I polli di Renzo

Alessandro Manzoni, nei “Promessi Sposi”, parla del giovane Renzo Tramaglino che va dall’Avvocato Azzeccagarbugli portandogli quattro capponi, a titolo di pagamento. Durante il tragitto, i capponi “s’ingegnavano a beccarsi l’uno con l’altro, come accade troppo sovente ai compagni di sventura”.

Qualcosa di simile sta accadendo nelle Forze Armate, ricreando, dopo anni di concordia, un clima di “mors tua, vita mea”, controproducente per una valutazione serena dei fatti e delle situazioni. Ma perché le tensioni tra Forze Armate si sono accese di nuovo?

Le voci  e le dichiarazioni frequenti che ipotizzano interventi militari in Libia e in Iraq hanno suscitato infatti un acceso dibattito sullo stato e sulle esigenze del nostro strumento militare. Il problema è oggettivamente grave, dato che gli eventi incalzano e le tragedie e le stragi si moltiplicano tutto intorno a noi: è come se nubi sempre più minacciose si affacciassero al nostro orizzonte.

3-5L’opinione pubblica, poi, si sta rendendo conto che viviamo in un mondo di “amicizie limitate”, in cui non ci si deve solo guardare dai nemici, bensì, soprattutto, dai nostri amici, che cercano di perseguire i propri “interessi essenziali” anche a nostre spese. Tutto questo rende le leadership delle nostre Forze Armate sempre più inquiete, dato che esse avvertono la possibilità di dover far fronte a compiti decisamente impegnativi e a minacce decisamente più gravi, rispetto al recente passato.

Questa inquietudine non sta solo esercitando un forte impatto sull’elaborazione della “Revisione Strategica della Difesa”, preannunciata dal Libro Bianco, circa due anni fa, ma si è anche riversata sulla stampa, esattamente com’era già avvenuto nel recente passato, all’epoca del governo Monti, quando l’allora Ministro della Difesa fu accusato di voler “licenziare uomini per comprare macchine”.

DSC_6041-LargeIl cambiamento radicale rispetto al passato è dovuto alla crescente convinzione che, con il ritiro dall’Afghanistan, sia finita un’era, quella delle cosiddette “missioni di pace”, e che questa stia per essere sostituita da un’altra, in cui gli interventi militari avranno le caratteristiche di vere e proprie missioni di combattimento, con tutto ciò che ne consegue, in termini di distruzioni e di perdite umane.

In sintesi, “il gioco si fa duro”, e non si potrà influire sugli eventi se non si disporrà di mezzi per piegare – o dissuadere – grazie alla forza disponibile, gli oppositori più estremi. Ma, in modo tipicamente italico, questa nuova situazione ha dato lo spunto a numerose polemiche, inclusa l’affermazione della necessità che certe componenti del nostro – peraltro già  minuscolo – strumento militare siano ulteriormente ridotte, per reperire risorse da destinare ad altre.

Eurofighter-Typhoon-Storm-Shadow-Initial-Flight-Trials-1-foto-L.-CaliaroNell’estate scorsa, la Marina aveva fatto notare, in modo peraltro molto pacato, che la maggior parte delle nostre navi da guerra erano prossime alla fine della loro vita operativa. A questo grido di allarme avevano fatto eco le lamentele dell’Aeronautica, i cui esponenti a tutti i livelli avevano più volte ricordato come la Forza Armata si fosse ridotta ad avere solo 200 aeroplani da combattimento, come all’8 settembre 1943.

Ora, come ai tempi del governo Monti, alcune fonti, che si ritengono vicine all’Esercito, si sono fatte sentire di nuovo, sulla stampa, sotto diverse forme, per affermare che i tagli hanno penalizzato soprattutto lo strumento terrestre, mentre la consistenza delle altre Forze Armate è adeguata, se non eccessiva. Si è arrivati, per sostenere questa tesi, a incorrere in  esagerazioni evidenti, come quella di ascrivere le nostre due portaeromobili alla categoria delle “Ferrari”, mentre esse non sono altro che delle semplici utilitarie.

potete-farcelaRicordiamo che il progetto del Garibaldi fu scartato dalla Tailandia, perché troppo piccolo, mentre il  Cavour è una nave “multifunzione”, anfibia e nave-ospedale, oltre a portare una dotazione limitata di aerei. Oltretutto, avere due navi di tale tipo è indispensabile per poterne utilizzare una per tutto l’anno.

La risposta, sotto forma di una vignetta, che ha iniziato a circolare su tutti i web, non si è fatta attendere (vedi immagine a sinistra).

In effetti, un Esercito privo di appoggio sul terreno di scontro, da parte delle altre Forze Armate, finirebbe appunto come descritto dalla vignetta.

Ma la tentazione, da parte dei sostenitori di ognuna delle Forze Armate di porre quella a loro più vicina come “unica soluzione” ai problemi della Difesa, non può portare a risultati positivi, anche perché, andando contro ogni logica e ogni esperienza del passato, non incontra il favore della nostra opinione pubblica, troppo intelligente per cadere in questo tipo di tranello.

Il-Predator-a-Herat-Afghanistan-3Se tale tipo di “concorrenza” può avvenire negli Stati Uniti, che investono nella Difesa risorse assai maggiori, da noi la situazione appare diversa, tanto che le altre Forze Armate lamentano da decenni il fatto che l’Esercito abbia sempre la quota di bilancio maggioritaria, tra le spese della Difesa, e riesca, anzi, ad incrementarla ulteriormente, nei fatti, grazie alla particolare abilità, da parte dei suoi esponenti, di scovare risorse nelle più nascoste pieghe dei bilanci.

Questo, però, oltre a dimostrare che “se Messenia piange, Sparta non ride”, è una critica indiretta, poco condivisibile, degli approcci seguiti finora dai responsabili del nostro Esercito.

01-elicottero-A-129-Mangusta-in-volo1Negli scorsi decenni, caratterizzati dalla fine della Guerra Fredda e dall’esplodere delle instabilità, le nostre forze terrestri si erano dimensionate secondo un modello relativamente “low tech”, e dotato in prevalenza di mezzi blindati; in definitiva, il nostro strumento terrestre si era orientato, alla Francese, all’acquisizione di mezzi prevalentemente su ruote, anziché su cingoli, più adatti a missioni di peacekeeping.

Inevitabilmente, questa decisione è andata a scapito dei mezzi pesanti che, viceversa, oggi appaiono indispensabili.

MARINA-MILITARE-1Va ricordato, a tal proposito, che ogni decisione, specie nel campo della “generazione delle forze”, comporta una serie di rinunce, come accade a chi entra in un quadrivio e, proseguendo in una direzione,  rinuncia a farlo nelle altre.

Se si prendono decisioni valide in relazione ai tempi, come ha fatto l’Esercito, acquisendo mezzi di un certo tipo, non ha senso sentirsi in colpa se, dopo molti anni, al cambiare delle situazioni, ci si trova di fronte a esigenze diverse: basta spiegarlo, in tutta semplicità, all’opinione pubblica e ai responsabili politici e governativi!

In effetti, la missione per questo strumento era – ed è tuttora –  il peacekeeping, in cui il nostro Paese era diventato il fornitore di contingenti terrestri proporzionalmente più numerosi, rispetto a quelli dei nostri Alleati NATO (e Membri dell’UE), anche a costo di dipendere, per il sostegno in caso di difficoltà, dai mezzi aerei e marittimi altrui.

Tornado-con-Pod-RECCE-LITEDi conseguenza, la base industriale, che fornisce i mezzi all’Esercito, si è dovuta adattare e ha perso competitività in alcuni settori che oggi appaiono prioritari, rispetto alla concorrenza che, negli altri Paesi, ha continuato, nonostante tutto, a sviluppare mezzi pesanti e potenti, con il sostegno dei rispettivi governi, convinti che lo strumento di difesa nazionale non possa essere “monouso”.

Questo, va detto, non è solo un problema dell’Esercito. Anche le altre Forze Armate, con l’eccezione dell’Aeronautica, hanno seguito la stessa strada: basti pensare all’adozione di standard mercantili per le nostre navi, per capire quanto ci siamo orientati verso uno strumento da “guerra limitata”. In definitiva, abbiamo costruito, negli ultimi venti anni, mezzi dalle prestazioni medie, più adatti a compiti di “peacekeeping” e di mantenimento dell’ordine internazionale che non a imporre la nostra volontà a un avversario irriducibile.

image1Tutto questo dimostra, purtroppo, che noi – popolo e governi – continuiamo a rifiutare le lezioni della Storia, e siamo riluttanti ad agire, in modo da poter reggere le sfide di un mondo che cambia.

Siamo all’alba di una “Nuova Era”, e le nostre ambizioni di guidare coalizioni o di proteggere, contro tutto e contro tutti, le imprese che lavorano in luoghi pericolosi, pacificando quei territori con l’uso o la minaccia di impiego della forza, necessitano, per essere messe in atto, di un significativo adeguamento del nostro strumento militare.

Non è possibile però disconoscere la realtà del Paese: da anni, il bilancio della Difesa è “vittima” di tagli dettati dalla necessità di fronteggiare il nostro debito pubblico, ormai elevatissimo, e dalla lodevole intenzione, da parte dei nostri governanti, di non far pesare più di tanto gli effetti deleteri della nostra situazione economica sulle classi più deboli.

Foto-Vigilanza-Pesca-Canale-di-Sicilia-2Ma il fatto che questi tagli avvengano, fin troppo spesso, all’ultimo momento, ha ulteriormente indebolito le nostre Forze Armate, cui viene di fatto impedita da anni ogni pianificazione seria, tale da consentire un uso intelligente e razionale dei pochi fondi assegnati nel lungo periodo.

L’altro aspetto, che non riguarda solo l’Italia, ma anche tutti i Paesi europei, è la convinzione, maturata ormai da tempo, che le sfide “asimmetriche” alla nostra sicurezza, poste dal terrorismo, dal traffico di esseri umani e dalla pirateria possano essere meglio affrontate avvalendosi delle sole Forze dell’Ordine. Una parte dei “tagli” ai bilanci della Difesa è appunto andata, in tutti i Paesi europei, a ridurre l’impatto della crisi sui bilanci dei Tutori dell’Ordine.

cavour-portaereiOra, le Forze dell’Ordine sono la nostra ultima linea di difesa, e hanno anche loro bisogno dell’appoggio da parte delle Forze Armate, altrimenti – come dimostrano fatti recenti – rischiano di essere travolte dall’uso sempre più massiccio di armi pesanti, da parte dei criminali e di altri veri e propri “attori non statuali”, come i terroristi, i pirati e gli scafisti, che agiscono per conto di chi ci vuol male.

Ma non ci sono più solo queste minacce: il mondo va verso confronti tra potenze, in cui rischiamo di restare schiacciati. Diceva un sociologo, Julien Freund, “non si può essere tanto ingenui da credere di non aver nemici, solo perché non ne vogliamo avere!”.

Quindi contenere queste “minacce asimmetriche”, cosa che abbiamo fatto finora, non basta più, e la prospettiva di dover – prima o poi – impegnarsi per sconfiggere i mandanti, che siano statuali o meno, insieme all’esigenza di essere “rispettabili” di fronte ad altri attori regionali, deve avere il giusto peso nella strutturazione del nostro strumento militare.

al-1-news-2__mainRecenti episodi di cronaca hanno poi spinto i responsabili di governo a chiedere un maggiore sostegno alle Forze dell’Ordine, da parte delle Forze Armate.

Si tratta di un fenomeno che, in Italia, è ricorrente, fin dalla nostra unificazione, e molte volte le Forze Armate hanno dovuto riportare sotto controllo intere zone di terra e di mare.

Oggi, per le strade di alcune nostre città, girano Kalashnikov le cui matricole indicano la provenienza da ben note aree di crisi, e altrettanto avviene sul mare, da parte degli scafisti: le Forze dell’Ordine si trovano calate in  uno scenario di guerra, a casa nostra e anche intorno a noi, e hanno bisogno di aiuto.

Lince-SOFL’Italia, però, si trova in una situazione i cui cardini non sono modificabili:
–    In primo luogo, non abbiamo alternativa alla “Strategia Partecipativa” che l’Italia ha adottato fin dagli anni dell’immediato dopoguerra: chi è debole, deve unirsi agli altri, per influire sugli eventi.

Questa realtà è resa particolarmente amara dal fatto, già ricordato, che noi viviamo in un mondo di “amicizie limitate” in cui i nostri Partner più grandi tendono a imporre i propri “interessi essenziali” spesso a scapito di quelli degli altri.

Dobbiamo quindi darci la possibilità di svolgere le nostre missioni operative con un maggiore livello di sicurezza, senza dipendere, nel delicatissimo aspetto del sostegno a chi opera in prima linea, dai nostri “amici” esteri;

DSC_5904-Large–    Il nostro Paese non ha più  minacce armate alle proprie frontiere, ma rischia di subire attacchi provenienti da oltremare, non solo contro il territorio, ma soprattutto contro il commercio internazionale, che ci garantisce le materie prime per la nostra attività manifatturiera e per la nostra sopravvivenza alimentare, e contro i nostri connazionali e le nostre imprese all’estero.

Il ruolo principale delle nostre Forze Armate diventa quindi la garanzia della nostra sopravvivenza economica, agendo in profondità. Questo approccio non è nuovo: già nel 2003 la “Strategia Europea di Sicurezza” avvertiva che “In un’epoca di globalizzazione, le minacce lontane devono preoccuparci al pari di quelle vicine… La prima linea di difesa sarà spesso all’estero”.

Cte-Bettica-2Per svolgere missioni oltremare, dunque, sono necessari mezzi capaci di andare lontano, e di conseguenza il sistema di togliere risorse alle componenti marittima e aerea del nostro strumento militare, per risolvere i propri problemi, semplicemente non funziona! Queste due componenti devono anzi essere adeguate alle nuove esigenze.

Se è vero che le rivalità tra Forze Armate sono vive ormai da quasi un secolo, e si erano solo temporaneamente sopite, in questi ultimi anni, è ora di capire che indebolire sempre più le parti minoritarie dello strumento – quali appunto la Marina e l’Aeronautica – a vantaggio di quella terrestre, peraltro da sempre maggioritaria, ci metterebbe in posizione irrimediabilmente subalterna nei confronti dei nostri alleati, i quali, guarda caso, dispongono di strumenti militari bilanciati, a differenza del nostro.

M-346_82In definitiva, ci ridurremmo al ruolo di “fornitori di carne da cannone” la cui protezione sarebbe nelle mani altrui! Se è vero, come è vero, che siamo stati il Paese che ha fornito più truppe alle operazioni di pace, rispetto ad altri ben più ricchi di noi, è forse giunto il momento di dispiegare contingenti multidimensionali, ben altrimenti rappresentativi, anziché limitati a una sola componente.

Per farlo, però, oltre ai mezzi, serve anche una nuova mentalità. È quindi indispensabile tornare a quella “armonia interforze” che aveva caratterizzato lo strumento militare del nostro Paese, a partire dalla sua unificazione e fino alla Prima Guerra Mondiale.

Infatti, “fuori porta” si va solo tutti insieme! Bisogna quindi far capire all’opinione pubblica che serve uno sforzo finanziario per dotare le nostre Forze Armate di una pur limitata aliquota dei mezzi necessari a gestire questa situazione nuova, creando al loro interno un nucleo di “forze toste” che ci garantiscano da atti ostili violenti.

Per questo, diventa sempre più urgente superare le discordie e forgiare uno strumento di difesa che sia un “modulo integrato”, non un mero supplemento per le missioni multinazionali: integrato tra le varie dimensioni operative, integrato con le Forze dell’Ordine, che hanno sempre più bisogno di sostegno, integrato nella sua capacità di svolgere azioni di tipo diverso, da quelle più semplici a quelle più rischiose.

Anche da questo passa il nostro “status” di Nazione degna di rispetto!
Che cosa fare? Sono oltre quarant’anni che si compiono riforme strutturali per rendere il nostro strumento sempre più “interforze”, senza che si vedano progressi risolutivi. Questo perché la collaborazione tra Forze Armate dipende dagli uomini (e donne) che ne fanno parte. Riformare le strutture senza agire sul personale rende queste azioni simili al “gioco del Lego”.

Se è vero, come è vero, che la formazione interforze ha compiuto notevoli progressi vi sono due aspetti ancora da curare, a similitudine di quanto avviene all’estero già da molto tempo:
–    Dovranno essere incrementati i reparti e i comandi operativi composti da personale di più Forze Armate: infatti, solo operando (e rischiando la vita) insieme si impara la fiducia nei (e la lealtà verso) i colleghi interforze, quello che un tempo era chiamato “cameratismo”.

Copia-di-P5275349Ne abbiamo già alcuni, come la Brigata Anfibia, lo Stormo dei velivoli pattugliatori e il Gruppo Aerei imbarcati (GRUPAER), per non parlare del Comando Forze Speciali. La loro composizione interforze va potenziata, e ne dobbiamo istituire altri. All’estero questa è una prassi sempre più diffusa, e noi siamo rimasti indietro, pur essendo partiti già negli anni ’50 del secolo scorso;

–    Dovrà essere incoraggiata la pratica della “comunicazione orizzontale” a tutti i livelli degli Stati Maggiori. Questa prassi ha salvato l’efficacia della NATO e potrà salvare noi: se un problema viene discusso in modo orizzontale,  iniziando col coinvolgere tutti i livelli esecutivi, di “Staff”, i vertici si troveranno gran parte del lavoro fatto.

CSARX-Flying-02-HiRese invece non si diffondono notizie in senso orizzontale, e si rimanda a livello di vertice la responsabilità di trovare un accordo, l’acredine tra gli “addetti ai lavori” aumenta, e si perde quella forza che anima ogni insieme di forze che voglia essere efficace, appunto la coesione.

Come si vede, mentre dotarsi dei mezzi adatti alla nuova situazione è una spesa che non può essere rimandata, non servono fondi per migliorare la coesione tra Forze Armate, e la semplificazione delle nostre strutture di vertice, come si sta tentando di fare, dipende non solo da piani ben concepiti, ma anche da quel pragmatismo che, talvolta, ci manca.

Siamo un grande Paese, per le qualità del nostro popolo, e dobbiamo far sì che anche le nostre Forze Armate diventino rispettabili in fatto di efficacia. Non c’è molto tempo, perché l’inimicizia altrui ci crea pericoli seri, che dovremo affrontare con il sistema “Viribus Unitis”, non con quello che è ancora in atto, del “Ut unum sint”, quando sarà!

Foto: Forze Armate Italiane

Ferdinando Sanfelice di MonteforteVedi tutti gli articoli

Ammiraglio di Squadra, è attualmente docente di Storia delle Istituzioni Militari presso l'Università Cattolica di Milano e di Strategia presso l'Università di Trieste – Polo di Gorizia. E' stato Rappresentante Militare per l'Italia presso i Comitati Militari NATO e UE e Comandante dell'operazione navale della NATO Active Endeavour. Autore di numerosi libri e saggi di argomento strategico e militare, pubblicati su riviste italiane, francesi e americane, è membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Storia Militare, dell'Académie de Marine di Francia e della Giuria del Prix Davéluy.

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