La credibilità dell’Ue si gioca sul presidio dei confini esterni

L’Europa “unita” compie 60 anni e per celebrarli cerca di rassicurare gli europei con la Dichiarazione di Roma che mette al primo punto immigrazione e sicurezza annunciando la protezione delle frontiere.

“Un’Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un’Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata”.

Il testo del primo dei quattro punti che compongono il documento redatto dai 27 sembrerebbe indicare una svolta nelle sciagurata politica di accoglienza indiscriminata praticata finora. Il condizionale resta però d’obbligo poiché già in più occasioni la Ue non ha lesinato chiacchiere mai seguite da iniziative concrete.

Infatti in appena due giorni dalle celebrazioni di Roma le fratture in ambito Ue sul tema migranti non si contano. L’Austria minaccia di riturarsi dalla “relocation” dei richiedenti asilo presenti in Grecia e Italia, cioè la loro ridistribuzione in altri Paesi dell’Unione.

Meglio non farsi illusioni: a fronte di 181.500 mila immigrati illegali sbarcati in Italia dalla Libia nel 2016 e quasi 13 mila nei primi due mesi del 2017 (oltre 600 mila dal 2013 dei quali 100 mila in Nord Europa e 160 mila nei centri d’accoglienza mentre la gran parte hanno fatto perdere le loro tracce) il numero di coloro che possono essere inseriti nel programma Ue di trasferimento in altri paesi europei ammonta ad appena 6.000.

Lo ha rivelato lunedì scorso il commissario Ue responsabile dell’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, al termine di una riunione dei ministri dell’Interno. “In Grecia ci sono 20.000 persone mentre in Italia il numero è di 6.000 registrati per la relocation, in gran parte eritrei”, ha spiegato Avramopoulos.

Il motivo è che gli eritrei sono gli unici africani ai quali viene riconosciuto dall’Europa il diritto d’asilo a causa della natura particolarmente dispotica del suo governo, anche se poi Bruxelles non spiega per quale ragione allo stesso regime dell’Asmara donerà nei prossimi anni oltre 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo.

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A Budapest intanto il presidente Viktor Orban ha annunciato che se dovesse saltare l’accordo con la Turchia sui migranti lungo la rotta balcanica (ipotesi non certo remota) l’Ungheria li fermerà grazie al muro e alle nuove leggi sull’asilo. Orban lo ha detto durante la conferenza stampa al termine del vertice dei paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) a Varsavia. I nuovi regolamenti sull’asilo entrano in vigore oggi, ha aggiunto, e le barriere, “costruite solo con soldi ungheresi”, ci permetteranno di bloccare un’eventuale nuova ondata migratoria.

Il quartetto di Visegrad, ha denunciato il “ricatto” dell’Ue sui migranti, poiché Bruxelles lega la politica migratoria a quella finanziaria, riducendo gli aiuti a chi non accoglie immigrati illegali.

“Come Gruppo di Visegrad, non possiamo lasciarci intimidire”, ha detto Orban nel giorno in cui in Ungheria è entrata in vigore la legge che impedisce la libertà di spostamento ai migranti che attendono venga valutata la loro richiesta di asilo.

Da oggi i richiedenti asilo non potranno infatti più muoversi liberamente nel Paese dopo aver presentato la domanda, ma dovranno aspettare la fine del procedimento nei campi di container allestiti vicino al confine sud, a Roszke, sotto la sorveglianza della polizia.

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In Italia invece si continua ad accogliere chiunque paghi i criminali. Nel mese di febbraio gli arrivi di migranti illegali dalla Libia in Italia sono quasi raddoppiati rispetto a gennaio: da 4.504 a 8.320 persone, per lo più da Costa d’Avorio, Guinea e Nigeria.

Nello stesso mese di febbraio gli arrivi in Grecia sono scesi a meno di mille rispetto ai 1.493 di gennaio. In Spagna 770 migranti sono entrati nelle enclave di Ceuta e Melilla, altri 160 sono sbarcati nella penisola iberica via mare.

La polizia ungherese ha bloccato a febbraio 2.183 persone dalla Serbia contro i 1.616 di gennaio. In Austria a febbraio sono giunti 2.450 richiedenti asilo, in Svezia 1.750. Lo rende noto il rapporto mensile dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali, che ha sede a Vienna. Lo stesso report rende noto che e’ deceduto il tunisino che, per sfuggire ad un rimpatrio coatto, è caduto da una terrazza del terminal 3 di Fiumicino. Lo stesso report informa che nella seconda metà’ del 2016 circa 5.500 persone sono state bloccate alla frontiera di Ventimiglia e trasferite nel sud Italia.

Nel 2016 le autorità italiane hanno dato parere negativo al 56% delle domande di asilo, al 5% è’ stato concesso lo status di rifugiato, al 35% è stata concessa una forma di protezione. A Brescia spetta il primato della severità: respinto il 97% delle richieste di asilo.

In questo contesto il “rilancio” dell’Europa dipenderà molto dalla credibilità con cui l’Unione manterrà gli impegni assunti a Roma. La Ue ribadisce l’importanza degli accordi di Schengen ma avrà successo solo se le frontiere esterne verranno protette varando un giro di vite nei confronti di migranti illegali e trafficanti con respingimenti in Libia e Turchia ed espulsioni di quanti sono già arrivati in Europa ma non hanno titolo per ottenere nessuna forma di asilo.

Del resto le “norme internazionali” a cui si richiama la Dichiarazione di Roma sono rappresentate dalla Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951, in base alla quale nessuno di coloro che ha raggiunto l’Europa via Libia e Turchia avrebbe diritto all’asilo.

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Mostrare decisione alle frontiere sarà quindi di fondamentale importanza per la Ue specie ora che è sotto pressione a causa dei ricatti di Ankara e dall’annullamento degli accordi tra Italia e Libia del 2 febbraio scorso, definiti illegittimi” dal tribunale di Tripoli.

In Italia il ministro degli Interni Marco Minniti è riuscito il 30 marzo a far firmare un accordo di pace tra le tribù del Fezzan, nel sud desertico della Libia, che dovrebbe agevolare il controllo dei flussi migratori dall’Africa sub-sahariana diretti verso le coste libiche.

Lo hanno confermato fonti del Viminale, dopo che la notizia dell’intesa segreta, raggiunta dopo 72 ore di maratona negoziale, era stata riportata dalla Stampa. Grazie all’accordo Roma auspica verranno intensificati s i controlli il confine meridionale libico. Il patto fra le tribù Tebu e Suleiman è stato firmato alla presenza dei Tuareg e del vice premier libico, Ahmed Maitig, con la supervisione del ministro dell’Interno, Marco Minniti.

Quanto al nuovo decreto immigrazione varato dal governo italiano meglio non farsi troppe illusioni.

Secondo Minniti “dobbiamo creare le condizioni perchè nessuno abbia più da partire, serve uno scenario di stabilità, raffreddando i conflitti costruendo le democrazie” ma si tratta di condizioni che ben poco dipendono dall’Italia e che non sono ipotizzabili certo a breve termine in Africa.

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Vedremo a tal proposito l’impatto che avrà l’accordo firmato a fine marzo a Roma con il Niger principale via migratoria dei flussi di africani  che arrivano in Europa il cui governo riceverà dall’Italia 50 milioni di euro per contrastare i traffici di esseri umani diretti in Libia.

Il decreto punta a velocizzare l’esame delle richieste d’asilo rispetto agli attuali due anni, impedire il ricorso a chi non lo ha ottenuto e a “utilizzare strumenti della legge che sono i rimpatri forzati ma anche i rimpatri volontari assistiti”.

Il decreto, che consente ai minorenni di restare in Italia (inclusi i finti minorenni che si dichiarano diciassettenni e rappresentano la gran parte dei minori sbarcati?) e dà la possibilità ai Comuni di utilizzare richiedenti asilo per lavori di pubblica utilità, volontari e non pagati, non scoraggerà certo i flussi migratori illegali.

Minniti sottolinea che “il nostro Paese non deve mai perdere di vista l’obiettivo primario di proteggere chi fugge da guerre e carestie” anche se questo “deve coniugarsi con un principio sacrosanto: chi ha diritto resta, chi invece non gode dei requisiti deve essere rimpatriato”.

Di fatto coloro che giungono in Italia non fuggono da guerre nè appaiono denutriti: rimpatriarli tutti comporterà un immenso sforzo in termini di sicurezza e ingenti spese finanziarie. Per questo sarebbe più utile, anche per dare un segnale di cambiamento, cominciare fin d’ora respingendo sulle spiagge libiche (o su quelle tunisine dopo un accordo con il governo di Tunisi) coloro che continuano a salpare dopo aver pagato i trafficanti libici.

Foto: Frontex, MOAS, Marina Militare Italiana e AFP

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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