Lo scontro nel mondo sunnita dietro la crisi del Qatar

Politici e media europei quasi non ci hanno fatto caso ma da almeno tre anni è in atto un violento scontro all’interno dell’islamismo sunnita tra le correnti salafita/wahabita (cui si richiamano molti partiti, milizie e gruppi eversivi quali al-Qaeda e lo Stato Islamico) e la fratellanza Musulmana.

Uno scontro che in realtà esiste dalla fine degli anni ‘20 del secolo, scorso quando da Hassan al-Banna fondò la fratellanza Musulmana, ma che si è ingigantito con le cosiddette “primavere arabe” che determinarono la caduta di regimi che hanno lasciato vuoti di potere che tutte le monarchie del Golfo hanno voluto evitare potessero venire riempiti da aneliti di democrazia di stampo occidentale.

Il confronto tra le due ideologie oggi non è sugli obiettivi da perseguire, poichè i movimenti citati puntano tutti a instaurare uno Stato dominato dalla sharia, ma sui metodi.

Se Salafiti e Wahabiti definiscono la democrazia “demoniaca”, i Fratelli Musulmani la considerano invece lo strumento per portare al potere un movimento politico che nasce dal basso, rovesciando regimi e monarchie assolute con il voto popolare, per costruire sul voto lo Stato islamico.

Gli esempi più evidenti di affermazione dei Fratelli Musulmani sono rappresentati dal governo egiziano di Mohammed Morsi, salito al potere in seguito alle elezioni del 2012 e rovesciato un anno dopo, mentre cercava di imporre l’islamizzazione dello Stato egiziano, da rivolte popolari sostenute dai militari del generale Abdel Fattah al-Sisi, l’attuale presidente appoggiato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU).

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Oppure dal regime di Recep Tayyp Erdogan che sta applicando con freddo e astuto metodo il programma della Fratellanza di islamizzazione della un tempo laica società turca. Erdogan gode dell’appoggio di Doha ma nel conflitto siriano ha accettato aiuti provenienti anche dalle altre monarchie del Golfo offrendo il suo territorio come retrovia per ogni milizia che combattesse il regime di Bashar Assad.

Anche il movimento palestinese Hamas, che controlla Gaza sostenuto da Iran e Qatar, è stato membro della Fratellanza Musulmana  applicandone il programma politico ma ha ufficialmente rotto con il movimento il mese scorso, fiutando l’aria e cercando un avvicinamento con Riad.

Il confronto tra sauditi e Qatar, giunto oggi nuovamente ai ferri corti dopo una crisi analoga determinatasi nel 2014, non è privo di aspetti paradossali.

Entrambi i Paesi arabi sono membri della Coalizione contro lo Stato Islamico anche se non hanno mai ricoperto un reale ruolo militare contro un nemico che gode di ampi sostegni presso l’opinione pubblica sunnita delle monarchie del Golfo.

Riad e Doha combattono i ribelli sciti Houthi nello Yemen anche se ora il diktat saudita ha indotto gli altri Stati sunniti a estromettere il Qatar da questa alleanza anti-iraniana.

Bahrein e Arabia Saudita accusano il Qatar di sostenere le rivendicazioni delle comunità scite appoggiate dall’Iran che nei due Paesi arabi subiscono repressioni violentissime ma si tratta di una forzatura come dimostra il reiterato impegno del Qatar, che pure evita toni ostili verso l’Iran, nel sostenere in Siria le milizie della Fratellanza che combattono le truppe di Damasco e i loro alleati hezbollah libanesi e iraniani.

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Tra l’altro proprio in Siria le diatribe tra sauditi e Qatar vennero ricomposte nel disegno comune di far cadere il regime di Damasco con la costituzione, nel maggio 2015, dell’Esercito della Conquista che riunì sotto una sola bandiera le milizie fino ad allora rivali salafite filo-saudite, di al-Qaeda (Fronte al-Nusra) e della Fratellanza filo Qatar. Milizie che combatterono con successo fino ai rovesci subiti nell’ultimo anno soprattutto a causa dell’intervento militare russo.

Paradossale anche che il Qatar cavalchi la Fratellanza Musulmana pur essendo anch’esso un emirato dominato da una monarchia assoluta ed ereditaria dove non si sono mai tenute elezioni. Del resto le ambiguità nelle guerre arabe si sprecano.

Basti pensare che in Libia, dove il Qatar sostiene le forze della Tripolitania mentre Egitto, sauditi ed EAU appoggiano il maresciallo Haftar, Doha finanzia non solo i Fratelli Musulmani ma anche il partito salafita al-Watan fondato dall’ex qaedista Abdelhakim Belhadj. Nel 2011 i fondi di alcune organizzazioni caritatevoli islamiche qatarine fornirono armi e danaro a diversi gruppi jihadisti che presero il controllo del Nord del Malì al punto che Parigi rischiò di arrivare ai ferri corti con la monarchia araba tradizionalmente molto legata alla Francia

Ciò nonostante le accuse di terrorismo rivolte a Doha da Riad e dalle altre capitali del Golfo (ma non dall’Oman che tradizionalmente media le crisi tra le monarchie sunnite e con l’Iran) fanno quasi sorridere se si considera l’elevato numero di cittadini sauditi che combattono con l’Isis (almeno 3mila, secondi solo ai tunisini) e i fondi inviati al Califfato attraverso le blande leggi bancarie del Kuwait, alleato di ferro dei sauditi.

Del resto è difficile non vedere un legame tra il repentino isolamento del Qatar da parte degli altri paesi del Gulf Cooperation Council (la “Nato del Golfo” che lega le monarchie sunnite agli USA) e la recente visita a Riad dei Donald Trump, allineatosi con Riad al punto da dimenticare gli stretti legami tra sauditi e terrorismo jihadista (dall’11 settembre all’Isis) e da definire l’Iran sponsor dei terroristi.

Accusa paradossale se si considera che nell’estate de 2014 furono tre reggimenti di pasdaran iraniani a impedire che Baghdad cadesse nelle mami dell’Isis. Così come è curioso che la Casa Bianca sostenga Riad contro il Qatar che ospita il comando aereo del Central Command statunitense e la base di al-Udeid da dove vengono gestite le operazioni contro l’Isis.

Grazie alle immense ricchezze garantite dall’export del gas, il piccolo Qatar (appena 300 mila cittadini con oltre 2 milione di lavoratori stranieri) sfida la leadership saudita nella Penisola Arabica e il crescente ruolo internazionale degli EAU con una politica estera aggressiva, ma soprattutto minaccia con l’ideologia della Fratellanza la legittimità stessa dei Saud e delle altre monarchie regnanti su un mare di petrodollari.

Lo scontro in atto tra case regnanti nell’islamismo sunnita ha da tempo propaggini rilevanti anche in Europa dove Salafiti e Fratelli Musulmani si contendono con centinaia di milioni di investimenti il controllo di moschee e fedeli in nome di un Islam che per entrambe le ideologie ha ben poco di moderato.

da Il Mattino

Immagini Reuters, Washingtin Post e 13ABC

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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