JIHADISTI SPIETATI MA SPROVVEDUTI? LE "ZONE GRIGIE" NELLA STRAGE A CHARLIE HEBDO

(aggiornato il 9 gennaio ore 21)

Per essere dei professionisti del terrore, dei “mastini della guerra” avvezzi a ogni brutalità, i fratelli  franco-algerini Said e Cherif Kouachi si sono rivelati dei veri e propri “pivelli” lasciando i propri documenti su una delle auto utilizzate per fuggire dopo la strage alla redazione di Charlie Hebdo dove sembra abbiano dimenticato persino un guanto. Quasi volessero offrire alla polizia francese la prova completa del loro coinvolgimento nel sanguinoso blitz.

Possibile che all’estrema sicurezza e freddezza dimostrata nelle azioni a fuoco e nelle esecuzioni sommarie degli ostaggi i jihadisti abbiano abbinato una così dilettantesca dose di ingenuità e sbadataggine?

Forse i due hanno voluto spavaldamente farsi conoscere al mondo come i vendicatori del Profeta insultato dalle vignette del giornale satirico?

Che fossero pronti a farsi identificare correndo maggiori rischi di essere catturati pur di ostentare le loro gesta?  Possibile ma allora perchè agivano a viso coperto?
Fossero stati dei terroristi suicidi barricatisi nella redazione di Charlie Hebdo per combattere fino all’ultimo o farsi esplodere sarebbe stato comprensibile che volessero essere identificati.

Ma i due sono fuggiti tenendo a lungo in scacco ben 90 mila poliziotti e gendarmi francesi (numeri da mobilitazione bellica quelli annunciati dal governo francese) e solo nella serata di oggi sono stati uccisi dopo essersi barricati in un capannone industriale a Dammartin.

Stessa sorte per Amedy Coulibaly, a quanto pare amico e complice dei fratelli Kouachi che giovedì aveva ucciso una poliziotta ferendo un altro agente per poi barricarsi in un negozio di alimenti ebraici a Vincennes.  Elementi anomali e “sospetti” ce ne sono parecchi in questa vicenda, a partire da come i due killer abbiano potuto agire indisturbati nella redazione di Charlie Hebdo e andarsene tranquillamente.

Eppure i colpi di kalashnikov si odono a grande distanza ed è strano che non abbiano richiamato in breve tempo auto della polizia in una zona centrale di Parigi.

Oltre ad aver lasciato i propri documenti i due terroristi (il terzo sospetto, Mourad Hamyd, di 18 anni, cognato di Shérif, si trovava a scuola mentre veniva compiuta la strage) hanno abbandonato su una Citroen C-3 a nord est di Parigi anche una decina di molotov e due bandiere dello Stato Islamico come hanno riferito i media francesi citando fonti vicine al caso.

Materiale che secondo gli inquirenti dimostrerebbe “la loro radicalizzazione islamista e che forse avevano previsto altre azioni con questi ordigni”. Possibile che terroristi dotati di fucili d’assalto e lanciarazzi debbano ricorrere a rudimentali bombe molotov, più adatte ai disordini di piazza che alle azioni terroristiche?

E poi perché due seguaci del braccio yemenita di al-Qaeda, come si sono dichiarati loro stessi,  dovrebbero tenere in auto bandiere dello Stato Islamico?

I fratelli Kouachi pare abbiano combattuto in Siria con l’IS: Said era stato in Yemen più volte ad addestrarsi nei campi qaedisti nel 2011 secondo fonti statunitensi che hanno fatto sapere di avere entrambi i fratelli da tempo registrati nelle loro liste dei terroristi islamici. Cherif era stato in carcere in Francia (solo 18 mesi) per aver arruolato volontari da inviare in Iraq a combattere con al-Qaeda nel 2005:  all’epoca al-Qaeda in Mesopotamia (o nella Terra dei due fiumi) era il nome dell’organizzazione poi divenuta ISIS e oggi Stato Islamico.

Nel 2010 venne fermato e poi prosciolto per mancanza di prove dall’accusa di aver partecipato al piano per far evadere dal carcere il terrorista islamico Amain Belkacem.

In Francia come in molti Paesi europei i servizi di sicurezza devono tenere d’occhio molti personaggi con profilo simile ai fratelli Kouachi: certo un lavoro immane da eseguire costantemente (specie se i tribunali lasciano in galera solo per breve tempo i terroristi) ma è strano che i due abbiano potuto muoversi in così assoluta libertà, procurarsi armi da guerra (AK-103 e lanciarazzi), effettuare la strage a Charlie Hebdo e poi scomparire nel nulla beffando la gigantesca caccia all’uomo messa in campo dalle forze di sicurezza.

Anche la fuga da Parigi appare poco credibile. I due terroristi, a bordo di una Renault Clio grigia sarebbero stati riconosciuti, benché incappucciati, da un benzinaio che avrebbe anche notato a bordo dell’auto dei kalashnikov e forse un lanciarazzi, armi dello stesso tipo di quelle abbandonate dai Kouachi in un’altra auto, a Parigi.

Possibile che due terroristi ricercati da tutta la Francia tengano armi del genere in bella vista nei sedili posteriori dell’automobile?

L’assenza di rivendicazioni della strage a Charlie Hebdo costituisce inoltre un ulteriore elemento utile a sollevare dubbi circa la storia che ci è stata raccontata finora. “Se dietro questo attacco c’è un solo gruppo mi aspetto una rivendicazione entro le prossime 24 ore” aveva detto subito dopo la strage Matthew Henman, ricercatore presso IHS Jane’s Terrorism & Insurgency Centre.

Lo Stato islamico (IS), che non ha rivendicato il massacro si è limitato a definire i Kouachi  “jihadisti eroi” che “ hanno ucciso 12 giornalisti che lavoravano per la rivista francese Charlie Hebdo e hanno ferito altre 10 persone per vendicare il Profeta” in un comunicato a radio al-Bayan, considerata uno dei megafoni del Califfato.

Molti complimenti agli “eroi” ma nessuna rivendicazione neppure dalla galassia qaedista fino all’epilogo della vicenda. Solo dopo la morte dei tre terroristi al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) ha ammonito la Francia minacciando altre azioni e attribuendosi così la paternità degli atti terroristici.

Dovremmo forse credere che i Kouachi siano “cani sciolti” che hanno agito di loro iniziativa, addestrati a uccidere ma privi di una struttura di riferimento che abbia pianificato con cura l’azione?

Possibile ma sembrerebbe il contrario a giudicare dal numero e tipo di armi a disposizione, dal numero di auto impiegate per la fuga e dai rifugi sicuri di cui dovevano necessariamente disporre per sfuggire alla massiccia caccia all’uomo.

Troppe zone grigie in questa storia. Da Parigi urgono chiarimenti che forse gli stessi terroristi avrebbero potuto fornire se non fossero stati abbattuti quando sono usciti sparando all’impazzata dal capannone di Dammartin. In quel momento non c’erano più ostaggi in pericolo e i tiratori scelti dei reparti speciali Raid (Police Nationale) e GIGN (Gendarmeria) avrebbero potuto ferirli in modo non letale. Se avessero voluto davvero prenderli vivi.

Foto: AFP, Reuters e EMA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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