Lotta ai trafficanti: il pessimo esempio di Atalanta

da Il Sole 24 Ore del 20 maggio

Anche se ufficialmente le bocche restano cucite negli ambienti militari italiani ed europei si registrano non poche perplessità circa la messa a punto dell’operazione Eunavfor-Med che verrà guidata dal contrammiraglio Enrico Credendino dal comando che Roma ha istituito per le operazioni targate Ue presso la base romana di Centocelle.

Non è chiaro quale mandato verrà assegnato all’operazione ma molto dipenderà da come si esprimerà il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: se autorizzerà solamente la requisizione in mare delle imbarcazioni utilizzate per trasportare i migranti illegali o se verranno consentite incursioni a terra. In questo caso l’obiettivo autorizzato saranno solo i barconi o sarà possibile colpire anche i trafficanti e i loro capi?

Le disposizioni che verranno autorizzate dall’Onu o da eventuali accordi con le autorità libiche (i governi rivali di Tobruk e Tripoli) influiranno pesantemente sulla definizione finale dell’operazione, attesa per il vertice dei capi di Stato della Ue di fine giugno. Se il mandato sarà troppo blando le regole d’ingaggio utilizzate potrebbero risultare inefficaci con il rischio che alcuni dei Paesi che finora hanno dato una disponibilità di massima a inviare proprie navi (unità tedesche e britanniche sono già in loco) si tirino indietro per evitare umilianti figuracce.

Non a caso “nessuno si è impegnato a specifici contributi” per Eunavfor ha detto ieri l’ammiraglio francese Patrick de Rousiers, capo del Comitato militare europeo.

A Bruxelles intanto si sprecano i paralleli con la missione europea contro la pirateria somala Atalanta, in questi giorni sbandierata come un successo che ha consentito di azzerare il fenomeno piratesco nelle acque dell’Oceano Indiano.

In realtà l’operazione Atalanta costituisce una parte del dispositivo navale internazionale antipirateria che comprende una flotta NATO e gruppi navali messi in campo da numerosi Paesi.

Navi da guerra che hanno scortato convogli di mercantili e protetto le navi dell’ONU che portavano generi di prima necessità a Mogadiscio ma che non sono mai riuscite a debellare la pirateria somala, azzerata (176 attacchi nel 2011, 2 nel 2014, nessuno quest’anno) in realtà dalla diffusione capillare a bordo dei mercantili di guardie armate. Per molti versi l’intervento della flotta Ue è stato poi meno incisivo di quello di altri Paesi.

Mentre indiani e russi non esitavano ad aprire il fuoco uccidendo un elevato numero di pirati, la flotta Ue adottava regole d’ingaggio morbide limitandosi a mettere in fuga i pirati e anche quando riusciva a catturarli spesso doveva liberarli (dando loro cibo e carburante) perché nessun Paese voleva processarli o per mancanza di prove, poiché prima di arrendersi i pirati gettavano in mare armi e attrezzature per gli abbordaggi.

Nel 2012 il comando di Atalanta decise di distruggere sulle spiagge i barchini (skiff) impiegati dai pirati ma dopo il primo raid con gli elicotteri le bande somale minacciarono di uccidere i marinai delle navi catturate e gli attacchi terminarono.

Un precedente di cui si parla poco in questi giorni ma che non sembra certo benaugurale per l’operazione Eunavfor Med che dovrebbe distruggere i barconi dei trafficanti. Del resto il parallelo tra le due missioni targate Ue pare forzato sotto molti punti di vista.

Gli spazi marittimi ristretti del Canale di Sicilia non sono quelli dell’Oceano Indiano e con una decina di navi si potrà fare ben di più per controllare ogni movimento sulle spiagge e nei porti.

E’ vero che la costa libica si estende per oltre 1.500 chilometri contro i 3 mila di quella somala ma le partenze dei migranti sono quasi tutte concentrate nel tratto tra Zawyah, Zuara e Sabratha, cioè di fronte a Lampedusa.

Rispetto al contrasto ai pirati somali il nemico e gli obiettivi sono diversi. I trafficanti libici puntano a mettere in mare barconi di clandestini che le flotte Ue soccorrono e portano in Italia mentre i pirati utilizzavano “skiff” e navi madri per attaccare con le armi i mercantili.

In Libia il nemico sarà poco visibile in mare e, se si vorrà davvero combatterlo, occorrerà andare a colpirlo a terra con una serie di rischi per le truppe impegnate certo non paganti se l’obiettivo è limitato alla distruzione di gommoni e barconi.

“La prima priorità è che i comandanti delle operazioni preparino piani di azione da presentare alle istituzioni politiche” ha detto ieri de Rousiers precisando che nelle prossime settimane sarà definito il tipo d’intervento “se con mezzi sottomarini, di superficie o aerei”. In pratica ha ammesso che nell’incertezza del mandato politico e degli obiettivi militari che si intendono conseguire l’operazione Eunavfor-Med è ancora “in alto mare”.

Foto: Eunaffor Atalanta, Marina Militare

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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