DUBBI E PERPLESSITA' SULLA MISSIONE ITALIANA ALLA DIGA DI MOSUL

Il governo di Baghdad frena sull’invio dei 450 militari italiani che dovrebbero difendere la Diga di Mosul, affermando che “nessun accordo è stato finora raggiunto” con Roma.
“Nessuna intesa è stata finora sottoscritta tra governo iracheno e italiano”, ha detto il portavoce dell’esecutivo di Baghdad, Saad al Hadithi, dopo l’annuncio fatto la settimana scorsa dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Gli iracheni non ci vogliono
Il ministro delle risorse idriche, Mushsin Al Shammary, ricevendo il 20 dicembre l’ambasciatore italiano, Marco Carnelos, ha affermato che l’Iraq “non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora”. L’ambasciatore Carnelos ha risposto sottolineando che “ogni eventuale dispiegamento di truppe italiane, a Mosul o in qualsiasi altra parte del territorio iracheno, potrà avvenire solo d’intesa con il governo iracheno”.

Una precisazione scontata e per questo un po’ stupefacente. Quanto al contratto per i lavori di consolidamento, Al Shammary si è limitato a dire che la società Trevi ha “presentato i documenti per partecipare alla gara”. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha però sottolineato che il gruppo romagnolo è l’unica ditta ad essersi candidata e quindi l’esito dovrebbe essere scontato.

All’invio dei militari italiani si è intanto dichiarato decisamente contrario il leader radicale scita Moqtada Sadr, già uno dei protagonisti dell’insurrezione contro le truppe alleate d’occupazione nel 2004 (sue milizie uccisero e ferirono anche molti militari italiani nell’area di Nasiryah tra il 2004 e il 2006) affermando che “l’Iraq è diventato una piazza aperta a chiunque voglia violare i costumi e le norme internazionali”.

Il presidente della Commissione Difesa del Parlamento iracheno, il “sadrista” Hakim Zamili (nella foto a sinistra), ha definito “irragionevole e illogico” il dispiegamento dei militari italiani a difesa dei lavori di manutenzione della diga di Mosul, nel governatorato settentrionale di Ninive.

“Abbiamo davvero bisogno dei combattenti italiani?” si è chiesto Zamili in un comunicato, affermando che le forze irachene sono in grado di proteggere la struttura da sole.

Secondo il politico di Baghdad, sono in atto delle manovre per “tracciare nuovi confini tra sunniti, sciiti, curdi e arabi” e per “dividere l’Iraq con il pretesto della guerra contro Daesh”.

Zamili ha ricordato che “la mancanza di coordinamento con il governo regionale del Kurdistan” ha permesso l’ingresso “di truppe turche nei campo a Zlican e Bashiq, nell’area di Mosul”.

Il presidente della commissione parlamentare ha quindi minacciato di “combattere tutti coloro che vengono in Iraq senza un motivo legittimo e senza l’autorizzazione del governo”.

Nei giorni scorsi il portavoce delle Brigate sciite irachene Hezbollah, Jafaar al-Husseini, aveva espresso concetti analoghi.

“La nostra posizione è chiara: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata una potenza occupante a cui dobbiamo resistere”.

Dichiarazioni che si contrappongono al dibattito italiano sulla nuova missione creando un contesto grottesco: a Roma si prepara e si discute una missione in Iraq che gli statunitensi ci vorrebbero affidare ma che gli iracheni non vogliono (come non vogliono nessun reparto da combattimento straniero sul loro territorio) e per proteggere il cantiere di un’azienda italiana che non ha ancora vinto la gara d’appalto per ristrutturare la diga.

Anche il fatto che Trevi sia l’unica concorrente potrebbe non offrire garanzie sufficienti. E’ molto probabile che la commessa per la diga costituisca una sorta di “compensazione” per l’adesione dell’Italia alla Coalizione e per gli aiuti forniti finora all’Iraq ma non sarebbe certo la prima volta che una gara o una commessa vengono annullate, anche per ragioni politiche.

Basti pensare, solo nel settore militare, ai cacciabombardieri F-35 per il Canada o alla competizione turca per il sistema di difesa contro i missili balistici.

In quest’ottica potrebbe non essere una buona idea irritare il governo di Baghdad e le milizie scite filo-iraniane, dai sadristi agli Hezbollah Iracheni.

Soldati a proteggere i cantieri?
Inoltre il caso del cantiere della Trevi protetto da un battaglione di truppe italiane crea un precedente curioso. Quante aziende italiane hanno cantieri aperti e maestranze all’opera in Paesi a rischio senza poter contare sulla sicurezza offerta da truppe italiane.

Gli armatori italiani hanno dovuto pagare i team di fucilieri di Marina del reggimento San Marco che proteggevano le loro petroliere e portacontainer dai pirati somali e oggi pagano per la scorta anti-prateria guardie private: perché a loro non vengono concesse scorte militari gratuite?

Da quanto emerso da un interessante articolo pubblicato dal Quotidiano Nazionale la Trevi opera in 80 Paesi diversi e l’annuncio che aprirà il cantiere della Diga di Mosul con la protezione dell’Esercito Italiano ha fatto balzare in alto il titolo in Borsa del 25 per cento.

Un bel vantaggio rispetto alla concorrenza per una commessa ancora da acquisire ma che “fa tirare un sospiro di sollievo alle maestranze ancora in cassa integrazione” spiega l’articolo sul QN di Mattia Sansavini che rivela come l’azienda della famiglia Trevisani abbia preparato un primo pacchetto di interventi di consolidamento dell’infrastruttura della durata di 18 mesi.

Carlo Crippa, area manager per l’Iraq ha spiegato al QN che “bisogna intervenire con perforazioni e iniezioni di miscele cementizie”.
Da un lato il supporto del governo agli affari delle aziende italiane è positivo ma l’iniziativa a favore della sola Trevi lascia aperto il dubbio che l’azienda romagnola goda di particolari attenzioni da parte del governo Renzi.

Ipotesi che potrebbe apparire suffragata anche dalla presenza nel Consiglio d’Amministrazione di Marta Dassù (nella foto a fianco) come consigliere  non esecutivo e indipendente: esperta di politica internazionale di area PD già sottosegretario e viceministro degli Esteri con i governi Monti e Letta, la Dassù è stata consigliere di Massimo D’Alema e recentemente è stata voluta da Renzi all’interno del cda di Finmeccanica, che a differenza della Trevi però è un’azienda pubblica.
L’incarico di consigliere nell’azienda di Cesena che opera in tutto il mondo risulta però giustificato anche da ragioni non politiche quali l’esperienza internazionale e istituzionale della direttrice della rivista Aspenia.

Aspetti militari
Restano quindi molti gli aspetti da chiarire nella vicenda della missione alla Diga di Mosul e della difesa, con consistenti forze militari, del cantiere di un’azienda privata.

Di fronte alle stridenti incongruenze tra quanto dichiarato dalle fonti ufficiali italiane e irachene, fonti romane solitamente ben informate hanno riferito ad Analisi Difesa che, al di là dei toni accesi del momento legati soprattutto ai difficili equilibri interni al governo iracheno (dove milizie ed estremisti sciti hanno sempre più peso politico e militare), Baghdad finirà per formalizzare il contratto con Trevi SpA e la richiesta di aiuto militare all’Italia per proteggere la Diga di Mosul.

Roberta Pinotti, parlando in audizione nel Copasir, ha ipotizzato l’invio di 450-500 militari, sottolineando che il loro compito sarebbe quello di presidiare il cantiere e tutelare la quarantina di tecnici italiani che vi lavoreranno. E ha aggiunto che l’intervento italiano avverrà in accordo con le autorità irachene e si aggiungerà alla missione già in corso ad Erbil (capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno) che vede i militari italiani impegnati nell’addestramento dei miliziani peshmerga che già presidiano la Diga di Mosul, 35 chilometri a nord della città in mano all’Isis.

La missione sarà pianificata da Roma una volta formalizzata l’assegnazione del contratto per il consolidamento dell’infrastruttura alla società italiana Trevi, anche se una prima ricognizione in loco è già stata effettuata una decina di giorni fa, probabilmente composto da forze speciali già presenti in Iraq e da ufficiali del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI), l’organismo guidato dal generale Marco Bertolini che gestisce le operazioni all’estero.

Elementi prioritari della prima ricognizione (altre sono previste in futuro) hanno riguardato la sicurezza dei collegamenti logistici tra Erbil e la Diga di Mosul, l’analisi della situazione tattica del fronte situato a una quindicina di chilometri dalla diga e le necessità in termini di mezzi e materiali per garantire la protezione di punto (diga e campo della Trevi) e dell’intera area contro attacchi convenzionali e terroristici.

La partenza del contingente è attualmente stimata tra maggio e giugno 2016 mentre le ultime indiscrezioni riferiscono che le forze italiane saranno incentrate sui bersaglieri della Brigata Garibaldi invece che sui paracadutisti della Folgore come era emerso nei giorni scorsi.

La scelta di preferire un reparto di fanteria meccanizzata (in dotazione alla Garibaldi vi sono i carri armati Ariete del 4° Reggimento Carri e i veicoli cingolati da combattimento Dardo) a uno di fanteria leggera, se verrà confermato,  sembrerebbe indicare la volontà di schierare una componente più robusta, cui affiancare componenti del Genio e delle forze speciali mentre gira voce si valuti addirittura l’invio di una batteria di artiglieria (che non venne mandata neppure in Afghanistan) con semoventi Pzh-2000 o obici trainati FH-70 oltre a fornire supporto aereo con elicotteri multiruolo NH-90 e forse A-129 Mangusta da attacco.

Un dispositivo a dir poco “sovradimensionato” per proteggere una quarantina di tecnici italiani al lavoro in un cantiere dove presumibilmente opereranno anche un buon numero di maestranze irachene: un tipico lavoro da assegnare a società di sicurezza private più che a contingenti militari.

Certo il considerevole ampliamento della missione in Iraq potrebbe offrire l’opportunità di armare i 4 Tornado basati in Kuwait superando l’anomalia italiana (e tedesca) che li vede relegati a soli compiti di ricognizione, con la “giustificazione” di dover garantire raid difensivi di supporto aereo ravvicinato a protezione delle nostre truppe a terra, come avvenne del resto per le incursioni degli AMX in Afghanistan.

L’Italia si appresta quindi a schierare alla diga un dispositivo da “prima linea”, idoneo a far fronte a scontri ad alta intensità anche se questa ipotesi appare un po’ sorprendente (se il nemico da affrontare è davvero lo Stato Islamico) perché in quell’area i jihadisti sono sulla difensiva ed entro giugno potrebbero aver perduto ulteriormente terreno sul fronte di Mosul, prossimo obiettivo della controffensiva irachena che ha appena portato alla riconquista di Ramadi.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, AP, BBC, Reuters, Ansa, OnuItalia, ISAF

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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