"American Sniper" fa discutere

(AdnKronos/Washington Post) – Un eroe americano che combatteva il “male”. Un “assassino seriale” che godeva nell’uccidere le sue vittime. La figura di Chris Kyle, “il cecchino  più letale” della storia delle forze armate Usa, era riuscita a dividere l’opinione pubblica statunitense ben prima che la sua vicenda venisse raccontata in ‘American Sniper’, il film campione di incassi diretto da Clint Eastwood e ora candidato a sei Oscar tra i quali quelli per il miglior film e il migliore attore protagonista.

Nonostante i tentativi del protagonista Bradley Cooper di affrancare il film dall’aggettivo “politico”, insistendo in più di un’intervista che la pellicola è solamente il racconto del “dramma” di un soldato, American Sniper ha comunque finito per riaccendere lo scontro culturale tra l’anima conservatrice e quella liberal della società americana.

Un dibattito che, con il ritiro delle truppe dall’Iraq e con la scarsa attenzione dedicata alla guerra in Afghanistan, negli ultimi anni sembrava sopito. Chiunque si azzardi a mettere in discussione pubblicamente l’eroismo di Kyle, amplificando i propri giudizi attraverso i social media, rischia di venire sommerso da insulti e minacce.

E’ il caso della giornalista Rania Khalek che su Twitter si è messa a sottolineare polemicamente alcuni passaggi dell’autobiografia di Kyle, dalla quale  è tratto il film, per metterne in discussione l’immagine mitologica costruita attorno a lui. Per la Khalek, un film che “esalta” la figura di Kyle rappresenta una “pericolosa forma di propaganda che santifica un assassino di massa e riscrive la storia della guerra in Iraq”. Poco dopo aver postato i suoi commenti, la giornalista è stata ricoperta di insulti e minacciata di morte.

Immancabile l’intervento del regista Michael Moore, il fustigatore dell’era Bush, che sempre su Twitter ha bollato i cecchini come “codardi” che “sparano alla schiena”. In breve, dopo una valanga di furiosi tweet di risposta, Moore ha fatto una parziale marcia indietro, lodando l’interpretazione di Cooper.  Anche coloro che si sono limitati ad esprimere giudizi meno drastici sono andati incontro allo stesso trattamento, fino a dover ammettere di avere apprezzato il film.

Come ad esempio Seth Rogen, protagonista di “The Interview”, altro titolo al centro di un caso politico, che suTwitter si era preso gioco della pellicola paragonandola a un filmetto nazista.

Immediatamente, c’è stato chi ha ricordato a Rogen che “uomini come Kyle sono il motivo per cui ora non ti trovi in una prigione nordcoreana”. Ad accendere lo scontro ci ha pensato sul fronte conservatore anche €Sarah Palin.

L’ex governatore dell’Alaska e candidata in passato alla vice presidenza degli Stati Uniti, si è scagliata contro i “sinistrorsi di Hollywood”, colpevoli a suo giudizio di avere “sputato sulle tombe dei combattenti per la libertà” come Kyle. Per molti osservatori, la scontro culturale che si combatte attorno alla figura di Kyle e al film da lui ispirato si innesta in realtà in un dibattito più ampio che coinvolge la battaglia politica per il controllo delle armi e più in generale la spaccatura tra i conservatori favorevoli alla guerra in Iraq e i liberal pacifisti.

Si tratta di una frattura che, nella società statunitense, secondo alcuni analisti verrebbe amplificata dal continuo calo del numero di americani che prestano servizio nelle forze armate.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli americani che indossarono la divisa furono più del 12 per cento della popolazione. Attualmente, sono meno del 5 per cento, in gran parte appartenenti ad una fascia di popolazione che l’analista militare Thomas Ricks ha definito, “socialmente isolati e politicamente conservatori”. Sono dati che,  secondo i sociologi, amplificano la distanza culturale tra militari ed ex militari e il resto della popolazione civile.

Film come American Sniper, hanno scritto Karl Eikenberry e David Kennedy sul New York Times, finiscono per esacerbare le incomprensioni tra questi due mondi.

Per molti conservatori e appartenenti alle forze armate, quella di Chris Kyle è stata una figura esemplare e criticarla equivale ad una mancanza di rispetto sia per le forze armate che per i cittadini che scelgono di arruolarsi.

Per questo, “la sfida più grande per il nostro apparato militare non viene da un nemico esterno, ma dalla crescente distanza tra gli americani e le loro forze armate”.

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