Australia e Turchia nella Coalizione, l'Iraq non vuole gli arabi

Il primo ministro australiano, Tony Abbott, ha annunciato che i caccia di Canberra hanno cominciato il 1° ottobre a sorvolare l’Iraq, seppure senza ancora partecipare alle operazioni di combattimento contro lo Stato islamico. “Gli aerei australiani hanno cominciato a volare sull’Iraq in appoggio alle operazioni alleate”, ha spiegato Abbott intervenendo davanti al Parlamento. L’Australia ha inviato in Medio Oriente una squadra di aerei. Abbott ha chiarito che si tratta di voli che fanno parte di “operazioni di appoggio, non di bombardamento”, perché’ la partecipazione degli aerei da combattimento dipende dalla decisione del governo iracheno e del Parlamento australiano. L’Australia contribuisce da settimane allo sforzo bellico contro l’avanzata jihadista: ha compiuto missioni umanitarie in Iraq e consegnato armi e, a metà settembre, ha approvato l’invio di 600 soldati, otto cacciabombardieri F/A18 Super Hornet e un tanker KC-130a e un aereo radar E-7A. Secondo il governo australiano, ci sono circa una sessantina di jihadisti australiani che combattono nella regione e una ventina di loro sono già rientrati nel Paese.

Sul “fronte interno”  il Parlamento australiano ha approvato il decreto antiterrorismo che conferisce ampi poteri ai servizi segreti dell’Australian Security Intelligence Organisation (Asio). La nuova legge è stata criticata da una parte dell’opposizione perché riduce la libertà di stampa, prevedendo pene fino a 10 anni di carcere per chiunque divulghi l’identità di un agente dell’Asio o un’operazione speciale di intelligence senza previa autorizzazione. Gli 007 australiani potranno avere accesso illimitato a computer e altri dispositivi personali, una volta ottenuto un mandato. Il decreto rientra in una serie di iniziative legislative messe in campo contro il terrorismo internazionale, su cui l’allerta è massima dopo l’avvio dell’offensiva contro l’Isis. Ad agosto il governo di Canberra aveva lanciato l’allarme per il rientro di molti cittadini australiani che hanno combattuto in Siria e Iraq ed è stato sventato un piano che prevedeva una strage sul territorio nazionale.

La Francia ha deciso di inviare altri tre aerei Rafale negli Emirati arabi uniti e una fregata nel Golfo per rafforzare la propria componente militare impegnata nell’ambito della coalizione contro i jihadisti dell’Isis in Iraq. “Il dispositivo francese sarà portato a nove aerei Rafale” dispiegati presso la base francese di al Dhafra, negli Emirati arabi uniti, ha precisato lo Stato Maggiore della Difesa di Parigi. Questo rafforzamento della componente militare che opera nell’ambito della coalizione internazionale contro i jihadisti dello Stato islamico in Iraq “mira a intensificare il supporto aereo alle forze irachene, in termini di intelligence e ricognizione armata” Secondo Parigi, inoltre, si è inoltre reso necessario “un mezzo navale in grado di partecipare, in coordinamento con gli alleati, al controllo” dell’area.

Anche i turchi sembrano pronti a entrare attivamente  far parte della Coalizione. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha affermato davanti al Parlamento che “tonnellate di bombe sganciate dagli aerei rinvieranno unicamente la minaccia e il pericolo” aggiungendo che Ankara è pronta a “qualsiasi tipo di cooperazione per combattere il terrorismo”, aggiungendo però che la destituzione del governo siriano di Bashar al Assad resta anch’essa una “priorità della politica turca nella regione”. Dichiarazioni simili a quelle dell’emiro del Qatar, al-Thani, che potrebbero anticipare un intervento terrestre turco in territorio siriano. soprattutto lungo la fascia di confine con i territori curdi dove sono già schierati 10 mila militari con un reggimento carri M-60  (foto a sinistra) di Ankara posizionati a pochi chilometri dalla città curda di Kobane, stretta d’assedio dallo Stato Islamico. Qui droni e cacciabombardieri statunitensi hanno distrutto ieri alcuni veicoli armati, un pezzo di artiglieria e un blindato delle milizie, secondo quanto reso noto dal Central Command. La battaglia vede le forze jihadiste penetrate nei sobborghi del centro urbano la cui conquista permetterebbe ai jihadisti di prendere il controllo di gran parte del confine con la Turchia.

In Iraq le cose per i Peshmerga curdi e le forze governative vanno un po’meglio con una lenta riconquista dei villaggi cristiani e yazidi nel Nord ma non nelle aree sunnite della provincia di Ninive dove la popolazione sostiene il Califfato e vanno molto male a ovest dove,  dalla provincia di al-Anbar i jihadisti sono arrivati a poche decine di chilometri da Baghdad.
I curdi hanno annunciato di aver ripreso Rabia, situata circa 100 chilometri a nord-ovest di Mosul, dopo aver riconquistato i villaggi di As-Saudiyah e Mahmudiyah. “Le truppe sono nel centro di Rabia”, ha detto la fonte curda. Situata al confine con la Siria, Rabia è strategica per i rifornimenti dei jihadisti. Sostenuti dai raid aerei Usa, i peshmerga hanno anche attaccato Zumar, situata a circa 60 chilometri a nord-ovest di Mosul.

“Abbiamo cacciato l’Isis da 30 postazioni, presenti anche nelle zone di Zumar e Rabia”, ha sottolineato il portavoce Halgord Hekmat. “L’avanzata su Rabia faciliterà la riconquista di Sinjar”, ha aggiunto. Sinjar è la città conquistata dai jihadisti a inizio agosto, da dove sono fuggite decine di migliaia di civili, perlopiù appartenenti alla minoranza yazida. Anche a sud di Kirkuk, i peshmerga hanno ripreso il controllo di diversi villaggi situati nei pressi di Daquq, caduta in mano ai jihadisti il 10 giugno. “Hanno liberato i villaggi di Saad e Khaled. I peshmerga hanno preso il pieno controllo dell’area, dopo intensi scontri”, ha detto il generale Westa Rasul.

Scarso ottimismo anche sui tempi necessari a creare una forza da combattimento terrestre in grado di contrastare il Califfato in Siria. “Potrebbero essere necessari anni” per addestrare le forze dell’opposizione siriana in modo che siano in grado di combattere lo Stato islamico ha detto il generale americano John Allen in una intervista a Cnn.

Allen ( nella foto asinistra), a riposo da un anno, è stato incaricato lo scorso mese dall’amministrazione Obama di coordinare lo sforzo della coalizione internazionale contro i militanti sunniti.

“Quello che so di certo, che ho imparato guardando al-Qaeda lavorare sul terreno nell’area di Anbar nel 2007, è che arriverà il momento in cui l’Isis non potrà tollerare la struttura tribale nel territorio” che controlla, perché va contro la sua “influenza sulla popolazione” dice Allen. L’ex militare prevede che il gruppo militante “se la prenderà con le tribù locali” che lo riconosceranno per ciò che è davvero” e lo contrasteranno. Allen tra 2006 e 2008 fu alla guida dei marine americani nella provincia “calda” di al-Anbar (poi tra il 2011 e il 2013 guidò le forze alleate in Afghanistan) . Qui lavorò a costruire relazioni con i leader tribali sunniti perché contribuissero a combattere al-Qaeda. Spera quindi che una cosa analoga accada tra tribù sunnite e lo Stato Islamico ha detto a Cnn.

La Coalizione non sembra convincere del tutto il governo iracheno. Baghdad infatti si oppone “completamente” alla partecipazione dei Paesi arabi ai raid aerei contro gli jihadisti sunniti dello Stato islamico sul territorio iracheno. Lo ha sottolineato il premier iracheno, Haider al-Abadi, in un’intervista alla Bbc, riconoscendo che i caccia occidentali hanno “riempito molte lacune” nella lotta dell’Iraq contro i miliziani del Califfato. Della Coalizione internazionale a guida Usa contro l’IS fanno parte diversi Paesi arabi, come Emirati arabi uniti, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita e Giordania, Paesi che Baghdad ha più volte accusato di sostenere i terroristi islamisti.  Caccia arabi hanno effettuato raid contro le postazioni jihadiste in Siria ma non in Iraq, dove hanno agito solo statunitensi, britannici e francesi. Nel corso dell’intervista, Abadi ha assicurato che l’esercito iracheno sconfiggerà l’IS “se avremo una buona copertura aerea”, ribadendo tuttavia l’opposizione al dispiegamento di truppe straniere sul territorio. “Siamo molto chiari non accetteremo truppe straniere sul territorio eccetto quelle irachene”.

Secondo la missione dell’ONU in Iraq in settembre sono state uccise più di 1.110 persone , dati che non includono ne’ la provincia occidentale di al Anbar ne’ i decessi fra le fila jihadiste. La Missione di assistenza delle Nazioni unite in Iraq (Unami) parla precisamente di almeno 854 civili e 265 membri delle forze di sicurezza uccisi il mese scorso e di circa 2.000 feriti. Si tratta di un bilancio meno pesante di quelli di luglio e agosto (1.737 e 1.420 rispettivamente), che escludevano già la provincia di al Anbar. Quest’ultima è da gennaio in gran parte occupata dalle forze del Califfato e a settembre è stata teatro di violenze fra le più sanguinose con attacchi jihadisti contro delle basi dell’esercito che avrebbero provocato centinaia di morti.

Foto: Reuters, US DoD, Stato Islamico, Esercito Iracheno. Ministeroi Difesa francese, RAF, Boeing

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