Iraq, in ripiegamento dall’Afghanistan e in fuga in questi giorni da Tripoli?

Le “tregue umanitarie” che una Casa Bianca divenuta il miglior alleato di islamisti e jihadisti vuole imporre a Israele sono le stesse che Washington  ha sempre respinto quando le sue truppe erano all’offensiva in Serbia, Afghanistan e Iraq con la giustificazione di non dare respiro all’avversario. Il paradosso della guerra che “risparmia” il nemico invece di annientarlo è da tempo una delle cause del crollo di credibilità militare dell’Occidente (incluso Israele) e della percezione della nostra debolezza sempre più avvertita tra i nostri nemici, certo meno tecnologici ma più spregiudicati e pronti alla guerra vera (e al martirio) di noi.
Per ridurre la pressione internazionale lo Stato ebraico effettua addirittura “bombardamenti umanitari” avvisando con volantini, altoparlanti e persino sms la popolazione palestinese che determinate aree verranno attaccate. Svelando dove colpiranno  gli israeliani rinunciano alla sorpresa e le milizie palestinesi hanno tutto il tempo di ritirarsi (ovviamente mischiandosi ai civili per sfruttarli come scudi umani) lasciandosi dietro mine e trappole esplosive che sono la principale causa delle perdite israeliane.

Questi accorgimenti oltre a danneggiare le operazioni non ottengono neppure vantaggi politico-strategici dal momento che la comunità internazionale non risparmia dure  ritiche a Israele mentre i media sembrano abbeverarsi senza nessuno spirito critico alla propaganda di Hamas circa le vittime civili. Quando le guerre si combattevano per davvero colpire la popolazione contribuiva a minare il morale del nemico e a demolire il consenso nei confronti dei regimi e delle leadership. Questo era lo scopo nel 1940-45 dei bombardamenti aerei su Coventry, Londra, Amburgo, Dresda, Tokyo. Prima di portarci democrazia, cioccolata, collant e swing gli anglo-americani bombardarono le città italiane mietendo decine di migliaia di vittime ma ciò nonostante li abbiamo accolti come “liberatori”. Oggi che in Afghanistan usiamo i guanti di velluto continuiamo a venire percepiti come “invasori” per giunta inconcludenti  dal momento che a fronte dei limitati danni collaterali non siamo riusciti a sconfiggere i talebani e dopo dodici anni ci ritiriamo con la coda tra le gambe.

Le guerre di un tempo erano più sanguinose ma alla loro conclusione vincitori e vinti erano ben chiari. Aveva  ragione Edward Luttwak quando nel saggio “Give war a chanche” accusava le cosiddette “missioni di pace” di impedire ai conflitti di concludersi prolungando all’infinito l’instabilità e del resto la cultura buonista applicata alla guerra ha fatto molti danni, al  punto che agli attacchi nemici un tempo si replicava con la massima concentrazione di fuoco, oggi con la “risposta proporzionata”.  Se Israele non andrà fino in fondo, riconquistando la Striscia di Gaza e annientando le milizie palestinesi, le vittime registrate finora su entrambi i lati della barricata saranno state inutili e Hamas  potrà ricostruire in breve tempo tunnel e arsenali di razzi prolungando all’infinito una guerra che potrebbe venire risolta in meno di una settimana con un uso più determinato della forza, più sanguinoso ma risolutivo.

Del resto le guerre combattute in punta di piedi non portano a vittorie durature. La rivolta contro gli americani nell’Iraq “liberato” da Saddam Hussein non sarebbe stata possibile nella Germania del 1945 per la semplice ragione che quasi tutti i tedeschi in età per combattere erano morti, feriti, prigionieri o invalidi.  Invece in Iraq i tanti fans del raìs risparmiati dalla guerra leggera e “politically correct” del 2003 hanno dato una mano ai qaedisti  a trasformare il nord dell’Iraq nel Califfato dello Stato Islamico. Già la guerra è una vicenda orribile ma il vero crimine è renderla inutile impedendone la comclusione con vincitori e vinti.

Foto: IDF, Terrorism Information Center, Brigate Ezzedine el-Qassam

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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