La propaganda dell'ISIS nei Balcani

Nota: per evitare ulteriore pubblicità alle realtà analizzate e inconvenienti ai lettori, al posto dei nomi completi dei siti jihadisti compariranno le abbreviazioni.

Anche nei Balcani la propaganda dell’Islam radicale corre sul web. Mentre molto è stato scritto sugli strumenti utilizzati in occidente dai sostenitori dell’ISIS, poco si sa su quanto avviene nei territori dell’ex Jugoslavia. Come spesso accade, il paese maggiormente interessato da questo genere di attività è la Bosnia, sia in considerazione del fatto che la maggioranza relativa della popolazione è di fede islamica, sia perché sono ormai storici i legami fra certi ambienti integralisti e i principali gruppi jihadisti mondiali, tanto che, secondo il settimanale croato Globus, ormai sono più di 4 mila i simpatizzanti dello Stato Islamico che vivono nel paese balcanico.

Per ottenere maggiore attenzione e supporto alla causa del Califfato, chi si occupa della promozione dell’estremismo sfrutta abilmente le stragi e la sconfitta militare subite dai Bosgnacchi nel conflitto del ’92-’95 contro i “Četnici”, scaldando gli animi e accrescendo il senso di frustrazione e odio.

Sebbene fino ad ora l’opera di mobilitazione dei fedeli non abbia prodotto che limitati risultati sul territorio, se si esclude il drammatico attacco a Zvornik, i Balcani restano comunque una delle aree maggiormente rappresentante nelle fila dei volontari impegnati a combattere per il Califfato in Siria ed Iraq. La possibilità che questo scenario cambi nel prossimo futuro, e che quindi anche la Bosnia, il Sangiaccato e il Kosovo diventino aree di scontro aperto, viene comunque categoricamente esclusa dall’esperto di tematiche militari Miroslav Lazanski, come confermato anche in una sua recente intervista alla rete televisiva ATV.

L’attivismo sui social network e in internet continua a crescere e poco possono gli interventi delle autorità che, di tanto in tanto, decidono di chiudere qualche canale Youtube o profilo Facebook, lasciando l’incertezza se tale “moderazione” nell’aggredire la propaganda online sia o meno dovuta alla volontà di avere “degli specchietti per le allodole” sempre disponibili per monitorare il comportamento delle teste calde.

Al di là di ciò, comunque, proprio sulla piattaforma inventata da Zuckerberg è possibile trovare quella che, al momento attuale, pare essere la più grande comunità virtuale (P.V.); con quasi 7.800 “mi piace”, infatti, il portale in questione permette di accedere a una vasta serie di informazioni sui principali conflitti combattuti dalle truppe dell’ISIS e dai suoi simpatizzanti. Il tutto è condito con frasi di disprezzo ed odio nei confronti dei nemici, sia che si tratti di truppe regolari occidentali o alleate, sia di lealisti siriani o afghani (che vengono sempre chiamati “marionette”).

Alle notizie “flash” dal fronte, che riferiscono sempre di eroiche vittorie, si aggiungono anche commenti sulle news riportate dai media occidentali a riguardo, ad esempio, della Bosnia o dei Balcani in genere.

Ecco quindi che trovano sempre grande spazio commenti o articoli in cui viene smentita categoricamente l’esistenza di wahabiti “importati” dall’estero e di “villaggi jihadisti” o di “campi di addestramento”, due temi tornati prepotentemente alla luce in seguito ai servizi realizzati da alcuni quotidiani britannici e ripresi poi dai principali quotidiani della comunità bosgnacca. Per sostenere tale tesi, che alla luce del grande numero di reportage esistenti pare quantomeno dubbia, i gestori del sito utilizzano sia il lavoro di network “neutrali” (video), sia la testimonianza stessa degli individui accusati di terrorismo internazionale, i quali vengono sempre rappresentati come vittime della propaganda anti-islamica.

Oltre a ciò, il portale, che può vantare anche un sito internet sempre aggiornato e ricco di contenuti (e un forum abbastanza “esplicito” che ora sembra non più utilizzato), si sofferma anche su altri temi, come i “massacri compiuti in Africa dai cristiani ai danni dei musulmani”, ma soprattutto sulla riproposizione dei più importanti messaggi audio/video lanciati dai mujaheddin impegnati in Siria o Iraq, che vengono tradotti o sottotitolati in serbo-croato, nonché commentati dagli amministratori, rendendo spesso disponibili, per chi volesse informarsi meglio, i contatti dei gruppi o degli jihadisti che li hanno realizzati.

Meno conosciuto (i media locali, ad esempio, non lo hanno ancora menzionato fra le pagine vicine al movimento jihadista), è S.I., che si definisce un media center ufficiale contenente “il materiale dello Stato Islamico in lingua bosniaca” e che sicuramente rappresenta la realtà più ricca di contenuti fra quelle reperibili online e su Twitter.

Sulla homepage, è possibile scegliere fra diverse opzioni, come scaricare Dabiq, guardare in streaming o fare il download dei video realizzati dall’ISIS (a differenza della “concorrenza”, su questa piattaforma sono presenti pressoché tutti i filmati ufficiali), leggere le news provenienti dal campo di battaglia (a breve saranno disponibili anche in formato MP3) o istruirsi sulle ragioni per cui è necessario recarsi in Siria ed Iraq.

Questo modo di fare propaganda è comune anche ad altri siti, che spesso forniscono lo stesso materiale o si limitano a riproporre quello realizzato dalle pagine e dai portali “più forti” e seguiti (non è chiaro se si tratti o meno delle stesse menti che, ampliando il numero di pagine reperibili, cercano di aumentare la propria visibilità). Fra tutti, comunque, spiccano altri due portali molto seguiti.

Il primo, (V.U.), nonostante abbia perso la pagina Facebook, riesce a fornire più o meno gli stessi “servizi” di P.V., a cui aggiunge una maggiore capacità di realizzare approfondimenti sulle tematiche di attualità: ecco, quindi, che ai commenti sull’ultimo numero di Dabiq (mensile ufficiale dello Stato Islamico) uscito, si aggiungono valutazioni sul fallimento dell’Europa e della politica monetaria comune, nonché commenti scritti da esponenti di Al-Nusra.

Compaiono spesso anche forti accuse contro il razzismo occidentale, il reclutamento di giovani balcanici da parte delle società private anglosassoni, le attività dei serbi di Bosnia (definiti ancora Četnici) ed aspre critiche alle strutture islamiche moderate balcaniche, che vengono dipinte come servi dei nemici del Califfato.

Ancora più particolare è invece il caso di P.H., realtà dedita al 100% e in maniera esplicita a sostegno del Califfato. Questo portale, che si definisce “informativo e promozionale”, pubblicizza le visione più radicali dell’Islam e del concetto di Jihad, e si dedica soprattutto alla propaganda video.

Mentre il sito è, infatti, relativamente poco aggiornato ed interessante, il canale Youtube, chiuso dopo la pubblicazione di un filmato in cui gli Stati ex Jugoslavi venivano apertamente minacciati, ha fornito per mesi (forse addirittura anni) un incredibile “servizio” di traduzione e sottotitolatura dei video rilasciati dall’ISIS. Poco dopo l’uscita della versione originale,

P.H. era in grado di far arrivare nelle case dei simpatizzanti la versione in serbo-croato di video sull’andamento della guerra, messaggi diretti ai fedeli balcanici e semplici video di propaganda in cui veniva magnificato lo stile di vita delle zone controllato da Al-Bagdhadi. E’ interessante notare, però, come i video caricati su Google Drive e visibili in streaming non siano stati toccati dalle recenti operazioni di pulizia realizzate dalle autorità, ma, anzi, siano anche disponibili per il download.

Ecco, quindi, che il visitatore può tranquillamente scegliere fra 173 filmati diversi, realizzati sia direttamente dalle strutture dell’ISIS o di Boko Haram, sia da Imam radicali che istruiscono e motivano l’aspirante jihadista ad intraprendere la Guerra Santa e ad immolarsi per la causa.

In ogni caso, non sono solo questi siti a rappresentare una potenziale minaccia, poiché sono reperibili in maniera relativamente facile da chi naviga e quindi, allo stesso modo, controllabili senza eccessive difficoltà dalle Autorità. Più problematico appare monitorare, invece, le decine e decine di account e i blog che, pur avendo molto meno seguito, lanciano gli stessi messaggi, anche se con minore professionalità e precisione.

Chi voglia sentire questo genere di input, infatti, non incontra troppa difficoltà a trovare una “voce”, salafita in primis, che gli spieghi perché è giusto aderire ai dettami più conservatori dell’Islam (che vengono fatti sembrare un aspetto normale della cultura bosgnacca) o partire alla volta della Siria per difendere i “fratelli in pericolo”. Vi sono, poi, numerosi altri portali o gruppi creati nei principali social network i cui contenuti potrebbero essere definiti al limite dell’estremismo, ossia non apertamente minacciosi, ma comunque molto rigidi e tendenzialmente ostili nei confronti delle popolazioni vicine (basti pensare alla pagina Facebook da più di 100mila followers che ha pubblicato una cartina indicante le direttrici da seguire per invadere la Repubblica Serba di Bosnia).

Per tale ragione viene enfatizzata la differenza di culto rispetto a quello dei Croati e dei Serbi. E’ chiaro, comunque, che limitarsi ad agire su internet con chiusure e oscuramenti di pagine web non può essere la soluzione, poiché senza una responsabilizzazione della politica, che spesso gioca con queste tematiche, sembra difficile poter far retrocedere efficacemente e significativamente il fenomeno.

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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