OBAMA FERMA I RAID IN LIBIA? ARMI RUSSE PER HAFTAR?

Gli Stati Uniti mollano i combattenti che stanno combattendo da mesi per liberare la roccaforte di Isis in Libia, Sirte, al loro destino.

Probabilmente continueranno ad operare in silenzio le forze speciali ma le milizie anti-Isis non potranno più contare sui decisivi raid aerei Usa iniziati il primo agosto scorso.

E’ quanto ha riferito ieri la rete tv conservatrice Fox News, di Rupert Murdoch, citando un ordine diretto dato, senza alcuna pubblicità, dal presidente Barack Obama.

In totale ivelivoli statunitensi hanno effettuato 367 sortite tra il primo agosto ed il 31 ottobre.

I jet a decollo verticale AV-8B Harrier partivano dalla portaelicotteri da assalto anfibio Uss Wasp da cui decollavano anche gli elicotteri d’attacco Cobra.

Ma la Wasp, che ha un ponte di decollo di 258 metri, è stata sostituita il 28 ottobre dalla nave d’assalto anfibio Uss San Antonio.

Quest’ultima è lunga 208 metri e ha un ponte di volo poppiero limitato a 40 metri, in grado di far decollare solo elicotteri e droni.

La campagna aerea doveva inizialmente durare solo un mese, fino alla fine di agosto, ma successivamente Obama l’ha prolungata per altri due mesi.

Le operazioni a Sirte condotte per lo più dalle milizie di Misurata sono in corso dal maggio scorso ma quanto resta delle forze dello Stato Islamico on città resiste ancora in un paio di quartieri.

Secondo Foreign Policy Mosca starebbe fornendo armi al governo di Tobruk il cui esercito è guidato dal Feldmaresciallo Khalifa Haftar (nella foto sotto).

“Cogliendo l’opportunità di interporsi fra gli Stati Uniti e due loro alleati tradizionali (l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti), pur sostenendo a parole il processo di conciliazione dell’Onu), la Russia ha trasferito armi, probabilmente attraverso la Serbia e la Bielorussia, alle forze del generale Khalifa Haftar, che sostiene il governo di Tobruk” si legge nell’articolo intitolato “Vladimir d’Arabia” firmato da Emile Simpson, ex ufficiale dell’Esercito Britannico.

L’analista  sostiene come l’intero Medio Oriente sia diventato per Vladimir Putin il terreno di confronto con l’Occidente, il teatro in cui il presidente russo può creare potere dal nulla in suo favore e sottrarre influenza Occidentale, senza provocare, come accadrebbe in Europa orientale, conflitti aperti.

“Dopo la presa di controllo dei terminal petroliferi nel Golfo della Sirte negli ultimi due mesi, e la linea dura contro i gruppi islamisti a Bengasi da parte di Haftar, l’Occidente sembra ora aver accettato la realtà -e fino a un certo punto, la necessità- del suo potere, e, per estensione, dell’influenza della Russia in Libia”, si sottolinea.

Il modo di operare di Putin, secondo Simpson, è quello di individuare una divisione e sfruttarla.

In Libia, gli Stati Uniti hanno investito sul governo di Accordo nazionale basato a Tripoli sostenuto dall’Onu.

“Il problema è che il governo separatista a Tobruk, sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati arabi Uniti, non ha acconsentito a questa fusione”.

La Russia inoltre sostiene senza equivoci i regimi autoritari a Damasco, al Cairo, a Tobruk che descrive come barriera contro la diffusione dell’islam radicale.

In Siria, l’Occidente non è riuscito a spiegare come mai liberarsi dal regime di Assad migliorerebbe la sicurezza del paese e Putin ha sfruttato questo gap secondo l’analisi del giornale statunitense.

Lo stesso vale per la Turchia, con Putin che ha colto la palla al balzo della difficoltà della Nato dopo il fallito golpe di luglio, e invitato a Mosca Recep Tayyp Erdogan.

La divisione fondamentale che Putin sfrutta in Medio Oriente è quella fra l’avversione occidentale per gli islamisti e gli abusi dei diritti umani.

L’articolo di Emile Simpson sostiene quindi che il conflitto fra questi due poli spesso crea equivoci nella politica estera Occidentale e crea lo spazio politico in cui la Russia può operare investendo in repressione e screditando la democrazia.

(con fonti AGI e Adnkronos)

Foto US DoD, ANSA, AP, Askanews e Cremlino

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