MOLDOVA: NUOVO TERRENO DI SCONTRO TRA USA E RUSSIA

Nell’ultimo decennio assistiamo a un fenomeno molto diffuso nelle strutture politiche dell’Europa Orientale, in particolare nelle ex Repubbliche dell’URSS o nei Paesi satellite che gravitavano attorno alla sfera d’influenza sovietica: a ogni governo con un determinato orientamento politico corrisponde uno specifico orientamento geopolitico, che si pone necessariamente agli antipodi rispetto all’opposizione.

Questa dicotomia politica tendente al bipolarismo – euro-atlantico, da un lato, e filo-russo, dall’altro – sembrerebbe un luogo comune che fatica a uscire dai propri limiti oramai anacronistici. Eppure, la stessa Moldova vive oggi un’isteria politica orientando i propri obiettivi in base ai frequenti cambi di governo, a loro volta influenzati da malcelate intromissioni esterne.

Al centro dell’attuale scena politica moldava c’è il Governo democratico di Pavel Filip (nella foto a fianco)  appeso a un filo di lana a causa delle pesanti accuse di corruzione, divenute quasi una costante nella recente storia del Partito democratico.

All’inizio di quest’anno, tra i 20.000 e i 40.000 moldavi sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni dell’esecutivo seguiti dalle pressanti richieste di elezioni anticipate da parte delle forze d’opposizione, che mal sopportano la “via europea” faticosamente intrapresa da Chișinău.

La nomina del premier avvenuta di notte, a porte chiuse e attraverso alleanze improvvisate e rimescolamenti tra diversi gruppi parlamentari alimenta i sospetti su una longa manus esterna che possa averlo favorito. Il primo ministro è infatti accusato di clientelismo nei confronti dei potenti oligarchi del Paese, primo fra tutti Vladimir Plahotniuc (nella foto sotto) – figura molto discussa della società moldava – che sembrerebbe avere una presa diretta sul Partito democratico (quindi anche sulle istituzioni dello Stato) da cui proviene lo stesso Filip.

A completare il difficile quadro politico si aggiunge l’ostruzionismo esercitato dall’opposizione filo-russa che, per diverso tempo, ha paralizzato il funzionamento dell’esecutivo, contribuendo ad alimentare la crisi di governo.

Sembrerebbe che le forze democratiche, indebolite ormai da troppi scandali – non ultimo l’arresto del predecessore di Filip, l’ex premier Vlad Filat, coinvolto in un affaire per la sparizione di un miliardo di dollari dalle banche moldave – abbiano esaurito il carburante politico. Infatti, un numero sempre maggiore di moldavi deluso dai cosiddetti “governi europeisti” appoggia l’avanzata dei socialisti filo-russi.

Nel contempo è venuta meno anche l’euforia derivata dalla firma dell’Accordo di associazione con l’UE nel 2014 e dalla liberalizzazione del regime dei visti per i moldavi. Stando ai sondaggi più recenti, appena il 30% degli elettori sostiene la “via europea” del governo, mentre il leader socialista Igor Dodon, appoggiato da Mosca, risulta al momento il candidato favorito alle elezioni presidenziali che si terranno alla fine di ottobre.

In questa prospettiva di riavvicinamento tra Chișinău e Mosca, si delinea ora un maggiore coinvolgimento negli affari interni moldavi di Washington, che sinora si era limitata ad agire per il tramite della NATO con i programmi di partenariato.

Nel mese di maggio si è infatti svolta a Negreṣti, nord-ovest da Chiṣinau, l’ esercitazione congiunta moldavo-statunitense “Dragon Pioneer 2016” (nelle foto sotto) che hanno visto la partecipazione di 198 soldati del 2° Reggimento di cavalleria e 58 unità mobili dell’Esercito degli Stati Uniti (11 veicoli da combattimento e rifornimento, 18 veicoli da ricognizione Humvee, 29 automediche e veicoli da trasporto) e 165 militari moldavi provenienti dal Battaglione del Genio, da 22° Battaglione di Peacekeeping e dalla 1°, 2° e 3° Brigata dell’Esercito moldavo oltre a 40 veicoli da trasporto e rifornimento.

Ufficialmente le manovre militari avevano lo scopo di incrementare l’interoperabilità tra le Forze Armate dei due Stati, ma potrebbero essere interpretate in una doppia chiave politica.

Da un lato, l’esercitazione congiunta ha confermato il sostegno statunitense al debole Governo di Chișinău, che non ha ricevuto un esplicito appoggiato dall’UE e della NATO, la quale si limita a portare avanti la cooperazione stabilita dal programma di Partenariato per la Pace (PfP) e dal Piano d’azione per il partenariato individuale (2014-2016).

Incluse le riforme strutturali e le sporadiche esercitazioni per verificare l’interoperabilità con le forze dell’Alleanza: l’ultima, nota come  Cooperative Longbow/Lancer si è svolta a Bulboaca nel 2006 poiché nel 2009 la Moldova ha rifiutato di partecipare alle esercitazioni congiunte.

Dall’altro non è difficile intravvedere una diretta provocazione militare nei confronti di Mosca, soprattutto a seguito delle ripetute richieste del Ministro della Difesa moldava Anatol Şalaru di ritirare le truppe russe dalla Transnistria. Del resto, lo conferma la scelta di far sfilare anche i mezzi e i militari americani alla Parata militare di Chișinău il 9 maggio che celebra il giorno della vittoria dell’Armata rossa sul fascismo, festa particolarmente carica di significato per la Russia.

L’ingresso del convoglio americano in Moldova ha causato un certo malumore non solo tra la popolazione ma anche tra alcuni politici che hanno organizzato una manifestazione di protesta contro quella che hanno definito “l’invasione di uno Stato neutrale”.

I militari sono stati costretti ad arrestarsi per alcune ore perché i deputati del Partito socialdemocratico avevano bloccato il checkpoint di Sculeni, e aggiungendo una nota tragicomica alla vicenda, Igor Dodon ha effettuato un vero e proprio controllo dei passaporti, documentato da alcune immagini che compaiono sul suo profilo Facebook.

Non è la prima volta che le truppe americane partecipano a esercitazioni militari nell’ex Repubblica sovietica.

La prima cooperazione militare ad alto livello tra Washington e Chișinău fu stabilita già nel 1995 con la Dichiarazione congiunta sulle relazioni bilaterali e la cooperazione militare e in materia di Difesa, sottoscritta dell’allora Presidente moldavo Snegur e del Segretario di Stato americano William Perry.

Tuttavia, a causa della neutralità permanente sancita nella Costituzione moldava (art. 11.4 Cost.) e, dal momento che l’Alleanza Atlantica costituiva la principale struttura per la cooperazione in materia di difesa degli Stati Uniti in Europa, nei dieci anni successivi alla firma la Moldova non ha potuto godere di una significativa cooperazione militare o in ambito di sicurezza con gli Stati Uniti.

Le relazioni bilaterali si intensificarono dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 e con il conseguente invio – approvato dal Parlamento – tra il 2003 e il 2008, di sei contingenti moldavi a seguito delle brigate statunitensi nell’Operazione “Iraqi Freedom”.

In quell’occasione le truppe moldave furono ampiamente addestrate ed equipaggiate da Washington ma, fatto ancor più significativo, la partecipazione moldava nell’operazione a marchio statunitense aprì la strada a un maggiore coinvolgimento di Washington nella questione relativa alla Transnistria.

Non a caso, infatti, la visita del Segretario alla Difesa Rumsfeld a Chișinău nel 2004, pianificata per riconoscere l’ottimo lavoro svolto dagli sminatori moldavi in “Iraqi Freedom”, divenne subito un’ottima occasione per parlare delle truppe russe in Transnistria, che in seguito all’Allargamento della NATO nel 2004, erano dislocate proprio a ridosso dei suoi confini.

Da allora poco è cambiato. La visita di Rumsfeld ha condotto la Moldova ad avvicinarsi alla NATO con la sottoscrizione del Piano d’Azione per il Partenariato Individuale nel 2006 (Individual Partnership Action Plan – IPAP), che finora è stato regolarmente rinnovato con cadenza biennale fornendo una certa garanzia ai timori americani sulla sicurezza dei confini.

Tuttavia, a parte un relativo ritiro delle truppe nel 2004, la buffer zone in Transnistria conta ad oggi ancora circa 1.500 militari russi (di cui qualche centinaio appartenenti alle forze di peacekeeping) dispiegati sul terreno e una cospicua quantità di armamenti dai tempi dell’Unione sovietica.

In questa prospettiva, quindi, la presenza di truppe statunitensi per esercitazioni è stato un avvertimento fine a se stesso che non ha portato a un cambiamento dello status quo.

Al contrario, la presenza di truppe straniere in Moldova ha creato un certo imbarazzo al governo che dopo essere stato contestato anche dagli elettori ha giustificato le accuse sulla “occupazione americana” con una contro accusa alle “truppe di Igor Dodon (con riferimento alla Russia) che illegalmente occupano il territorio dello Stato”.

In risposta a “Dragon Pioneer”, il contingente russo dispiegato nella zona di sicurezza della Transnistria ha incrementato la sua prontezza al combattimento e, nel solo mese di agosto, si sono svolte ben due esercitazioni anti-terrorismo in Transnistria che hanno coinvolto il Gruppo Operativo delle Forze Armate russe, i militari della regione secessionista e un team medico addetto all’evacuazione dei feriti dalle zone di combattimento.

Al termine delle attività il Comandante delle forze russe Dmitry Zelenikov e il Capo dei secessionisti Pavel Prokudin si sono poi accordati su un ulteriore incremento del personale russo presso l’Ospedale militare di Tiraspol, sigillando ancora una volta i buoni rapporti bilaterali e la reciproca cooperazione.

Ancora una volta, la Moldova dimostra di essere poco credibile cercando il sostegno esterno, a volte inutilmente, per dare maggior voce alle scelte del proprio esecutivo. La neutralità costituzionalmente sancita sembra ormai diventata una bandiera da issare quando le varie ingerenze esterne diventato troppo evidenti, piuttosto che un principio guida della sua politica estera.

Questa continua alternanza di governi si rivela deleteria perché continuamente costruisce e distrugge i progressi fatti nelle relazioni bilaterali con gli altri Stati.

In questo senso, le elezioni presidenziali di ottobre potrebbero nuovamente portare un cambio di rotta negli affari esteri di Chișinău, con un allontanamento dagli Stati Uniti e l’accantonamento della retorica anti-russa.

A quel punto, anche la richiesta di ritiro delle truppe russe dalla Transnistria e la condanna moldava delle esercitazioni russo-transnistriane potrebbero presto cadere nel dimenticatoio.

Le evidenti criticità, quali le deboli e corrotte istituzioni statali, il nepotismo e la forte instabilità politica ed economica, contribuiscono a formare terreno fertile per la nascita di ambienti populisti ed estremisti, oltre a un chiaro segnale che la Moldova è sulla via del fallimento e di trasformarsi in un nuovo potenziale terreno di scontro tra Mosca e Washington.

Questo braccio di ferro è dimostrato dalla rinnovata, seppur contenuta (30 militari), partecipazione statunitense all’esercitazione Fire Shield 2016 (11-24 settembre) presso l’area addestrativa di Bulboaca – ulteriore attività della cooperazione militare moldavo-statunitense – e dall’impegno diretto di Washington a finanziare il progresso del governo dal comunismo alla democrazia liberale.

Lo dimostrano, dall’altra parte, gli incontri tra Filip e Putin in occasione del meeting della CSI lo scorso 19 settembre e quello programmato agli inizi di ottobre con Rogozin che, di fronte a questa attuale e inaspettata vicinanza statunitense, puntano a ristabilire la cooperazione politico-economica tra i due Stati proprio prima delle presidenziali e del loro tanto atteso esito.

Foto: Nato, AP, Reuters, Sputnik, EPA, Ria-Novosti

Nata a Kazanlak (Bulgaria), si è laureata con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Ha frequentato il Master in Peacekeeping and Security Studies a Roma Tre e ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato per il diritto internazionale umanitario. Ha fatto parte del direttivo del Club Atlantico Giovanile del Friuli VG e nel 2013 è stata in Libano come giornalista embedded. Si occupa di analisi geopolitica e strategica dei Paesi della regione del "Grande Mar Nero" e dell'Europa Orientale e ha trattato gli aspetti politico-giuridici delle minoranze etniche e dei partiti etnici.

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