Raqqa e Mosul quasi cadute, il Califfo (forse) morto

(aggiornato il 13 giugno ore 23,30)

A giudicare dallo spazio dedicato dai grandi media, specie in Italia, non sembra essere una gran notizia la disfatta militare dello Stato Islamico in Iraq e Siria e la probabile morte di Abu Bakr al-Baghdadi, con tutte le conseguenze di cui già da tempo si vedevano le anticipazioni.

Eppure le forze curdo-siriane (Syrian Democratic Forces – SDF) sostenute dagli Stati Uniti hanno annunciato di aver conquistato una zona a nord-ovest di Raqqa, il quartiere Romaniah, dopo due giorni di combattimenti. Durante gli scontri sono stati uccisi 12 miliziani dell’Isis, tra cui un comandante conosciuto come Abu Khattab al-Tunisi.

L’Osservatorio Siriano dei diritti umani (Ondus), Ong basata a Londra e vicina ai ribelli siriani anti-Assad, ha fatto sapere che i curdi controllano anche un quartiere nell’est della roccaforte dell’Isis in Siria, a cinque giorni dall’inizio dell’offensiva che li ha portati ad entrare in città.

Il 9 giugno le forze delle SDF avevano conquistato la caserma a nord della città appartenuta alla 17a divisione dell’esercito siriano situata all’ingresso nord di Raqqa ma il 13 un violento contrattacco dell’Isis effettuato con manovra aggirante lungo le rive del fiume Eufrate avrebbe inferto severe perdite alle SDF costringendole a ritirarsi da molte delle aree liberate. Difficile disporre di maggiori dettagli per l’assenza di fonti neutrali sul campo di battaglia.

L’offensiva che ha portato le truppe delle SDF appoggiate da forze speciali anglo-americane a raggiungere la capitale del Califfato avrebbe provocato anche numerose vittime civili. Almeno 653 dal 15 marzo ad oggi a causa dei raid della Coalizione internazionale a guida Usa e dei bombardamenti dell’artiglieria delle milizie curde secondo quanto riferito ad Aki-Adnkronos International da attivisti siriani.

Come spiega Khalil al-Abdallah “negli ultimi due mesi il numero delle vittime civili è aumentato notevolmente poiché l’amministrazione Usa ha consegnato armi alle milizie curde e ha allentato i vincoli imposti ai raid dei caccia della Coalizione.

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L’offensiva è in corso su tre lati: da est, da nord e da ovest lasciando un corridoio a sud che consente ai 4mila miliziani che si stima difendano la città di ritirarsi.

Le forze armate russe in Siria stanno monitorando la situazione nell’area di Raqqa confermando l’esfiltrazione dei miliziani del Califfato. Mosca accusa la Coalizione a guida Usa e i gruppi armati curdi di permettere ai miliziani dell’Isis di lasciare Raqqa e di “dirigersi verso le province dove sono attive le forze governative siriane.

Invece di eliminare i terroristi colpevoli dell’uccisione di centinaia e migliaia di civili siriani – ha detto il comandante delle truppe russe in Siria, generale Serghiei Surovikin – la Coalizione a guida Usa assieme alle SDF, agiscono in collusione con i capibanda dell’Isis che lasciano senza combattere gli insediamenti che avevano preso e si dirigono verso i luoghi in cui sono attive le forze governative siriane”.

Di fatto Washington e i suoi alleati consentirebbero all’Isis di ritirare le sue truppe da Raqqa per consentire loro di continuare a combattere nei settori di Palmyra e di Deir ez Zor contro le truppe di Damasco. Una valutazione resa ancora più credibile dalle reiterate azioni belliche delle forze aeree Usa basate in Giordania contro le unità militari di Damasco e dei loro alleati nel settore di al-Tanf.

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La decisione di Washington di vietare l’accesso alle forze di Damasco a quella porzione di territorio siriano è stata duramente condannata da Mosca. Secondo gli statunitensi tali forze pongono una minaccia alle basi Usa e ai campi per l’addestramento dei miliziani dell’opposizione nel sud della Siria.

L’avanzata delle forze di Damasco lungo il confine giordano e iracheno ha di fatto circondato le milizie sostenute dagli Stati Uniti e dalla Giordania.

Nell’area di Raqqa venerdì scorso sarebbe stato ucciso anche il leader dell’Isis, Abu Bakr al Baghdadi, nel corso di un raid aereo delle forze armate siriane. Lo riporta la tv di Stato di Damasco rilanciata anche dal sito filo russo Sputnik ma la notizia non è stata confermata da nessuna altra fonte ufficiale.

“La guerra civile in Siria si è praticamente fermata” dopo che il 4 maggio ad Astana è stato firmato un memorandum per la creazione delle zone di de-escalation, ha dichiarato il capo del dipartimento generale operativo dello Stato maggiore russo, generale Serghiei Rudskoi che ha reso noto che 2.640 miliziani siriani hanno utilizzato le procedure di amnistia del governo siriano e hanno abbandonato le armi nel nord della provincia di Damasco, nelle città di Zabadani, Madaya e Buqeyn.

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L’operazione per liberare il territorio siriano dai gruppi terroristici Isis e Jabhat al-Nusra continuerà fino alla loro completa eliminazione”, ha  affermato il generale  Surovikin precisando che le sue forze aeree hanno eseguito 1.268 raid in Siria nell’ultimo mese, colpendo 3.200 obiettivi terroristici tra cui stazioni di controllo, depositi di armi e munizioni, basi di trasferimento e campi di addestramento.

L’esercito di Assad continua ad avanzare su tutti i fronti. Ha ripreso il controllo di 105 chilometri del confine con la Giordania nell’ambito di un’offensiva contro le postazioni dell’Isis, ha liberato 83 insediamenti nella parte nordorientale della provincia di Aleppo, più di 500 chilometri quadrati uccidendo (secondo il comando russo) oltre 3.000 miliziani dell’Isis inclusi decine di comandanti (distruggendo 20 carri armati, 7 veicoli da combattimento e 9 pezzi di artiglieria pesante) e ha raggiunto la frontiera con l’Iraq, nell’Est del Paese, per la prima volta dal 2015.

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“In cooperazione con i nostri alleati, le nostre unità hanno preso il controllo di numerosi siti e postazioni strategici nel deserto di Badiya, in una zona di circa 20.000 chilometri quadrati”, ha dichiarato il comando generale dell’esercito siriano. “Questa avanzata rappresenta una svolta strategica nella lotta contro il terrorismo e un trampolino per estendere le operazioni militari nel deserto della Badiya e lungo le frontiere con l’Iraq”, ha proseguito il comando in un comunicato diffuso dai media di Stato.

Il deserto, di una superficie di 90.000 chilometri quadrati, si estende dal centro della Siria ad oriente della città di Aleppo fino ai confini con l’Iraq. Dal 2015 la quasi totalità di esso era nelle mani dello Stato islamico ma negli ultimi mesi, la metà è passato sotto il controllo di Damasco e dei ribelli sostenuti dagli Stati Uniti.

Progressi che potrebbero portare a nuove tensioni con la Coalizione internazionale a guida Usa, che oggi appare preoccupata più dall’avanzata delle forze di Damasco e delle milizie scite provenienti dall’Iraq che dalla lotta allo Stato Islamico, nell’ottica della linea strategica anti iraniana dell’Amministrazione Trump.

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Sul fronte di Mosul l’esercito iracheno ha annunciato di aver ripreso il quartiere di al-Zanjali nella zona ovest di Mosul. Lo ha riferito il comandante della polizia federale irachena, Shakir Jawdat, confermando che l’Isis mantiene il controllo solamente sulle aree della Città Vecchia, al-Shifa e Bab al-Sinjar.

Le Forze di Mobilitazione popolare (paramilitari sciti) irachene hanno affermato di aver ripreso il controllo di tutte le zone situate a ovest di Mosul, con l’eccezione della città di Tal Afar, circondato dalle forze di Baghdad.

Anche in Iraq la vittoria ormai imminente sul Califfato riaccende le tensioni locali. Il governo di Baghdad ha annunciato che respingerà ogni decisione unilaterale presa dalle autorità del Kurdistan iracheno per ottenere l’indipendenza. Lo ha sottolineato in una nota il portavoce dell’esecutivo, Saad al-Haddithi, commentando la decisione presa due giorni fa dal presidente del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, di fissare un referendum per l’indipendenza dall’Iraq il 25 settembre.

“L’Iraq è costituzionalmente un Paese democratico e federale con piena sovranità – ha aggiunto. Ogni decisione presa da qualunque schieramento in Iraq deve basarsi sulla costituzione”. Anche la Turchia, con il primo ministro Binali Yildirim, ha contestato il referendum curdo, parlando di scelta “irresponsabile”.

Foto Reuters, EPA e Rudaw

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