LA RIVALITÀ RUSSO-TURCA NEL CAUCASO

L’incidente del SU-24 dello scorso 24 novembre sembra aver mutato istantaneamente la natura della relazione russo – turca, innescando una serie di effetti a catena la cui portata non è ancora prevedibile nella sua interezza. Quella che era vista dai leader dei due paesi come una partnership strategica si è così trasformata in confronto. E nemmeno il disgelo seguito al tentato colpo di stato di stato in Turchia appare in grado, in un’ottica geopolitica più ampia, di mutare gli equilibri.

L’abbattimento del bombardiere non aveva rivelato nuove contraddizioni tra i due Paesi che già non esistessero prima. Degli analisti turchi avevano preconizzato già dal 2009 il passaggio da una fase di cooperazione ad una di « rivalità geopolitica crescente ».
Il progresso nelle relazioni economiche non ha mai offuscato le differenze tra Mosca ed Ankara riguardo a tre questioni fondamentali: la questione del Nagorno-Karabakh, quella cipriota e quella dell’industria energetica transcaucasica.

Il conflitto siriano, in cui Mosca sostiene il regime di Bashar al-Assad mentre Ankara l’opposizione antigovernativa, ha poi palesemente fatto emergere le rivalità latenti.

Nel 2014 le differenze vengono inasprite dalle posizioni inconciliabili sullo status della Crimea, sebbene la Turchia non si sia mai allineata ufficialmente alle posizioni NATO imponendo sanzioni contro la Russia.

Come sottolinea il Prof. Sergey Markedonov su Russia in Global Affairs, oltre alla ben conosciuta dimensione mediorientale della rivalità attuale turco-russa, ve n’è un’altra da prendere in considerazione, spesso dimenticata: quella caucasica.

La regione caucasica non ha perso la sua importanza strategica, nonostante analisti e diplomatici guardino spesso altrove, ma può anzi esser considerata una delle chiavi di volta degli equilibri odierni, oltre che una potenziale polveriera a cavallo tra Occidente ed Oriente.

Caucaso conteso

Dal momento che entrambi i Paesi hanno interessi nel Caucaso del sud, la disputa influenza la situazione della regione aumentando i rischi per la sicurezza.

Innanzitutto, alcuni conflitti irrisolti si stanno progressivamente scongelando, come quello ben poco conosciuto del Nagorno Karabakh. Nel corso degli ultimi mesi, gli incidenti armati si sono alzati sia di numero che di livello, e non solamente lungo la linea di confine del territorio in disputa ma lungo tutta la frontiera armeno-azera, generando un’escalation che ha trovato il suoculmine nel mese di aprile. 

Dall’altra parte, anche se la situazione in Abkhazia ed Ossezia del sud appare relativamente calma, gli sforzi dell’Ossezia per disegnare il confine con la Georgia con il supporto di Mosca stanno da tempo generando forte malcontento a Tbilisi.

Come spiega Markedonov, la risoluzione dei conflitti congelati in Abkhazia, Ossezia del sud e Nagorno Karabakh è al momento quasi impossibile, a causa dello stato delle relazioni tra la Russia e l’Occidente. Inoltre, il rafforzamento del potenziale militare russo nel Caucaso approfondisce il conflitto tra Mosca e Tbilisi da una parte, e tra Mosca e Baku dall’altra.

Il Nagorno Karabakh

In particolare, il Nagorno Karabakh si presenta come il “prigioniero n. 1” nel Caucaso; in caso di ulteriore escalation, sia Baku che Yerevan si sentirebbero sotto pressione e sarebbe allettati dall’invocare i trattati di assistenza e sicurezza che hanno firmato con la Turchia e la Russia rispettivamente e dal trascinare Ankara e Mosca in una sorta di proxy war.

Queste dinamiche di sicurezza rendono sia gli attori regionali che internazionali prigionieri del Caucaso, come afferma Thomas de Waal su Yerepouni Daily News riprendendo una frase del poeta russo Alexander Pushkin. Il dilemma della sicurezza ha dunque il suo fulcro nel Nagorno Karabakh.

Il Caucaso del sud resta prima di tutto ancora un’area di rivalità geopolitica tra Russia e Stati Uniti. Mentre gli interessi sottostanti di Washington sono quelli legati al pluralismo energetico, per la Russia gli affari interni del vicinato russo costituiscono ancora una continuazione dell’agenda domestica, per quanto riguarda le politiche di sicurezza.

Un altro aspetto concorre a rendere la regione particolarmente importante nella rivalità turco-russa  i combattenti dello Stato Islamico  hanno affermato il Caucaso come sfera di interesse, cosa che non era mai stata fatta da altri gruppi jihadisti, nemmeno Al Qaeda, tanto che oggi sono numerosi i fighters provenienti dalla regione.
La Turchia si insinua come un attore relativamente nuovo nel panorama caucasico. Tuttavia diverse ragioni fondamentali lasciano presagire un interesse di lungo periodo. Innanzitutto i rapporti con l’Azerbaijan, con cui ha un’alleanza strategica. La Turchia appoggia l’integrità dell’Azerbaijan e condanna in maniera risoluta le azioni armene nel Nagorno Karabakh.

Aspetti energetici

Inoltre, Ankara e Baku sono coinvolte in diversi progetti energetici (Baku- Tbilisi- Ceyhan e Baku- Tbilisi- Erzurum) e in vari programmi infrastrutturali, come la ferrovia Baku- Akhalkalaki-Tbilisi- Kars, che potrebbe ulteriormente isolare l’Armenia dalla regione bypassando il suo territorio.

La Turchia condivide anche degli interessi con la Georgia. Tbilisi desidera far parte della NATO, se non come membro, sicuramente forgiando dei legami preferenziali militari e politici con l’Alleanza.

Ankara cerca di ottenere il supporto NATO nel perseguire le sue ambizioni regionali mentre gli Stati Uniti e gli alleati europei supportano la cooperazione trilaterale tra la Turchia, l’Azerbaijan e la Georgia.

L’attuale confronto tra Mosca ed Ankara genera potenziali rischi sia nel Medio Oriente che oltre.

Secondo l’analista polacco Zasztowt, il conflitto approfondisce in sostanza la divisione del Caucaso del sud in due blocchi rivali, polarizzandoli.

Di conseguenza, la Turchia rafforza ulteriormente la cooperazione politica ed economica con la Georgia e l’Azerbaijan, mentre la Russia intensifica la cooperazione militare con l’Armenia.

 

Abkhazia e Ossezia del Sud

Effettivamente, la Russia, nel corso degli ultimi mesi ha rafforzato pesantemente la sua presenza militare nello Stato alleato, dove un cospicuo contingente d’armi è stato rilasciato quest’inverno. Allo stesso tempo, l’Abkhazia si è allineata alla politica delle sanzioni russe contro Ankara.

Queste azioni hanno fornito degli incentivi ad un’intensificazione del dialogo tra Turchia e Georgia. Un incontro ministeriale trilaterale tra ministri degli esteri di Turchia, Georgia e Azerbaijan ha portato alla firma di una dichiarazione congiunta secondo la quale “l’integrità territoriale è una delle priorità per assicurare la sicurezza regionale”.

Durante l’escalation del conflitto a bassa intensità nel Nagorno Karabakh, Erdogan ha espresso il suo supporto a Baku.

Le autorità russe continuano anche a rafforzare il loro potenziale militare nell’Ossezia del sud, come evidenziato dalle esercitazioni dello scorso inverno con l’impiego di 2.000 soldati, sistemi missilistici Iskander M, lanciatori BM 21 e carri T72-B3.

La Russia sta egualmente cercando di riacquistare il controllo sull’Abkhazia e la costituzione di un centro di coordinamento per i ministeri dell’interno di Russia ed Abkhazia, interamente sotto controllo russo, servirà questo obiettivo.

Da notare che la crisi russo-turca ha anche delle pesanti conseguenze economiche sulla regione, che a loro volta sono suscettibili di mutare gli equilibri in gioco: l’Abkhazia non ha esitato ad appoggiare Mosca nelle sanzioni verso la Turchia, pur ricavandone un notevole danno dal punto di vista economico, sacrificando quasi il 20% dei vantaggi economici provenienti dagli scambi con Ankara.

La Russia starebbe attuando una strategia volta a diminuire indirettamente la credibilità della Turchia come potenziale mediatrice nel processo di riconciliazione tra Georgia ed Abkhazia, ruolo che le spetterebbe visti i buoni rapporti con la Georgia e la presenza di una folta comunità abkhaza entro i suoi confini.

Gli interessi turchi e russi si scontrerebbero insomma direttamente nel Caucaso. Sembra così lentamente profilarsi l’emergere di due blocchi caucasici in stile guerra fredda riveduta e corretta, l’uno guidato da Mosca e l’altro da Ankara.

L’aspetto economico sembra avvalorare questa tesi: l’allentarsi dei legami tra l’economia russa e quella turca sembra indebolire il rafforzamento delle relazioni economiche tra Turchia, Georgia ed Azerbaijan.

Vi sono però altri elementi che sfuggono da questo quadro. Ad esempio, la decisione di rafforzare la cooperazione militare tecnica tra la Russia e l’Armenia trova le sue ragioni in una logica propria.

Sebbene la Russia sia formalmente alleata dell’Armenia nell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO), è finora rimasta neutrale nella disputa tra Yerevan e Baku. Anche se le esercitazioni militari russe mostrano che Mosca considera la possibilità di un intervento militare sotto il pretesto di peace enforcement.

L’intesa russo-armena

Alla fine del 2015 Armenia e Russia avevano firmato un accordo per creare un sistema di difesa aerea comune che nelle ambizioni di Mosca dovrebbe coprire Europa dell’Est, Asia Centrale e Caucaso all’interno della Comunità degli Stati Indipendenti. Il progetto era già stato annunciato prima dell’incidente russo-turco di novembre 2015. La firma dell’accordo tra Mosca e Yerevan sul sistema di difesa aerea del dicembre 2scorso è quindi consequenziale alla decisione di aprile, più che all’incidente del Sukhoi 24.

Dall’altra parte Ankara, Baku e Tbilisi non condividono le stesse visioni politiche su diverse tematiche. L’Azerbaijan ha spesso visto la Russia come un contrappeso e come fonte di legittimazione per il regime. L’Azerbaijan è interessato sia alla cooperazione economica con la Russia che a combattere la minaccia jihadista.

Allo stesso tempo, l’Azerbaijan ha assunto delle posizioni caute rispetto al conflitto siriano, temendo al pari della Russia gli effetti devastanti della potenziale caduta del governo laico di Damasco. Peer questo  Baku non ha allineato completamente la sua politica estera a quella turca.
Possibili sviluppi 

Al momento è improbabile che la Russia sia interessata a rompere lo status quo nel Caucaso, almeno fino a quando le crisi siriano e ucraina non saranno risolte. L’Occidente ha di fatto accettato il passaggio dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud nella sfera di influenza della Russia in cambio di un rafforzamento della sua influenza in Georgia.

Anche la rottura dello status quo nel Nagorno Karabakh non è auspicata da Mosca: i processi di integrazione auro-asiatica sono infatti in precario equilibrio nel momento in cui i suoi partecipanti sono divisi sulla questione del supporto politico e militare all’Armenia. La rivalità russo-turca non si riflette del resto automaticamente in una rivalità russo–azera.

Il rischio più grande attualmente sembra essere la possibilità che la Russia e la Turchia non siano in grado di impedire una deescalation dello status quo nel Caucaso.

In tal caso, Mosca ed Ankara potrebbero essere forzate ad intraprendere un’azione unilaterale. Gli alleati della Russia e della Turchia non hanno tuttavia alcun interesse a interferire nel conflitto del Nagorno Karabakh, né a contribuire alla sua risoluzione. Il fatto è che il Caucaso del sud non è particolarmente attraente né per la NATO, né per l’Unione Economica Euroasiatica; resta quindi un’area di “coesistenza competitiva esclusiva” per Russia e Turchia, non per i loro alleati.

Un altro scenario contempla la possibilità dell’instaurarsi di un modus vivendi che, senza placare la rivalità russo-turca, ne contenga le conseguenze negli equilibri caucasici.

Un esito positivo del processo di pace in Siria potrebbe ad esempio creare i prerequisiti per appianare le differenze tra le due potenze anche nelle regioni limitrofe, generando degli “spillover di distensione”.

Nel peggiore dei casi, qualora la situazione in Medio Oriente non fosse favorevole ad una parziale ricomposizione del conflitto russo–turco, è possibile immaginare un’escalation di incidenti, non solo diretti ma soprattutto indiretti, che si rifletterebbe cioè in una crescente conflittualità lungo le linee di contatto tra i due blocchi, quindi in primis frontiera azero-armena.

Si creerebbe così la situazione di una guerra per procura, i cui incidenti caucasici sarebbero soltanto degli indicatori, delle ramificazIoni.

Per impedire un’escalation nel Caucaso, diversi fattori dovrebbero essere presi in considerazione dalla politica internazionale. Innanzitutto, come nota anche Zasztowt, lo sviluppo di un dialogo tra la NATO e la Turchia riguardo ai rischi per la sicurezza nel Caucaso è essenziale nel momento in cui Ankara ha una voce rilevante nel processo di integrazione di alcuni paesi – come la Georgia – nell’Alleanza.

Inoltre, è necessario coordinare la politica turca con quella della UE nei confronti delle repubbliche separatiste del Caucaso del sud.

In caso contrario è probabile che la politica di sicurezza russa si faccia più assertiva per cercare di mantenere forzatamente lo status quo o riguadagnare controllo sull’area. In particolare, oggetto di un dialogo approfondito dovrebbero essere i progetti infrastrutturali e tutti quelli che riguardano i trasporti; ad esempio, potrebbero essere sviluppate nuove rotte per le forniture di gas dall’Iran e dal Turkmenistan.

La crisi russo-turca potrebbe anche fornire l’occasione per approssimare le visioni strategiche di sviluppo delle relazioni tra la UE, la Turchia e i paesi del Caucaso partecipanti alla Eastern Partnership, come Georgia e Azerbaijan.

Il futuro assetto strategico di Ankara

Una conseguenza indiretta, anche se al momento poco probabile, del confronto russo-turco nel Caucaso del sud potrebbe essere una maggiore armonizzazione delle politiche tra Bruxelles ed Ankara.

I recenti messaggi tra Mosca ed Ankara segnalano, soprattutto da parte di quest’ultima, l’interesse a normalizzare le relazioni.

A metà giugno, il presidente Erdogan ha inviato un messaggio a Putin esprimendo il desiderio di migliorare le relazioni “al livello che meritano”. Poco prima, egli aveva già espresso rammarico per il fatto che le relazioni bilaterali fossero sacrificate a causa “dell’errore di un pilota”.

Allo stesso tempo, il primo ministro Yildirim ha inviato una lettera alla sua controparte Medvedev in cui sottolineava la speranza di restaurare la cooperazione.

Tuttavia, secondo Oktay Tanrisever, esperto di politiche russe, questi segnali non sono stati all’altezza delle aspettative di Mosca.

Un punto di vista che potrebbe essere smentito dagli annunci distensivi del Cremlino, dalle indiscrezioni circa il decisivo supporto informativo dell’intelligence russo che avrebbe consentito ad Erdogan di conoscere le intenzioni dei golpisti e dalla disponibilità di Putin a incontrare il presidente turco già a inizio agosto.

Anche prima del colpo di stato in Turchia era comunque chiaro che la linea della politica estera di Ankara aveva iniziato a prendere un’altra direzione.

Il parziale disgelo intervenuto dopo il tentato golpe ha spazzato via ogni dubbio e si spiega con l’interesse da parte di Erdogan di migliorare le relazioni con Mosca per assicurare vantaggi economici al paese, più che la stabilità regionale.

Come scrive Asia Times, La Turchia, dimostrando di essere disponibile a diventare “l’hub meridionale” per il gas russo, garantisce il proprio fabbisogno energetico, anche se naturalmente questa situazione sarà vantaggiosa soprattutto per la Russia.

E’ in ogni caso improbabile che nel breve periodo le relazioni possano essere riportate al livello antecedente al 24 novembre 2015.

Se la Turchia di Erdogan si è improvvisamente resa conto di aver bisogno di una politica estera più pragmatica, il che si traduce in posizioni più concilianti verso Mosca, ciò non significa che la stagione del disgelo sia ormai giunta in tutte le aree di “coesistenza competitiva”. In particolare, nel Caucaso questa potrebbe giungere molto più tardi, o non giungere affatto.

Allo stesso tempo, anche se a livello diplomatico la rivalità potrebbe essere messa da parte, è difficile che la normalizzazione possa ripercuotersi sulle posizioni attuali riguardo la Siria.

Di conseguenza, l’ombra della rivalità russo-turca è suscettibile di riflettersi sempre più da vicino nel Caucaso del sud anche se il futuro dei rapporti tra Ankara e Mosca dipenderà molto dai riflessi delle relazioni tra Turchia e USA/NATO/UE, oggi minacciate anche dalle conseguenze del fallito golpe militare ad Ankara.

Foto: TASS, Ria Novosti, Anadolu, Reuters, Getty Images e AP

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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