“Mosul libera anche grazie all’Italia”

di Beppe Boni da Il Quotidiano Nazionale del 20 luglio

Francesco Maria Ceravolo, generale dei bersaglieri, comanda il contingente italiano ed è uno dei 4 vice della coalizione nel teatro iracheno: «Mosul è stata forse la più grande battaglia urbana dopo la seconda guerra mondiale. Con la popolazione all’interno ha richiesto tattiche speciali».

Dietro il sanguinoso, drammatico palcoscenico della battaglia di Mosul ci sono quasi 1500 soldati italiani impegnati da mesi nelle retrovie ad addestrare l’esercito iracheno e a mantenere in sicurezza la gigantesca diga che disseta il Paese.
Il generale dei bersaglieri Francesco Maria Ceravolo, veterano delle missioni all’estero, è il comandante del contingente italiano e uno dei quattro vice della coalizione presente nel teatro iracheno. Parla via skype dal comando di Bagdad.

Generale, con la sconfitta del Califfato a Mosul la diga oggi è più sicura? 
«Il manufatto, dove sta effettuando lavori una ditta italiana, è sempre stato in sicurezza grazie alla presenza di 500 nostri militari in tandem con gli iracheni. Certo, la caduta di Mosul è una garanzia ulteriore, ma il nostro assetto non cambia».

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Che lavori sta effettuando la Trevi di Cesena sulla diga più pericolosa del mondo a 13 chilometri dal Califfato?
«I tecnici hanno messo in sicurezza il manufatto dal punto vista strutturale. Ora l’azienda italiana sta provvedendo a rinforzare le fondamenta».

Preparate anche gli uomini al combattimento?
«Certo e formiamo anche le forze di polizia che devono controllare il territorio. Abbiamo addestrato, attraverso l’intera coalizione, quasi il 57% delle forze irachene. Sono stati formati 100 mila uomini fra esercito e polizia. Utilizziamo 5 centri, da Bagdad al Nord del paese. A Bagdad soprattutto opera la task force dei carabinieri, un fiore all’occhiello per l’Italia, che ha seguito direttamente la preparazione di 9 mila poliziotti».

I peshmerga dove vengono istruiti?
«Soprattutto nel Nord, attraverso il Kurdistan training coordination center. Parliamo di 12 mila soldati. Buona parte di questi insieme ad altri hanno combattuto per liberare Mosul. Disponiamo anche dei Mobile training team che raggiungono i militari nelle loro basi e agiscono sul posto».

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Vi siete occupati anche di reparti femminili?
«Certo, hanno seguito i corsi diverse centinaia di donne peshmerga. Sono coraggiose e determinate. Molte di loro hanno affrontato i combattimenti».

Cosa insegnano gli istruttori?
«Dipende dalle unità. L’esercito iracheno, per esempio, è stato preparato a combattere con le tecniche specifiche per i centri abitati. Mosul è stata forse la più grande battaglia urbana dopo la seconda guerra mondiale. È durata 9 mesi e sarà studiata come fenomeno peculiare. Con la popolazione all’interno ha richiesto tattiche e tecniche innovative su cui hanno lavorato gli istruttori dell’alleanza. C’è anche una sezione che si occupa degli esplosivi, una finalizzata agli obiettvi dell’artiglieria, una che prepara i tiratori scelti».

La coalizione come ha contribuito alla battaglia per liberare la città?
«Con l’addestramento, come detto, poi la nostra aviazione ha agito con compiti di ricognizione aerea e assetti di intelligence. Altre nazioni hanno fornito supporto aereo e di artiglieria».

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I nostri elicotteristi che fanno?
«Tra le altre cose, si occupano di Personnel recovery, sono cioè specializzati nel recuperare dietro le linee nemiche eventuali piloti abbattuti o truppe in difficoltà. Qui opera il Settimo reggimento Vega di Rimini con 5 velivoli da trasporto e 2 da attacco».

È vero che l’Isis ha utilizzato la popolazione civile come ostaggio?
«È stata una tattica usata in modo scientifico dai combattenti dello Stato islamico per impedire che le forze irachene avanzassero. L’addestramento fornito dai nostri istruttori però ha evitato ulteriori danni alla popolazione civile. Infatti teniamo anche lezioni di diritto umanitario spiegando cosa è un obiettivo legittimo e cosa no».

In un’ottica di stabilizzazione dell’area avrete anche altri compiti?
«Abbiamo regole d’ingaggio militari. Ma forniamo anche assistenza alla popolazione. È una peculiarità italiana. Più volte, soprattutto nei villaggi del Nord, i nostri hanno distribuito aiuti giunti dall’Italia. Sono tanti i gesti di piccola grande solidarietà».

Foto: Dfesa.it e Fausto Biloslavo

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