NEW YORK E GLI STATI UNITI DI NUOVO NEL MIRINO DEI JIHADISTI

da Il Mattino del 20 settembre

Le autorità statunitensi restano caute nell’attribuire alla matrice islamista la serie di attacchi e attentati terroristici effettuati o tentati negli ultimi giorni tra New York, il New Jersey e il Minnesota. Le ragioni sono legate all’impatto che l’annuncio di un’offensiva terroristica islamica avrebbe sulla campagna elettorale presidenziale a favore di Donald Trump e all’esigenza degli inquirenti di raccogliere prove inoppugnabili o di attendere rivendicazioni credibili.

Ciò nonostante a tutti pare ormai evidente che la pista da seguire sia quella jihadista, come conferma anche la cattura, dopo una sparatoria, del 28 enne afghano naturalizzato americano Ahmad Khan Rahami, sospettato per le cinque bombe trovate in uno zaino in New Jersey e per quelle di sabato sera a Manhattan.

Rahami (bella foto a fianco) si è rifiutato di collaborare con gli inquirenti. Un aspetto che potrebbe dimostrarne l fanatica adesione alla causa jihadista ma potrebbe pure rafforzare l’ipotesi di una grande cellula terroristica pronta a colpire ancora con attentati multipli e simultanei.

A differenza dell’aggressione a coltellate di 9 persone compiuta in Minnesota dal somalo 22enne Dahir Adan, rivendicata dallo Stato Islamico, le azioni terroristiche riuscite o tentate tra New York e il vicino New Jersey non hanno ancora una paternità, aspetto che potrebbe indurre a ritenere che i terroristi, se ne esistono altri oltre a Rahami, siano in fuga o impegnati a piazzare altri ordigni improvvisati.

Del resto la rinnovata minaccia islamista era stata preannunciata il 27 agosto scorso da un messaggio video del network al-Thabaat, parte della galassia dello Stato Islamico, intitolato «Come on Rise», che aveva esortato tutti «i musulmani devoti ad “entrare in azione e attaccare i miscredenti”» negli Stati Uniti e in Europa.

Negli Usa vivono 3,3 milioni di musulmani (1 per cento della popolazione destinati a raddoppiare nel 2050 secondo il Pew Research Center) per un terzo minorenni e per oltre il 60 per cento immigrati regolari, i quali crescono di 100 mila unità all’anno.

Dopo 1’11 settembre 2001 i reati (omicidi, attacchi e attentati) di matrice islamista sono stati 47, contando solo quelli in cui si sono registrati morti mentre secondo il rapporto dell’ ong Clarion Project, che da anni evidenzia i rischi legati alla diffusione dell’Islam estremista, negli Usa i jihadisti controllavano l’anno scorso 83 moschee sulle 2.106 censite nel 2010.

Tra queste quella di Dar al-Hijraha a Falls Church (Virginia) frequentata anche da due membri del gruppo suicida dell’11/9), l’Islamic Society di Boston da cui venivano tre terroristi di al-Qaeda e i fratelli caucasici Tsarnaev che compirono l’attentato alla maratona d Boston e il Centro Islamico di Tucson (Arizona), considerato la più datata cellula di al- Qaeda negli Usa.

Salafiti, wahabiti e fratelli musulmani sono i più diffusi tra i movimenti radicali che, come in Europa, ricevono crescenti finanziamenti rispettivamente da Arabia Saudita e Qatar mentre a New York e nel New Jersey la comunità islamica è cresciuta enormemente negli ultimi anni con l’arrivo di molte persone provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Somalia.

Nel novembre dell’anno scorso l’Fbi aveva in corso oltre mille indagini su individui sospettati di legami con lo Stato Islamico e molta attenzione viene riposta sul reclutamento di immigrati attraverso il web e sulla radicalizzazione di criminali comuni nelle carceri.

Percorsi e strategie simili a quelle adottate dai jihadisti in Europa con la differenza che negli Usa la presenza di foreign fighters veterani dei conflitti sembra essere nulla o marginale anche se il facile accesso alle armi e ai campi d’addestramento in America consente ci addestrate chiunque a compiere attacchi.

Uno studio della George Washington University ha evidenziato che in 12 mesi, tra il 2014 e l’anno successivo, 71 persone erano state accusate in 21 Stati degli Usa di collusione con l’Isis, per lo più giovani sotto i 30 anni. Afghani, pakistani, kuwaitiani, ceceni e somali sembrano essere maggiormente sensibili al fascino del “jihad in Usa”.

Era afghano anche Omar Mateen che nel giugno ha ucciso 50 persone in un locale gay di Orlando (Florida). Pachistano invece Tashfeen Malik, che con la moglie, Syed Farook, compì la strage di San Bernardino (California) il 2 dicembre scorso: 14 morti rivendicati dall’Isis. Pachistano anche Nadier Sufi che pochi mesi prima a Dallas (Texas) con un altro simpatizzante dell’Isis, il convertito americano El-ton Simpson, aveva tentato di attaccare un edificio che ospitava un incontro sulla libertà di espressione.

Pochi mesi prima il kuwaitiano Mohammad Youssef Abdulaziz uccise 5 militari a Chattanooga (Tennessee). La comunità somala di Minneapolis (Minnesota), insediatasi in città negli anni ’90 con l’esodo legato alla guerra civile, ha fornito un’ampia manovalanza ad al- Qaeda e al movimento jihadista al-Shabab (nella foto sinistra un attentato a Mogadiscio) .

Almeno una ventina di somali con passaporto americano sarebbero stati in Somalia a combattere il jihad e la comunità di Minneapolis è arrivata spesso ai ferri corti con le autorità federali. Anche qui sono i giovanissimi ad aderire al richiamo del Califfato: l’anno scorso l’Fbi ne ha arrestati sei prima che espatriassero in Siria.

Che la minaccia dell’Isis negli Usa sia in crescita sembra confermarlo indirettamente anche il direttore della Cia, John Brennan (nella foto a fianco) in un’intervista su Cbs News.

«Credo che la capacità dello Stato Islamico di condurre attacchi al di fuori dei teatri di Siria e Iraq si manterrà e potrebbe aumentare in tempi brevi» ha detto Brennan aggiungendo di non ricordare altri momenti nel passato in cui gli Stati Uniti si siano trovati a far fronte a minacce altrettanto complesse e pericolose.

Foto: AP, Clarion Project, NYPD e, AFP.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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