Armi di migrazione di massa

La LEG di Gorizia ha curato l’edizione italiana del quanto mai attuale saggio di Kelly Greenhill pubblicato negli Stati Uniti nel 2010.

Fu Gheddafi a darne una dimostrazione nel 2004, quando ottenne la revoca delle sanzioni da parte dell’Unione Europea: la paura dell’immigrazione e dell’arrivo di masse di rifugiati poteva essere sfruttata come un’arma temibile, era sufficiente poter alimentare, manipolare e sfruttare il fenomeno migratorio. Questo libro è la prima ricerca sistematica secondo un metodo consolidato di comparative history che studia la teoria e la pratica di questo irrituale strumento di persuasione: sono passati in rassegna più di cinquanta casi dal 1953 al recente passato, con particolari approfondimenti dedicati a vicende paradigmatiche, da Cuba al Kossovo, da Haiti alla Corea.

Tesi dell’autrice è che i grandi numeri di rifugiati rappresentino una minaccia utilizzata da realtà politiche per perseguire propri obiettivi, a volte contro le democrazie liberali (particolarmente esposte nei confronti delle dinamiche migratorie) altre nei confronti di differenti regimi.

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L’analisi rigorosa esplicata in queste pagine assume particolare rilevanza alla luce degli ultimi anni, che hanno visto esodi di proporzioni impensabili. Quali sono le dinamiche di un attacco basato sull’emigrazione? Come difendere allo stesso tempo le persone fatte fuggire dalle proprie terre e le nazioni che vedono in questi spostamenti una minaccia per sicurezza, identità e risorse? Ancora una volta, la conoscenza oltre le ideologie, per comprendere una guerra asimmetrica che sta scrivendo la storia del terzo millennio.

La recensione de Il Giornale

La recensione di Etnie

L’autrice

Kelly M. Greenhill is Associate Professor of Political Science and International Relations at Tufts University and Research Fellow at Harvard University’s Kennedy School of Government. She is the author of Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy and coeditor of Sex, Drugs, and Body Counts: The Politics of Numbers in Global Crime and Conflict, both from Cornell. She is also coeditor of The Use of Force: Military Power and International Politics, 8th edition.

Un brano dell’introduzione di Gianandrea Gaiani

Non è certo un caso che l’opera di Kelly M. Greenhill citi fin dalle prima pagine l’uso indiscriminato dei flussi migratori illegali da parte del regime libico di Muammar Gheddafi come esempio calzante dell’analisi esposta in questo affascinate e ancora attualissimo libro. A sette anni di distanza dalla prima edizione del volume non solo l’area mediterranea e in particolare la Libia risultano ancora al centro dei flussi migratori illeciti ma le valutazioni espresse circa l’impiego di tali masse umane come “arma” per perseguire obiettivi politici, economici o strategici risultano particolarmente idonee a fotografare la posizione dell’Europa.

La caduta del regime di Gheddafi, determinata dalla guerra del 2011 condotta da Stati Uniti, potenze europee, Nato e almeno un paio di monarchie sunnite del Golfo Persico, ha lasciato la Libia nel caos, in balìa di milizie e tribù (oltre 300) che rispondono attualmente ad ameno tre governi diversi e rivali tra loro.

Uno scenario prefigurato dall’Unione Africana che aveva tentato in ogni modo di indurre l’Occidente a desistere da quell’avventura militare paventando “una nuova Somalia” nel Mediterraneo.

La Libia oggi presenta quindi il contesto ideale per gestire i flussi migratori illegali con la differenza che non c’è più un dittatore o un governo a Tripoli con cui negoziare lo stop dei barconi in cambio di concessioni economiche come fece l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi con il Trattato di Amicizia firmato con Gheddafi nel 2008.

La differenza non è di poco conto. Anche il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha utilizzato in modo spregiudicato le masse di immigrati clandestini asiatici e di profughi di guerra siriani e iracheni presenti in Turchia per ricattare e punire l’Unione Europea aprendo la cosiddetta “rotta balcanica” e chiudendola (forse solo temporaneamente) in cambio di 6 miliardi di euro e dell’impegno della Ue a togliere l’obbligo del visto all’ingresso di cittadini turchi.

L’uso fatto da Erdogan dell’arma dei migranti è perfettamente calzante con quanto esposto dalla Greenhill: l’Europa è stata punita per non aver sostenuto con le armi il conflitto siriano alimentato dal 2012 da turchi e monarchie arabe del Golfo e viene ricattata per ottenere vantaggi economici. Il rifiuto europeo ad aprire le frontiere all’immigrazione turca (o agli stessi siriani a cui Erdogan ha promesso di dare la cittadinanza turca) consentirà alla Turchia di dare il via a nuovi flussi migratori mantenendo così la Ue sotto costante ricatto.

Cattura

Ankara ha quindi evidenziato con successo l’incapacità dell’Europa di respingere o gestire flussi così massicci da determinare il rischio che l’intera struttura della Ue imploda (il referendum che ha portato all’uscita di Londra dall’Unione avrebbe avuto successo senza l’emergenza migranti?). I flussi diretti alle isole greche sono stati gestiti dalla malavita con la diretta complicità delle istituzioni dal momento che, a differenza della Libia, la Turchia non è certo uno Stato fallito e la sua guardia costiera dispone di oltre 100 imbarcazioni.

L’emergenza ha messo in luce la fragilità della Ue, incapace di darsi regole comuni, di suddividere tra i 28 Stati il carico di migranti o di usare la propria forza militare ed economica per respingere le ondate di clandestini in Turchia varando misure di rappresaglia economica contro Ankara.

Del resto pare arbitrario anche definire tali flussi “emergenza” poiché l‘accoglienza indiscriminata praticata dall’Europa li rende costanti e continuativi e non legati a particolari eventi.

In termini strategici la gestione “militare” dei flussi migratori ha ridicolizzato un’Unione Europea il cui PIL è superiore a quello statunitense e che sostiene spese militari che nel 2016 hanno raggiunto i 213 miliardi di dollari (seconde nel mondo solo a quelle del Pentagono) ma che non esprime nessuna capacità di difendere i suoi confini e i suoi interessi.

Se la Ue avesse varato contro Ankara la metà delle sanzioni applicate alla Russia in seguito alla crisi in Ucraina probabilmente Erdogan sarebbe stato obbligato a cambiare atteggiamento anche se la Germania, che ha guidato a nome della Ue le trattative con la Turchia per l’accordo sullo stop ai flussi di migranti, temeva pesanti ripercussioni interne sulla nutrita comunità turca già in più occasioni dimostratasi fan di Erdogan e invitata dallo stesso presidente turco a “non integrarsi nella società tedesca”.

Un elemento che conferma il valore di “arma” dei flussi migratori, anche quelli legali come lo fu la migrazione turca in Germania negli ultimi decenni del secolo scorso.

“Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati” recitano i versi composti negli anni ’20 dal poeta turco Ziya Gokalp che Erdogan ama citare e che evocano la minaccia portata all’Europa dall’immigrazione islamica.

Una minaccia sostenuta dalle monarchie del Golfo Persico (soprattutto Qatar e Arabia Saudita) i cui massicci investimenti di petrodollari in Europa stanno finanziando moschee e centri culturali gestiti da imam salafiti, wahabiti e dei Fratelli Musulmani. Una penetrazione addirittura favorita dai governi europei che ai petrodollari stanno vendendo probabilmente non solo aziende, alberghi e squadre di calcio ma anche le coscienze.

 

Titolo Armi di immigrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera
Autore Kelly M. Greenhill
Prefazione di Sergio Romano
Introduzione di Gianandrea Gaiani
tradotto da P. Faccia
Editore Libreria Editrice Goriziana, 2017
ISBN 8861023940, 9788861023949
Lunghezza 482 pagine

 

 

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