Siria: è il momento dell'Italia?

Malgrado la stretta di mano tra Barack Obama e Vladimir Putin al termine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la strada per il ritorno di Stati Uniti e Russia dal confronto alla cooperazione resta in salita e disseminata di potenziali motivi di tensione. Dall’Ucraina passando per l’Europa, la conflittualità che attraversa le relazioni tra Mosca e Washington sembra ora guadagnare la superficie anche nel Mediterraneo, dove la crisi in Siria si trova a un punto di svolta.

Nell’attuale scenario di sicurezza l’Italia potrebbe e dovrebbe assumere un ruolo primario nella composizione diplomatica dei diversi interessi in campo, facendo leva sulle buone relazioni tanto con gli Stati Uniti che con la Federazione Russa e sulla particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi e delle dinamiche del Mediterraneo e del Medio Oriente.

L’Italia dovrebbe, pertanto, svolgere un ruolo più incisivo nel promuovere quella “transizione politica” auspicata dal Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a margine del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, “a conclusione della quale Bashar al-Assad dovrà uscire di scena”, ricercando un punto di compromesso di medio periodo attorno al quale tutti gli attori coinvolti, a livello regionale e internazionale, possano coalizzarsi per far fronte al nemico comune del terrorismo e, più in particolare, all’ISIS.

Un’operazione di mediazione si rende quanto mai necessaria alla luce delle criticità emergenti dal compromesso raggiunto fra Mosca e Washington, che non trova fondamento su di una visione strategica condivisa, bensì sul timore che l’ISIS destabilizzi i paesi limitrofi – soprattutto Libano e Giordania – forte del controllo che esercita su di un’ampia regione fra Siria ed Iraq e della sua crescente capacità di reclutamento di militanti a livello globale.

Il disaccordo tra Stati Uniti e Federazione Russa appare evidente soprattutto con riferimento ai tempi della transizione. Mentre Putin difende una soluzione di lungo periodo, Obama mira a una transizione più rapida che tenga conto anche dell’opposizione di alcuni partner europei forti, quali la Francia, che si oppone a qualsiasi accordo con il regime di Bashar al-Assad.

L’andamento del tavolo negoziale e del conflitto sul terreno sono, peraltro, interdipendenti. Pertanto, all’accettazione del protrarsi dell’era Assad dovrà corrispondere un effettivo coordinamento in ambito militare e di sicurezza da parte russa. L’avvio di una transizione politica rischia, difatti, di essere compromesso dai recenti sviluppi militari della crisi. I primi bombardamenti compiuti da Mosca non sono apparsi essere diretti contro l’ISIS, ma piuttosto contro altri gruppi di ribelli prossimi ad al-Qaida, che per gli Stati Uniti non sono attualmente considerati una priorità.

Se Russia e Stati Uniti non riusciranno a combattere la stessa battaglia sul campo, allora verrà meno anche la disponibilità accennata dalla Turchia e la possibilità d’indurre gradualmente l’Arabia Saudita a stringere un’intesa, allontanando così qualsiasi prospettiva di mettere fine ad un conflitto che perdura da oltre quattro anni, che ha causato più di 200.000 vittime e di cui l’emergenza rifugiati che ha travolto l’Europa ne costituisce una piccola appendice.

Il coinvolgimento diretto della Federazione Russa ha indubbiamente contribuito al superamento di una fase di stallo e a far ripartire il processo politico, compensando la sterilità mostrata sinora dall’impegno statunitense ed europeo in Siria e Iraq e oltre, come testimoniato dal radicamento dell’ISIS in Libia. Le intenzioni di Mosca vanno però effettivamente verificate sul campo.

Se le azioni della Federazione Russa non risulteranno finalizzate a promuovere una reale transizione – come Putin e il suo Ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, hanno inteso assicurare – i termini del confronto con Washington e gli europei diverranno più evidenti anche nel Mediterraneo.

In tal caso sarebbe auspicabile che l’Unione Europea, attraverso l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, fosse in grado di esprimere una posizione coesa e credibile, evitando l’insorgere di instabilità e minacce alla sicurezza nel Mediterraneo tali da richiedere successivamente l’intervento della NATO.

Nell’attuale situazione di crisi, tuttavia, l’irrilevanza dell’Europa è da considerarsi un dato consolidato. Tra i cosiddetti EU-3 non vige, difatti, alcuna unità di vedute sul futuro di Assad.

Contrariamente a Gran Bretagna e Germania, che hanno abbracciato la linea di compromesso statunitense, la Francia mantiene un approccio intransigente e insiste nel richiedere le sue immediate dimissioni.

Parigi, inoltre, non ha mancato di marcare la sua presenza sui cieli siriani con raid aerei contro un campo di addestramento dell’ISIS, riaffermando le sue ambizioni di leadership.

Malgrado il recente vertice trilaterale nella capitale francese, a cui l’Alto Rappresentante dell’UE Federica Mogherini, è stata invitata a partecipare, la trojka continua a procedere sulla Siria in ordine sparso, mancando quel minimo di coesione necessaria affinché l’UE possa esprimere una linea comune.
Sullo sfondo di una simile inconsistenza, specchio della grave crisi esistenziale europea, all’Italia si offre oggi la straordinaria opportunità di tornare a ricoprire una posizione di centralità nel Mediterraneo, attraverso la realizzazione di una grande iniziativa diplomatica sulla Siria che consenta il raggiungimento di una soluzione politica per la stabilizzazione del paese, seguendo le indicazioni già scaturite nella prima conferenza di pace sulla Siria tenutasi a Ginevra nel giugno 2012.

In tale prospettiva, facendo leva sulle relazioni privilegiate con Stati Uniti e Federazione Russa, l’Italia è chiamata a incoraggiare il consolidamento dell’intesa raggiunta sulla Siria, affinché possa evolversi in un’autentica cooperazione capace di dar vita a politiche e strategie di pace e stabilità condivise che dalla Siria si estendano anche alle altre aree di crisi del Mediterraneo e del Medio Oriente, favorendo una distensione in grado di pervadere anche il Caucaso e l’Ucraina.

Foto Ansa, Cremlino, Casa Bianca, Stato Islamico, EPA

Fabrizio W. LuciolliVedi tutti gli articoli

Presidente del Comitato Atlantico Italiano e Presidente dell’Atlantic Treaty Association, è Docente di Organizzazioni Internazionali per la Sicurezza presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Svolge attività di formazione in varie istituzioni nazionali ed internazionali, militari ed accademiche. Già coordinatore di Corsi di alta formazione per ufficiali e diplomatici dei Balcani occidentali e del Medio Oriente, è Direttore e promotore di progetti di cooperazione NATO ed UE in Europa centrale ed orientale.

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