Strade “sicure” solo così?

Ci risiamo con l’uso dei soldati in città, per dare l’impressione che lo Stato stia facendo tutto il possibile per la sicurezza dei cittadini. Per fare ciò, ovviamente, i soldati vengono sottratti alla loro missione prioritaria, che dovrebbe essere finalizzata alla difesa degli interessi nazionali del Paese. La cosa mi lascia sempre più perplesso.

Sono il primo a ritenere che in qualsiasi situazione di emergenza, le F.A. offrano un bacino di potenzialità e professionalità a cui bisognerebbe attingere immediatamente e ben più massicciamente di quanto non si faccia oggi.

Un caso tipico in cui l’intervento delle nostre Forze Armate e dell’Esercito, in particolare, potrebbe essere certamente più consistente ed organico è, a mio avviso, quello dell’intervento in caso di calamità naturali. Terremoti, alluvioni e altre calamità che ci piovono addosso senza preavviso. Spesso, invece, non si attinge a tutte le potenzialità che uomini e donne con le stellette potrebbero mettere rapidamente in campo per alleviare le sofferenze delle popolazioni colpite.

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Sono convinto che la ragione di questa ritrosia ad impiegare di più l’Esercito sia finalizzata a consentire a organizzazioni che operano esclusivamente nel settore della protezione civile di avere la propria visibilità. Giustissimo nell’ottica dominante del politicamente corretto e dell’equo “share” di riprese sui telegiornali, se non fosse che, magari, l’Esercito, se attivato (o, meglio, autorizzato ad intervenire) avrebbe talvolta fatto prima!

In quel caso, però, si tratterebbe di “emergenze” e ben venga il massiccio ricorso a tutte le potenzialità che le F.A. possono mettere prontamente in campo!
Mi si obietterà che negli ultimi due anni l’Esercito viene impiegato con compiti di sicurezza interna anche in tanti altri paesi europei in relazione all’attuale minaccia terroristica (ad es. Francia e Belgio). Verissimo!

Però da noi l’esigenza di usare l’Esercito per supportare le forze di polizia in relazione alla recente minaccia terroristica si è innestata su un’abitudine più che ventennale, esclusivamente italiana, di impiegare i soldati in compiti che, nella maggioranza dei paesi democratici occidentali, sono prerogativa esclusiva delle forze di polizia.

È, infatti, dal settembre 1992 (in risposta agli attentati di maggio a Capaci e di luglio in via D’Amelio, dove caddero rispettivamente Falcone e Borsellino) che l’Esercito è impiegato in funzioni di polizia sul territorio nazionale, con una continuità che nell’Europa Occidentale può, a mio avviso, essere paragonata solo a quella dell’Esercito di Sua Maestà in Nord Irlanda … ma in un contesto ben diverso!

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L’operazione “Vespri Siciliani” lanciata nel 1992 in Sicilia rispose veramente ad un’emergenza nazionale. Si giunse ad avere tre brigate impegnate nell’operazione (la brigata Aosta, già di stanza nell’isola, ed altre due a rotazione).

I reparti operavano in maniera organica, rispondendo alla propria catena di comando, con modalità organizzative tipiche militari e con poteri ed autonomia di impiego che non sono stati loro più attribuiti in alcuna delle operazioni successive.
Non credo che l’operazione abbia scalfito le organizzazioni mafiose né i loro traffici finanziari, ma sicuramente ha rappresentato un intervento efficace e visibile nei confronti della microcriminalità e della cultura dell’illegalità. Ritengo, nel complesso, che abbia avuto una validità, se non altro perché fu in grado di mostrare tangibilmente la volontà di reazione del Paese e la capacità di controllare veramente il territorio.
Ovviamente, un’operazione del genere richiede personale e adeguate risorse economiche e non può essere protratta più di tanto, pena la perdita di efficacia.

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I marines statunitensi condensano l‘arte della guerra in relazione alle expeditionary operations in poche parole, che sono peraltro perfettamente applicabili anche all’impiego delle F.A. in funzioni di polizia: “ Get in, kick ass and get out!”ovvero “entra, “prendili a calci nel sedere” e vattene! “
Ora è la nozione di “get out” che sembra mancare a quasi tutte le operazioni militari italiane (siano esse all’estero o in Patria).
Dopo i “Vespri Siciliani” (1992-1998) abbiamo assistito a una sequel interminabile di operazioni di vigilanza di obiettivi sensibili, di concorso alle forze dell’ordine, ecc, con compiti sempre più marginali (e, a mio modestissimo avviso, poco rilevanti per la sicurezza e certamente demotivanti per il personale).

L’attività era spesso statica e ho sempre ritenuto che la motivazione fosse essenzialmente quella di poter garantire (in caso di incidente) ai responsabili della sicurezza pubblica la possibilità di giustificarsi con la frase: “ho anche chiesto l’intervento dell’Esercito: cosa potevo fare di più?”.
Anziché tentare di utilizzare i soldati (che nel frattempo stavano diventando professionisti) in maniera dinamica e coerente con quelle che dovrebbero esserne le procedure d’impiego operativo “militare”, l’unico sforzo fatto è stato quello di una fantasiosa ricerca di nomi da attribuire a tali operazioni (Riace, Forza Paris, Partenope, Salento, Domino, Strade Sicure ecc) .

Si giunge così al 4 agosto 2008, quando fu lanciata l’attuale operazione “Strade Sicure” dall’allora ministro La Russa. Con enorme tristezza rilevo che il prossimo 4 dicembre l’operazione avrà raggiunto i 100 mesi di vita! Esattamente quanto la partecipazione italiana alle due Guerre Mondiali messe insieme!

L’operazione fu sancita dalla legge n. 125 del 24 luglio 2008 che così recitava: “Per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, ove risulti opportuno un cresciuto controllo del territorio, può essere autorizzato un piano di impiego di un contingente di personale militare appartenente alle F.A.”
Nonostante i cambi di governo e le divergenti visioni di tali governi in materia di ordine pubblico e sicurezza, l’operazione procede ancora.

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Evidentemente le “specifiche ed eccezionali esigenze” sono ormai croniche e un ”aiutino” dei soldati alle Forze dell’Ordine è divenuto strutturale! Si pensi che solo a Roma ci sono attualmente, anche in relazione al Giubileo ma non solo, ben 2.200 militari impiegati in questa operazione!

Si tratta di un intervento efficace? I giudizi sono contrastanti.
L’onorevole Pinotti, lo scorso 14 gennaio, ha sottolineato “la diminuzione del 30 per cento dei reati fra dicembre 2014 e dicembre 2015 (nella città di Roma)” aggiungendo che “Tali provvedimenti elevano quindi la percezione di sicurezza e pongono ancora una volta le donne gli uomini delle Forze armate come parte attiva ed integrante del sistema di sicurezza pubblica”. Frase che evidenzia un approccio culturale che considera le F.A. come uno strumento che possa essere strutturalmente impiegato in funzioni di polizia all’interno del Paese. Approccio che ritengo farebbe rabbrividire qualsiasi democrazia del Nord Europa (e, oggi come oggi, persino alcune repubbliche sudamericane!!).

Per contro, la Corte dei Conti avrebbe ritenuto il contributo dell’Esercito alla sicurezza non rilevante (stanti sia i numeri ridotti di militari impegnati sia, soprattutto, i ristretti limiti imposti alla loro possibilità d’azione). Non so se i dati dell’ISTAT siano conformi o meno a quelli degli addetti stampa del Ministero della Difesa (mi sembrerebbe di no). Peraltro, visto che la Ministra della Difesa ha parlato di “percezioni di sicurezza”, mi sembra che la percezione dell’italiano medio non sia esattamente quella di trovarsi in un ambiente scevro da problemi di sicurezza. Quindi, nella “guerra della comunicazione” qualche errore deve esserci stato.

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Ma questo non è il punto!
Il punto non è se i soldati, impiegati sulla strada, contribuiscano o meno ad innalzare il livello di sicurezza delle nostre città o se il cittadino possa sentirsi più o meno sicuro se vede un soldato in tenuta da combattimento anziché un poliziotto.
A mio avviso, il nocciolo della questione è se si tratti, da un lato, di una maniera funzionale ed efficiente di risolvere un problema di ordine pubblico ormai cronico (anche se ho sempre ritenuto e continuo a ritenere che si tratti in realtà di un problema di “immagine” più che di ordine pubblico) e, dall’altro, se si tratti di un uso logico ed efficiente del personale militare.

Per quanto riguarda il primo punto, non si può non notare che, dopo un quarto di secolo di impiego ininterrotto dell’Esercito sulle strade delle nostre città, non si può più parlare di “emergenza”!
Si tratta o di “disorganizzazione” del settore delle Forze dell’Ordine (cui dovrebbe competere l’attività di controllo del territorio indispensabile per prevenire, contrastare e reprimere l’illegalità) o di inefficienza del sistema giudiziario (la cui azione sembrerebbe non avere alcun effetto dissuasivo nei confronti di chi intende delinquere) o, infine, di una infelice combinazione di entrambe tali inefficienze.

Tralascio il ben più complesso problema del sistema giudiziario, né mi addentrerò nell’annoso problema della riorganizzazione delle orze di Polizia e lascio l’eventuale trattazione di tali temi ad esperti dei due settori.
Peraltro, non posso non rilevare che l’organico delle nostre 5 forze di polizia nazionali (adesso formalmente, almeno, ridotte a 4) è di circa 333 mila uomini (somma degli effettivi di Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria ed ex Corpo Forestale dello Stato).

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Ricordo inoltre che i soldati vengono impiegati solo nelle città che siano almeno capoluogo di provincia. Pertanto, nel considerare le Forze di Polizia già presenti sul territorio non possiamo tralasciare le polizie municipali di tali città. Polizie municipali che godono di organici tutt’altro che scarni e spesso rimpinguati a più riprese da Sindaci di tutti i colori politici, per motivi talvolta funzionali e talvolta clientelari.

Di fronte a tali numeri, i 7.050 soldati di “Strade Sicure” (che dovrebbero essere addestrati per compiti diversi, che sicuramente non sono equipaggiati per operare in mezzo alla gente e che partecipano a “Strade Sicure” con turnazioni tutto sommato brevi) possono davvero rappresentare la differenza?
Non certo numericamente. Un ipotetico accorpamento di CC e PS libererebbe molti più agenti soltanto svuotando gli uffici che verrebbero accorpati dalle due organizzazioni.
Personalmente, non credo che possano fare la differenza neanche in termini di efficacia.

Si dice, però, che l’operazione giova a livello di immagine. Nell’immediato, sicuramente (ma l’immediato potrebbe essere già passato). Occorrerà valutare se tale beneficio di immagine alla lunga pagherà. Se nella percezione dei cittadini il continuare a vedere l’Esercito che supporta le forze di polizia ingenererà una percezione di maggior sicurezza o la convinzione di vivere in un Paese che deve continuamente far ricorso a misure eccezionali per far fronte anche a esigenze quotidiane. Occorrerà valutare anche quanto alla fine gioverà all’immagine dell’Esercito.

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È chiaro, ad esempio, che la comunicazione in relazione agli impegni in operazioni all’estero dei nostri militari giova all’immagine della F.A. e si riflette sulla motivazione di molti giovani di arruolarsi nell’Esercito. Vedendo l’Esercito fare attività analoghe, ma di secondo piano, rispetto alle Forze dell’Ordine, forse si invoglieranno alcuni giovani che vorrebbero vestire la divisa a scegliere l’originale anziché la copia.

Infine, occorre dire che, comunque, i soldati hanno fornito un contributo importante e poco conosciuto in questa operazione tutte le volte (ed è successo spesso) che hanno consentito agli appartenenti alle forze dell’ordine di prolungare le proprie vacanze estive (e quindi di meglio ritemprarsi!), visto che nei mesi di luglio e agosto si è ripetutamente assistito a richieste di incremento dei volumi di soldati da impiegare in Strade Sicure. Peraltro, non solo ritengo che non dovrebbe essere questa la funzione dell’Esercito, ma che tale situazione denoti disorganizzazione da parte di quelle organizzazioni che non sembrano in grado di garantire in proprio la continuità delle proprie funzioni sul territorio.

Vi è poi un problema di idoneità dell’equipaggiamento e dell’armamento con cui i soldati operano, che temo sia asservita a motivi di immagine più che di efficienza.
Per far vedere che “l’esercito c’è” e che “serve a qualcosa” (in modo che il contribuente non pensi che serva per “fare la guerra”!) il personale viene impiegato spesso in zone centrali e molto frequentate delle città, magari in vicinanza di aree che sono anche oggetto di attrazione turistica e di notevole presenza di turisti. Ovviamente, i soldati si trovano in mezzo alla gente, non vi è né essi possono realizzare un’area di sicurezza intorno a loro (si pensi a tutti quelli impiegati a Trastevere di sera, con nugoli di turisti che gli passano accanto, fanno le foto, gli chiedono informazioni stradali avvicinandosi con la cartina di Roma, ecc).

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E i soldati come sono: in uniforme mimetica, con pesante giubbotto antiproiettile (che comunque ne intralcerebbe i movimenti se dovessero reagire ad un’aggressione), armati “sino ai denti” (arma lunga e pistola). Non credo che veramente il giubbetto anti-proiettile sia necessario nei servizi che svolgono, ma se la situazione di rischio fosse veramente tale da richiedere il giubbetto anti-proiettile, perché non viene indossato anche l’elmetto? Normalmente in zona di operazioni giubbetto ed elmetto o si indossano insieme o non se ne indossa nessuno dei due. Ho il dubbio che la funzionalità venga subordinata all’immagine (così si può far bella mostra del copricapo di specialità: fez, cappello alpino o basco colorato che sia).

Anche in merito all’arma lunga avrei delle perplessità, soprattutto dopo aver visto una giovane volontaria in una piazza centrale di un’importante città che si destreggiava alla meglio (non sapendo dove mettere quell’ingombrante arma lunga) per fornire indicazioni ad una famigliola di turisti che le aveva schiaffato una cartina sotto il naso, con i bimbetti che le guardavano l’equipaggiamento tentando di toccarlo e i genitori che le chiedevano informazioni in qualche stranissimo idioma!

In considerazione di tutto quanto precede, ritengo che si sia intuito che, in merito alla prima questione, ovvero, se si tratti di una maniera funzionale ed efficiente di risolvere un problema di ordine pubblico che si è lasciato diventare cronico, io ritenga che l’approccio adottato (che sarebbe più che giustificato in occasione di una reale emergenza, impiegando non solo 7mila ma anche 100mila militari) nel caso specifico sembri rispondere più a esigenze di propaganda che non di reale desiderio di soluzioni dei problemi di sicurezza.

Il secondo punto è se si tratti o meno di un uso logico ed efficiente del personale militare. In realtà mi sembra che la filosofia che sottende tale impiego sia quella, dura a morire, che affligge l’Esercito Italiano sin dal tempo della leva. “I soldati sono lì, non costano niente, non hanno niente da fare, facciamogli fare qualcosa d utile”.

Filosofia dura a morire, che non tiene conto del fatto che le F.A. hanno una ragion d’essere nella difesa (o, eventualmente, ammettiamolo, anche l’imposizione) degli interessi strategici del paese. Filosofia che non tiene conto del fatto che le F.A. hanno costi elevatissimi in termini di retribuzioni del personale, addestramento e formazione di professionalità specifiche altamente specializzate, acquisizione e manutenzione di mezzi e sistemi d’arma sofisticati.

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Un soldato professionista non costa meno di un poliziotto professionista (anzi se si considerano i costi indiretti, quelli connessi al suo addestramento, costa di più), ma è molto meno efficace se impiegato come “para-poliziotto “(nessun giudizio di valore: anche il poliziotto sarebbe inadeguato se impiegato al posto di un soldato in un’operazione all’estero). Il fatto che al momento molti reparti non siano impegnati in operazioni non significa che non debbano lavorare costantemente per mantenere il livello di capacità operativa richiesta (non per niente la F.A. di terra si chiama “esercito”, voce del verbo esercitare).

Per l’impiego in Strade Sicure interi reparti vengono sottratti per lunghi periodi all’attività prettamente militare, prima per addestrarsi ad una tipologia di impiego e a modalità operative che poco o nulla hanno in comune con le loro, poi- per circa sei mesi- per assolvere tale servizio, infine per i necessari periodi di recupero psico-fisico successivi a tale impiego. Ne consegue un inevitabile degradamento del livello operativo-addestrativo dei reparti e lunghi periodi di inutilizzazione di armamenti e mezzi sofisticati e costosi.

Qualcuno dice che i soldati fanno check-point (posti di blocco) in teatro operativo e attività, in fondo, simili in patria con “Strade Sicure”. In realtà, se anche facessero posti di blocco in Italia (anziché stazionare per ore in punti particolari della città) ritengo che sia ben diverso fare un posto di blocco a Roma o in Afghanistan, sia come contesto di rischio sia come procedure tattiche da adottare. Inoltre, è estremamente riduttivo affermare che i soldati italiani in teatro facciano solo check- points e controllo del territorio. Se così fosse alla prossima turnazione in qualche Teatro ad alta intensità potremmo provare ad inviare un reggimento della Polizia Stradale, che ritengo sappia fare i posti di blocco (in Italia) anche meglio dei nostri fanti.

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Il problema è ancora più sentito tra le unità di combat support (genieri, trasmettitori, artiglieri, artiglieri contro/aerei) le cui capacità operative specifiche degradano sensibilmente durante i lunghi turni di “Strade Sicure”. Ad esempio, ci sono reggimenti di artiglieria contro/aerea, una specialità altamente tecnologica, che da anni sono impegnati senza soluzione di continuità in “Strade Sicure”. Per quanto il personale ruoti tra l’addestramento di specialità e l’impiego in “Strade Sicure”, è inevitabile un degradamento delle capacità operative dell’unità, nonostante gli sforzi sovrumani dei comandanti (che spesso sono anche “comandati di piazza” in “Strade Sicure”) per garantire l’addestramento dei propri uomini.

In sostanza, l’impiego in “Strade Sicure” di reparti dell’Esercito non è a “costo zero” e i costi sono essenzialmente in termini di perdita di capacità operativa e addestrativa del personale.
Potrebbe, peraltro, trattarsi di scelte fatte coscientemente in considerazione che gli attuali volumi organici ella F.A. sono ritenutitroppo estesi per le esigenze nazionali. Peraltro, non si può procedere facilmente a riduzioni dei volumi organici del personale di truppa. Infatti, avendo perseguito per un ventennio una scellerata politica di transito massiccio quasi automatico dei volontari di truppa in servizio permanente, adesso l’Esercito si trova i reparti “operativi” (specie quelli al centro e sud) strapieni di caporalmaggiori quarantenni. Le eventuali riduzioni dei volumi organici andrebbero ad incidere essenzialmente sui reclutamenti, portando così ad un ulteriore innalzamento delle età medie nei reparti.

In realtà, fatte salve situazioni di emergenza, occorrerebbe strutturarsi in modo che compiti di polizia sul territorio nazionale vengano assolti dalle forze di polizia e che le F.A. si concentrino sulla difesa degli interessi strategici del Paese.
Se le forze di polizia sono ritenute numericamente insufficienti, andrebbero rimpolpate di personale e (probabilmente) ristrutturate in modo da elevarne l’efficienza.
Se si ritiene (a mio avviso a torto) che il problema sia che il personale dell’Esercito sia eccessivamente numeroso per i compiti che deve assolvere, che abbiamo troppi soldati e “non sappiamo cosa farne”, allora reclutiamone meno, “licenziamo” o “transitiamo” nelle forze dell’ordine o in altre amministrazioni dove il fattore età sia meno rilevante quelli che non servono più. Però, poi, usiamo quei pochi soldati che teniamo per assolvere il loro compito istituzionale: la sicurezza esterna del Paese.

Impiegandoli e addestrandoli per “fare i soldati”.
Senza vergognarcene e senza disperderne le capacità e le professionalità in un impiego da “poliziotti di Serie B”, soltanto per far vedere che “l’Esercito c’è” (e serve a qualcosa).

Foto: Esercito.it

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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