CACCIA DI NUOVA GENERAZIONE: ASIA BATTE EUROPA 2 A 0

La Corea del Sud ha scelto il partner straniero che dovrà affiancare la sua holding aerospaziale Korea Aerospace Industries (KAI) nella costruzione del nuovo aereo da combattimento di quinta generazione multiruolo KF-X destinato alla Republic Of Korea Air Force (ROKAF): sarà la società americana Lockheed Martin, con la quale KAI ha già sviluppato l’addestratore avanzato supersonico T/TA-50, e dalla quale il governo di Seul acquisterà 40 aerei d’attacco stealth F-35.

Scartata così l’unica altra opzione in campo – economicamente più vantaggiosa -, che prevedeva un consorzio formato da Korean Air (KAL, compagnia aerea nazionale attiva anche nelle attività industriali) e da un’inedita accoppiata Airbus-Boeing. Quest’ultima intendeva proporre ai sud-coreani un progetto ispirato all’F/A-18E/F Super Hornet di Boeing, e superava il divieto per il costruttore USA di esportarne le tecnologie di punta “girandole” al consorzio europeo, che con la sua divisione Defence and Space è partner di Eurofighter GmbH.

Un approccio che rimanda a quello adottato dalla stessa Boeing quando offrì a Seul i suoi F-15 “stealthizzati” equipaggiati con sistemi prodotti da Israele. A ogni buon conto Lockheed Martin, che nel programma KF-X avrà il (non meglio specificato) ruolo di Technical Assistance Company, s’è affrettata a promettere che trasferirà a Seul le tecnologie-chiave che occorrono per sviluppare il nuovo caccia coreano.

Una forza aerea “tutta-Lockheed”
Seul si accollerà il 60 per cento dei costi di sviluppo del suo nuovo multiruolo, che ammonteranno in una prima fase a 7,8 miliardi di dollari, mentre la parte restante verrà assicurata dal consorzio industriale che KAI e Lockheed formeranno insieme con l’industria aeronautica indonesiana PT Dirgantara Indonesia.

Il governo di Jakarta avviò nel 2010 un proprio programma per un Indonesian Fighter eXperimental, che tre anni più tardi fece confluire nel KF-X, con la promessa di ordinare almeno 80 esemplari di quello che in quel paese si chiamerà F-33 “Boramae”. Ora dall’Indonesia la Corea del Sud si attende una partecipazione pari ad almeno il 20 per cento.

Il caccia coreano, che nella ROKAF sostituirà a partire dal 2025 in 120 esemplari 214 anziani McDonnell Douglas F-4 e Northrop F-5, assomiglierà all’F-35. Pur essendo bimotore (formula cui si è arrivati dopo un aspro conflitto fra la Agency for Defense Development governativa, che proponeva due motori, e l’industria, che da ultimo spingeva per uno solo, prospettando in tal modo un programma generalmente meno oneroso), il KF-X avrà dimensioni un po’ ridotte rispeto al JSF, una generale semplificazione nei sistemi ed equipaggiamenti e un livello di Low Observability inferiore, ma comunque superiore a quello di un Typhoon o di un Rafale.

Una filosofia progettuale che richiama quella adottata per il trainer T-50, imparentato in qualche modo con l’F-16 di Lockheed ma sottoposto a un’approvazione americana nel caso di ulteriori sviluppi. Il legame di sangue
e forse le stesse premesse “ereditarie” fra Joint Strike Fighter e KF-X saranno però più forti, anche se sul secondo la stealthness verrà ottenuta con sviluppi incrementali (per esempio, il primo Block di produzione non avrà baie d’armamento interne ma solo una struttura compatibile con esse). Radar, avionica e persino l’armamento saranno di costruzione nazionale, mentre il propulsore sarà il turbofan americano a basso tasso di diluizione General Electric F-414 che potenzia il Super Hornet, il Gripen NG e l’indiano Tejas.

Fra il nuovo caccia, l’addestratore T/TA-50 e lo strike F-35 – per non parlare delle nuove batterie missilistiche superficie-aria PAC-3 ordinate alla società americana contestualmente all’accordo per il KF-X -, le forze aeree sud-coreane risulteranno totalmente “targate Lockheed”.

Una sorta di esclusiva industriale dagli innegabili effetti geopolitici che non ha precedenti nel panorama aeronautico mondiale. Per non scontentare troppo l’Europa, dopo aver preferito i tanker di Airbus a quelli di Boeing, a metà marzo il governo di Seul ha scelto di nuovo il consorzio europeo per la costruzione in Corea di 200 nuovi elicotteri medi civili e di 100 militari per l’attacco leggero da derivare dall’EC-155 di Airbus Helicopters.

Resta tuttavia la portata del monopolio accordato a Lockheed Martin nel settore a più elevata valenza economica e strategica: uno smacco per l’industria del Vecchio Continente, se si considera poi che da un’entrata nel programma KF-X essa poteva forse trarre qualche beneficio in vista di un ipotetico (adesso, ancora più ipotetico) successore dell’Eurofighter Typhoon.

A chi si appoggerà la Turchia ?
Su questo torniamo più avanti. Una vicenda per certi aspetti simile al programma sud-coreano sta avendo luogo nel frattempo in Turchia, dove a gennaio il Defense Industry Executive Committee presieduto dal premier Ahmaet Davutoglu ha avviato la pre-definizione del programma TF-X, volto a sostituire dal 2030 gli F-16 e F-4 turchi con un caccia da superiorità aerea di concezione e costruzione nazionali.

Conclusa nel 2013 una prima fase preconcettuale, portata a termine con l’aiuto della svedese SAAB, e abbandonata l’idea di entrare (con un ruolo subordinato) nel programma sud-coreano, anche il gruppo aerospaziale di Ankara Turkish Aerospace Industries per portare avanti questo programma chiede il supporto tecnologico-industriale di costruttori stranieri “esperti”.

Il 13 marzo il ministro della difesa turco ha emesso una Request For Information (RFI) diretta a non meno di nove industrie americane, europee e asiatiche che si “dimostrino in grado di progettare, sviluppare e/o produrre un caccia di quinta generazione”.

In prima fila, e almeno teoricamente favorita, c’è sempre lei, Lockheed Martin, dalla quale la Turchia attende 100 esemplari della versione a decollo convenzionale del Joint Strike Fighter (singolarmente, l’emissione della Request For Information è avvenuta lo stesso giorno in cui la TAI annunciava l’installazione su un esemplare USAF della prima sezione centrale di fusoliera di F-35 da lei prodotta).

Oltre a Lockheed sono in lizza la cinese Shenyang Aircraft Corporation, le europee Dassault, BAE Systems e ancora la SAAB. Anche Eurofighter potrà rispondere alla RFI di Ankara, sia a livello di consorzio quadripartito che a livello dei singoli partner. In via teorica quindi anche Alenia Aermacchi potrebbe partecipare alla competizione.

La cosa non guasterebbe, visto il pericolo di “ipossia” che incombe sulle sue raggiunte potenzialità nel campo di fighter e affini in vista della chiusura della linea Typhoon e dopo – ahinoi – la assai probabile esclusione del suo M-346 dalla super-gara per il nuovo trainer supersonico americano. Niente da fare invece, sempre teoricamente, per il partner tedesco-spagnolo (Airbus Defence and Space) di Eurofighter, che non risponderebbe al requisito del possesso di esperienza nei caccia di quinta generazione visto che diversamente da Italia e Gran Bretagna non partecipa a un programma di quella portata.

Non è un mistero del resto che la società tedesca, vendute quest’anno le sue azioni nel gruppo Dassault, non sia granché interessata a proseguire l’esperienza fatta con il caccia europeo, sfruttandola magari per un successore da condividere con quanti altri – Francia e Spagna – non hanno imboccato la strada dell’F-35 (che per inciso non vedremo neppure al Bourget 2015).

D’altro canto è difficile pensare che la Germania voglia buttare al vento ricerche ed esperienze maturate nel frattempo, da quelle nel campo della Low Obervability ai sistemi d’arma di nuova generazione, come lo studio di un’arma a energia diretta con cui equipaggiare in futuro il Typhoon che tiene in un cassetto.

L’incognita resta la britannica BAE Systems, già occupata negli Stati Uniti con il JSF e in Europa con l’UCAV. Interessata al programma turco è invece ancora SAAB, pronta a proporre ad Ankara il suo (forse troppo) piccolo monomotore multiruolo Gripen New Generation di “quarta generazione e mezzo” o, meglio, un prodotto derivato.

Alla Request for Information Ankara farà seguire a breve l’emissione di una Request For Proposal (RFP), che secondo l’autorevole HIS Jane’s potrebbe culminare entro la fine dell’anno con la designazione del partner che affiancherà Turkish Aerospace Industries nella seconda fase del programma appena avviata, e poi nella terza, quella dello sviluppo e della industrializzazione.

Un TF-X emulo dell’Eurofighter

Una questione centrale nel programma turco è la scelta della motorizzazione. Dati i cospicui rischi, tempi e quindi costi di sviluppo, come la Corea del Sud anche la Turchia non è in grado di sviluppare per il suo nuovo caccia un propulsore di concezione nazionale, rischiando però così di disperdere l’esperienza che la sua Alp Aviation sta acquisendo nella produzione su licenza di parti del motore Pratt & Whitney dell’F-35 e ancor più quelle promesse alla stessa TAI come principale polo europeo per le attività MRO&U destinate a quel motore.

A potenziare il futuro caccia di Ankara è candidato il consorzio Eurojet (dove Avio Aero – proprietà dal 2014 di General Electric – è partner al 21 per cento), con una versione maggiorata dell’EJ-200 sviluppato per il Typhoon. Un accordo di collaborazione con la turca Aselsan Elektronik Sanayi ve Ticaret A.Ş (Aselsan), da coinvolgere nei nuovi sistemi di controllo elettronico del motore europeo, è già stato firmato a gennaio.

Quanto alla scelta della soluzione monomotore o bimotore, questa è condizionata anche da ovvie ragioni di costo: sviluppare un aeroplano bireattore comporta un costo superiore di almeno il 50 per cento rispetto a uno monoreattore. Resta il fatto che la formula bimotore si adatta meglio al compito primario cui è destinato il caccia turco, che è quello della Air Dominance su lunghe distanze e dell’Air Superiority, con l’attacco al suolo come ruolo secondario.

Fornitura di motori e (si può presumere) di supporto nello sviluppo della sistemistica e sensoristica per il TF-X a parte, i costruttori/integratori militari europei di aerei da combattimento sono destinati a uscire con le ossa rotte dalle competizioni globali che accompagnano i programmi dei due soli nuovi caccia in gestazione nel campo occidentale, cui poi si deve aggiungere il programma giapponese Advanced Technology Demonstrator eXperimental (ATD-X), il cui velivolo dimostratore F-3 “Shinshin” dovrebbe volare entro l’estate (con motori stavolta di produzione nazionale ma dotati di un sistema di spinta vettoriale “ripreso” da una vecchia sperimentazione tedesca come di una Self Repairing Flight Control Capability “ispirata” a un programma della DARPA americana).

E’ fin troppo evidente come dopo l’adesione al programma F-35 (che per inciso e un po’ paradossalmente – l’ha dichiarato a marzo il responsabile USAF del programma – prima ancora di entrare in servizio ha già drammaticamente bisognoso di ringiovanire avionica, sensori e motore), l’Europa abbia rinunciato allo sviluppo di un nuovo aereo da combattimento con cui sostituire fra meno di 25 anni Eurofighter e Rafale, con il secondo che nel frattempo conquista tardivamente la sua fetta di mercato e il primo che non riesce a contrastare la feroce offensiva commerciale di Boeing.

Quest’ultima, per scongiurare la chiusura della linea del suo Super Hornet entro il 2017 lo sta proponendo a destra e a manca sfruttando le stesse potenzialità di crescita che arriderebbero al Typhoon, e il colpo le è appena riuscito in Kuwait (gli venderà 28 Super Hornet per complessivi 3 miliardi di dollari). Francia e Gran Bretagna costruiranno insieme un UCAV stealth, questo è vero, ma è incontestabile che i primi nuovi caccia con equipaggio a bordo ad affacciarsi sulla scena vedranno la luce altrove. Là dove nemmeno dieci anni fa si pensava di poter arrivare a tanto.

I costruttori europei costretti a rivolgersi oltre Atlantico

Perso il treno di una quinta generazione di caccia così “ispiratrice”, ed escluse da questi nuovi programmi extra-europei, alle industrie del Vecchio Continente non resterebbe che un’unica strada: stringere alleanze, il più possibile paritarie, con quelle statunitensi, che dal canto loro hanno di fronte le pesanti incognite dei successori dell’F-22 e dell’F/A-18.

Così la pensa il Vice President per i velivoli militari di Airbus Defence and Space Domingo Urena Raso, che a un forum in Croazia nel novembre scorso ha parlato dell’eventualità di collaborare con Boeing e/o Lockheed Martin allo sviluppo di un nuovo aereo da combattimento di quinta++/sesta generazione con cui poter equipaggiare tutte o gran parte delle forze aeree NATO. In questo modo si otterrebbe la desiderata, completa integrazione degli assetti aero-tattici di un’Alleanza (sperabilmente) non più necessariamente dipendente dalle risorse d’oltre Atlantico.

Un “caccia NATO”, pur tra le mille difficoltà (e i costi!) di un’integrazione di requisiti e apporti industriali differenti, potrebbe vedere l’industria aeronautica e della difesa europea di nuovo in trincea, promuovendo sul mercato un prodotto a tutti gli effetti anche “targato Europa”, e presumibilmente con doppia certificazione UE-USA. Potrebbe inserirsi in una simile prospettiva l’accordo raggiunto ad aprile da Roma e Washington per una mutuo riconoscimento delle rispettive certificazioni militari, passo obbligato per Aeronautica e Marina per poter gestire tecnicamente i loro F-35 (aerei di cui “non abbiamo contezza della documentazione di dettaglio di determinati sistemi”, ha dichiarato all’agenzia Air Press il generale Francesco Langella di Armaereo).

Un “caccia NATO” al momento è negato tanto dalla proliferazione del Joint Strike Fighter statunitense – già scelto da 12 paesi – e prevedibilmente dal “Super JSF” di cui già si favoleggia, quanto dalle chance di esportabilità senza divieti assoluti da parte degli Stati Uniti che potranno vantare, quando (e se) arriveranno in porto, sia il caccia turco sia quello sud-coreano, con quest’ultimo (magari commercialmente “impacchettato” col trainer T/TA-50) a rendere ancora più solido il monopolio mondiale di Lochkeed Martin.

Mettendo sul tavolo l’ipotesi di una collaborazione con i costruttori d’oltre Atlantico – da estendere possibilmente a un settore sempre più importante per le operazioni aeree come la cybersecurity – il dirigente della massima industria aerospaziale europea ha fatto un’implicita ammissione dell’incapacità dell’Europa di cavarsela da sola negli anni a venire nel campo dell’aviazione da combattimento. L’UCAV franco-britannico sarà, forse, l’eccezione che confermerà la regola.

Foto: Boeing, Lockheed Martin, KAI, TAI

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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