Il giornale di chiesuola dell’ammiraglio

L’ammiraglio Guido Venturoni, il mitico “Yamamoto”, come era noto in Marina, è stato uno dei più insigni, incisivi e longevi capi militari italiani del dopoguerra. Dal 1982, anno in cui diventa Capo del Reparto Piani e Operazioni dello Stato Maggiore Marina, alla fine del 2002, quando lascia il servizio attivo nell’incarico  di Presidente del Comitato Militare della  Nato si è trovato ininterrottamente nel cuore del decision making strategico nazionale e Nato.

Poche greche italiche, forse il solo Giampaolo Di Paola, un altro marinaio, hanno avuto tanta influenza e peso nell’elaborazione e nelle gestione di quella politica estera sempre più attiva e assertiva – e a valenza essenzialmente militare, pur nella sua veste diciamo così “buonista” – che ha caratterizzato l’azione internazionale dell’Italia dagli anni 80 in poi.

I due ammiragli hanno peraltro collaborato personalmente e strettamente in tale attività, con una precisa ripartizione di ruoli, in una specie di riedizione nostrana  e naturalmente assai meno drammatica – nonché abbondantemente mutata nel mutandis –  del duo Hindenburg- Ludendorff che insieme alle operazioni belliche condusse la politica militare tedesca e la politica tout court della Germania nella Prima Guerra mondiale. I caveat del parallelo sono evidenti, ma la sostanza dell’analogia è piuttosto fondata

All’inizio di quest’anno, l’ammiraglio Venturoni ha voluto ripercorrere la sua vita militare e le molte vicende che ha attraversato, quasi sempre da protagonista, scrivendo un agile e essenziale memoriale, “Il giornale di chiesuola dell’Ammiraglio”, che è stato recentemente dato alle stampe da in Edibus, una giovane e intraprendente casa editrice di Vicenza che ha pubblicato molto su argomenti militari. Come forse non è noto a tutti, il “giornale di chiesuola” è il registro sul quale l’ufficiale di guardia di una nave, o il Comandante, quando assume la direzione della manovra riporta tutti gli elementi salienti relativi alla navigazione e alla vita di bordo.

Nel nostro caso il predetto giornale di chiesuola funziona da cadenzata metafora di un’esistenza molto attiva, evidenziando la multiforme attività professionale che l’ha caratterizzata. Un’esistenza e un’attività che si sono intrecciate strettamente, soprattutto da un certo punto in  poi, con la vicenda del Paese.

Tale esistenza-vicenda è rievocata all’inizio del libro tramite un amarcord colorato, piacevole e vivace, e successivamente, man mano che il privato viene soverchiato da un pubblico straripante, attraverso un ricorso sempre più frequente a riferimenti temporali puntuali. Questo accade per il moltiplicarsi di impegni crescenti  che a suo tempo furono diligentemente annotati in un corpus di diari che sono poi alla base della stessa decisione di scrivere il libro.

In un certo giorno del 2014, racconta infatti l’autore, i suddetti diari sono stati scoperti dalla sua famiglia, che ha reclamato la loro divulgazione pubblica, dato il loro grande valore documentale e anche storico. L’interessato  inizialmente non ne voleva sapere, ma poi fortunatamente ci ha ripensato e una volta tanto ha obbedito, invece di comandare.

Il risultato è andato ben oltre le intenzioni di quel  relativamente piccolo cabotaggio che doveva essere il  contesto  della pubblicazione, secondo le intenzioni dello stesso interessato , per assurgere al rango di una qualificata e importante testimonianza di come si è collocata. nel mondo reale e nella seconda decisiva metà del secolo XX, prima la Marina, poi l’Italia militare e in seguito l’Italia e basta (con un corposo e finale  addendum Nato).

Quasi tutti  gli avvenimenti salienti di tale periodo sono rievocati attraverso gli occhi di chi li ha vissuti e quasi sempre gestiti in prima persona. Particolarmente avvincenti  risultano gli inizi, a partire dai retroscena relativi alla costituzione dell’aviazione di marina, che furono governati essenzialmente da due figure – inizialmente l’ammiraglio Giovanni Fiorini, padre nobile dell’aeronavale MMI e in seguito, fino alla felice conclusione dell’impresa, il nostro autore, che ha tradotto le intenzioni in fatti vincendo opposizioni agguerrite, non solo all’esterno della forza armata.

Seguirono – sempre in solo ambito Marina –  l’ammodernamento della linea anfibia, l’intervento in Libano, la vicenda Achille Lauro/Sigonella e la partecipazione alla liberazione del Kuwait (Desert Storm). Il tutto inframmezzato da importanti periodi di comando – fregata Fasan, l’incrociatore Caio Duilio, 1° Divisione navale e  CINCNAV, quest’ultimo seguito dai successivi incarichi di Sottocapo e Capo di Stato Maggiore  della  Marina.

Dal successivo ponte di comando di Via XX Settembre, presidiato a lungo  – Venturoni fu Capo di Stato Maggiore della Difesa per ben cinque anni – giunsero altri risultati: l’elaborazione del nuovo modello di difesa, l’accelerazione dell’ integrazione interforze (come normativa e prassi), il salvataggio dei connazionali nel Ruanda genocidario del ‘94(condotto d’iniziativa, su delega quasi totale di un governo dimissionario), la partecipazione dell’Italia militare alle iniziative Nato e internazionali di quegli anni – euromissili, crisi USA-Libia, SDI, operazione Alba,  Desert Storm, Somalia, Balcani. Questi ultima vicenda articolata nel capitolo Bosniaco e, successivamente, serbo-Kosovaro (guerra contro la Serbia del 1999) che fu affrontato dal nostro ammiraglio dal Quartier Generale Nato di Bruxelles, nel nuovo prestigioso incarico di Chairman del Comitato Militare Atlantico.

Si trattò  di un’esperienza  molto impegnativa che vide Venturoni  in una posizione di grande responsabilità, come trait d’union e moderatore fra le nazioni Nato – in massima parte tutt’altro che entusiaste dell’intervento “duro” dell’Alleanza sulla Serbia di Milosevic – e il SACEUR, alias generale Clark, comandante delle forze Nato sul campo, che premeva per intensificare la pressione sui serbi, senza troppa considerazione per le perdite collaterali. Il ruolo del Chairman era quasi politico, o comunque a forte connotazione politica, e mise in luce una particolare abilità dell’autore  a gestire situazioni inusitate, intricate e “multidisciplinari”, diciamo così, con aspetti direttamente collegati con gli umori e le sensibilità delle pubbliche opinioni, che sono i veri Sovrani dei regimi democratici.

In tale ruolo egli aveva già mostrato una particolare perizia anche quando, in Patria,  aveva dovuto affrontare in televisione agguerriti polemisti sostenuti da platee ostili che attaccavano le forze armate per episodi sgradevoli o addirittura tragici che le avevano coinvolte. L’affondamento di un barcone di albanesi per una collisione con la corvetta Sibilla e la polemica su presunti comportamenti inumani dei parà della Folgore in Somalia, entrambi del 1997, sono due esempi di tali situazioni. In ambedue l’ammiraglio combatté e in un certo senso vinse una difficile battaglia mediatica, e le conseguenze non furono di poco conto.

La “rinascita” delle forze armate, nella considerazione popolare del nostro Paese, scaturisce anche da quelle vittorie, come anche da vicende quasi epiche che ebbero come protagonisti altre figure carismatiche come il generale Franco Angioni a Beirut e il suo collega Bruno Loi a Mogadiscio, peraltro ripetutamente citati nel Giornale di Chiesuola. Si tratta di una nuova e inusitata funzione comunicativa che i capi militari devono padroneggiare allo stesso modo delle discipline prettamente marziali, senza peraltro farsene travolgere o condizionare troppo, come è successo altrove.

Ad esempio negli Stati Uniti, con il Generale–Segretario di Stato Alexander Haig, dimissionato per una frase incauta pronunciata subito dopo l’attentato del presidente Reagan del 1981, ma in realtà abbattuto dal proprio straripante protagonismo che aveva destato l’ostilità della Washington che contava. Più recentemente si può citare il caso  del generale Petraeus, sempre US Army, vittima da una propria errata valutazione a proposito di quello che nel suo  Paese è (e non è) concesso ad una figura pubblica, peraltro molto invidiata e temuta.

Quello che si può dire dell’ammiraglio Venturoni a questo proposito è che questo rischio lui non l’ha corso, riuscendo a stabilire e a mantenere eccellenti rapporti con i media, l’opinione pubblica e l’establishment del Bel Paese e dell’Occidente in genere, senza strafare.

Dai vari presidenti della Repubblica italiana e americana che ha conosciuto, frequentato  e consigliato, a tutti i premier e ministri con i quali ha interagito diuturnamente, ai grandi tycoon, agli opinion maker più influenti, ai Re, reali e virtuali, con i quali è venuto in contatto – Juan Carlos di Borbone, varie sovrane nordiche, vice-imperatori cinesi, alti esponenti della Corte di San Giacomo e infine, last but not least, il vero re d’Italia di quegli anni, Gianni Agnelli, con il quale a suo tempo stabilì un rapporto quasi amicale di reciproca simpatia e stima, un rapporto che talvolta fu utilizzato a beneficio delle forze armate.

Molti episodi fra i più gustosi descritti nel libro riguardano questa peculiare empatia con i Grandi della Terra che contribuiscono a fare dell’ammiraglio Venturoni un militare ortodosso e del tutto omogeneo al sistema – un pilastro del medesimo – ma allo stesso un leader pubblico assolutamente atipico, almeno per il contesto italiano.

Guido Venturoni
Il giornale di chiesuola dell’ammiraglio
Ricordi e diario di un ragazzo di campagna
inEdibus, 2015
Euro 18

 

Foto: NATO

 

Ufficiale di Marina in spirito ma in congedo, ha fatto il funzionario Nato e il dirigente presso aziende attive nel settore difesa. Scrive da quasi un quarantennio su argomenti navali, militari, strategici e geopolitici per pubblicazioni specializzate e non. Vive a Roma.

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