Immigrati: i muri balcanici e il funerale dell'Europa

Dopo aver informato i Paesi vicini delle proprie intenzioni, nella giornata di ieri Lubiana ha iniziato a sistemare la recinzione in filo spinato lunga 80km che servirà ad impedire che gli immigrati diretti verso nord possano attraversare in maniera incontrollata il fiume Sotla/Sutla, che separa Slovenia e Croazia.

La reazione di Zagabria non solo non si è fatta attendere, ma è stata anche molto decisa: nella città di confine di Harmica, infatti, sono stati inviati alcuni appartenenti ai reparti speciali della Polizia a cui è stato ordinato di eliminare una parte della barriera che, a detta delle autorità croate, era stata posizionata all’interno del suo territorio nazionale.

Come riportano il quotidiano zagabrese Jutarnji List e quello lubianese Delo, all’inizio delle operazioni di rimozione sono seguiti momenti di impasse, durante i quali i gli specijalci dei due Paesi sono rimasti in attesa che l’intervento dei rappresentanti civili risolvesse la questione, che in realtà resta tutt’ora aperta in assenza di un chiaro accordo politico.

Secondo le notizie riportate da alcuni media croati, inoltre, nella giornata di oggi la Slovenia avrebbe rafforzato la propria presenza nei pressi del valico oggetto del contendere, che attualmente sarebbe controllato da circa 20-30 effettivi delle forze speciali (armati e a volto coperto).

Al di là delle ovvie conseguenze che avrà tale vicissitudine, emerge chiaramente che la situazione “immigrazione” ha raggiunto un livello di guardia così alto che anche i Paesi che inizialmente criticavano la decisione ungherese di costruire un muro lungo il confine con la Serbia hanno deciso di imitare Orbán e, in certi casi, di “superarlo”, tanto che in Slovenia il Partito giovanile Mlada Slovenija ha chiesto di multare di 400 euro tutti i clandestini.

Oltre a ciò, risulta chiaro che piccole crisi come quella di cui sopra rischiano di capitare con sempre maggiore frequenza, perché al sangue freddo delle Forze dell’ordine, che regolarmente cercano di stemperare gli animi, si contrappone una certa superficialità degli esecutivi.

I vertici politici, infatti, pressati da ragioni di politica interna, prendono decisioni palesemente destinate a suscitare le reazioni dei vicini, senza considerare le conseguenze o gli incidenti che possono verificarsi. Tale comportamento, che perdura ormai da mesi, ha contribuito ad esacerbare relazioni già tese (come quelle fra Budapest e Zagabria) o a mettere a rischio quelle che invece sono tradizionalmente abbastanza buone, come dimostrano i fatti di Harmica.

Più in generale, colpisce l’atteggiamento passivo della UE, che al di là dei proclami ufficiali non ha svolto un ruolo significativo. L’Europa, infatti, non solo non ha fornito il supporto necessario affinché gli stati ex-jugoslavi e l’Ungheria possano affrontare in maniera congiunta la questione immigrazione, ma è stata anche percepita come un potere lontano che si palesa solo quando vuole imporre l’accoglienza di un certo numero di richiedenti asilo.

Secondo il quotidiano Politika, ad esempio, in questi giorni Bruxelles avrebbe chiesto a Skoplje di accettare circa 20mila richiedenti asilo, in gran parte afghani, una cifra che corrisponderebbe a circa l’1% della popolazione totale della Macedonia e che non tiene conto del fatto che il Governo si era dichiarato in grado di ospitarne massimo 2.000 e comunque per non più di 72 ore.

Indipendentemente dalle ragioni che hanno portato alla decisione di non immischiarsi in questi problemi, comunque, l’inazione dell’Unione Europea rischia di trasformarsi in un autogoal, poiché manda un chiaro messaggio agli Stati membri: ognuno è libero di affrontare a modo proprio l’emergenza, anche violando i principi base dell’integrazione europea, senza che vi siano conseguenze negative.

Oltre a ciò, l’assenza di un intervento deciso in un’area storicamente soggetta a scontri culturali e a una certa animosità nei rapporti bilaterali, fa sì che i Balcani si trovino nuovamente nell’occhio del ciclone, con il concreto rischio che la situazione possa complicarsi improvvisamente, come hanno dimostrato alcune recenti crisi diplomatiche.

Nei mesi successivi all’aumento dei flussi migratori lungo la direttrice Grecia-Austria, infatti, si è assistito a duri confronti politici, nei quali spesso è stata la Croazia ad avere un ruolo chiave, come confermano le liti con Serbia, Ungheria e, più recentemente, Slovenia. A

lla luce di ciò, ci dovrebbe essere una maggiore attenzione nei confronti della crescente tendenza alla costruzione di barriere lungo i confini dei paesi ex-jugoslavi poiché, al di là dell’ovvia considerazione secondo cui sia notevolmente più facile costruirli che abbatterli, i muri non sono la soluzione.

Si tratta, infatti, di un semplice palliativo che cerca di nascondere l’incapacità e la mancanza di volontà dell’Europa di risolvere alla radice il problema dell’immigrazione e che rischia di aprire nuove fratture in zone ancora più vicine al cuore del Vecchio continente.

Foto ANSA

 

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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