Le fregate multiruolo della Marina cinese

Per quanto possa sembrare all’apparenza poco interessante/rilevante, in realtà l’analisi dell’approccio seguito dalla People’s Liberation Army Navy (PLAN) nello sviluppo delle sue unità di cosiddetta prima linea, e più in particolare delle fregate, merita di essere analizzato; e questo perché sotto molti punti di vista esso rappresenta proprio il perfetto esempio dello sforzo profuso da questo Paese nell’ambito del processo di potenziamento del proprio strumento militare e, più in particolare, di quello navale. Oltreché, ovviamente, dei risultati da esso conseguito, anche in campo industriale e tecnologico.
Uno sforzo le cui origini possono essere fatte risalire alla fine degli anni 50 del secolo scorso, grazie all’assistenza dell’Unione Sovietica e che proprio per le fregate si svilupperà con ritmi quantitativi e qualitativi crescenti.

Le origini: dalle Chengdu alle (numerose) Jianghu

È infatti sulla base del “trattato Cino-Sovietico di amicizia e alleanza”, siglato proprio nel 1950 da Stalin e Mao, che prendono forma le prime mosse della Marina cinese nel campo delle unità di superficie di dimensioni maggiori.
Tra i punti principali di quell’accordo è prevista la cessione alla Cina di 4 vecchi cacciatorpediniere della classe Gnevny (risalenti agli anni 40) e di altrettanti kit di assemblaggio per ben più moderne fregate della classe Riga; queste ultime verranno poi assemblate nei cantieri Huangpu di Guangzhou e Hudong di Shanghai tra il 1955 e il 1958 grazie all’assistenza di tecnici russi. Proprio queste ultime rappresentano, con tutta evidenza, l’acquisto più importante trattandosi di unità progettate e costruite proprio in quegli anni; lunghe 91 metri e larghe poco più di 10, tali fregate presentavano un dislocamento a pieno carico di circa 1.500 tonnellate. La caratteristica importante era rappresentata dall’apparato propulsivo, incentrato su 2 turbine a vapore per una potenza installata di 21.000 Hp; ne risultava una velocità massima di oltre 28 nodi ma anche valori di autonomia modesti (aggravati da problemi di affidabilità).

Tra le fila della PLAN queste navi hanno quindi preso il nome di classe Chengdu (o Type 01), mantenendo lo stesso armamento e la stessa dotazione si sensori delle unità sovietiche originali; per quanto riguarda i sistemi d’arma si segnalano i 3 pezzi singoli da 100 mm, i 2 pezzi binati da 37 mm e gli altrettanti impianti binati con mitragliatrici da 14,5 mm, oltre a un impianto binato/trinato lanciasiluri da 533 mm. Conferme anche sul fronte dei sistemi antisom dove si segnalano i 4 mortai per il lancio di cariche profondità e i 2 lanciarazzi con lo stesso scopo. Immutato invece, e non avrebbe potuto essere altrimenti vista l’arretratezza tecnologica della Cina di allora, il pacchetto di sensori con un radar per la scoperta di superficie, uno per la scoperta aerea e uno di navigazione; a questi si aggiungeva poi un sonar.

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Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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