Nessuna svolta sui migranti

da Il Mattino del 12 luglio

La confusione sorta intorno all’ipotesi che Roma esca dall’Operazione Triton varata nel 2014 dall’agenzia europea Frontex, rischia di costituire l’ennesimo ko (dopo quelli rimediati dalla Commissione Ue, dai singoli partner, al vertice di Tallin e al G20 di Amburgo) per l’iniziativa del governo italiano tesa a far sbarcare in altri paesi del Mediterraneo i migranti illegali raccolti al largo delle coste libiche.

Ieri se n’è avuta conferma: il direttore dell’Agenzia europea per le frontiere, Frontex, Fabrice Leggeri, ha sì riconosciuto l’enorme pressione a cui è sottoposta l’Italia, garantendo un maggiore aiuto sui rimpatri, ma senza assumere nessun impegno circa la possibilità di sbarcare in porti di altri paesi i migranti soccorsi. E del resto questa decisione possono prenderla solo i singoli Stati membri della Ue. Che in proposito si sono già espressi negativamente nei giorni scorsi. La richiesta di aiuto alla flotta europea di Frontex prevedeva fin dall’inizio che fossero i porti italiani ad accogliere i migranti raccolti così come sono i porti greci ad accogliere gli immigrati illegali provenienti dalla Turchia raccolti dalle navi dell’Operazione Poseidon che l’agenzia Ue delle frontiere gestisce nel Mare Egeo in risposta alla richiesta di aiuto di Atene. «Tutte le attività di Triton – ha ribadito Ewa Moncure, portavoce di Frontex, in un’intervista alla Stampa – sono coordinate dalla Guardia Costiera italiana, che decide come distribuire le imbarcazioni.

Su tutte le navi e su tutti gli elicotteri che partecipano all’operazione, poi, sono sempre presenti ufficiali italiani. Triton non funziona in modo autonomo, ma è come se operasse per conto dei confini italiani. Non c’è niente di speciale in questo: è stato deciso così nel momento in cui è stata avviata». Affermazioni che confermano quanto dichiarato nei giorni scorsi dall’ex ministro degli Esteri, Emma Bonino, che ha accusato il governo Renzi di aver accettato che l’Italia fosse l’unico Stato in cui venissero sbarcati i migranti illegali.

E non regge neppure la scusante che i flussi migratori illeciti nel 2014 fossero poca cosa poiché quell’anno, grazie al «pull factor» costituito dall’operazione italiana Mare Nostrum, vennero por tati in Italia poco più di 170 mila immigrati illegali, appena 11 mila in meno del 2016. In realtà Triton prevedeva anche un’eventuale disponibilità all’accoglienza da parte di Malta che però ha sempre rifiutato di accettare immigrati illegali. Del resto la missione di Frontex e delle sue forze navali non è il soccorso in mare ma il supporto ai singoli Stati nel controllo delle frontiere europee.

Ciò significa che finché l’Italia continuerà ad accogliere chiunque paghi i criminali per raggiungere l’Europa, la Guardia Costiera (che coordina tutte e navi nella zona) impiegherà anche le unità navali europee per gli interventi di soccorso come accade ai pattugliatori di Triton ma anche alle navi da guerra di Eunavfor Med, missione varata nel 2015 che avrebbe il compito di contrastare i trafficanti. È Roma quindi a dover cambiare registro, cessando l’accoglienza e attuando respingimenti sulle coste della nostra ex colonia in cooperazione con la Guardia Costiera libica (sostenuta e addestrata dall’Italia e dalla Ue) e coordinandosi con l’Onu per l’assistenza e il rimpatrio dei migranti.

Le politiche di immigrazione competono ai singoli Stati, non alla Ue: nel documento finale del G20 di Amburgo era del resto evidente quanto fosse rivolto all’Italia il brano in cui si ribadiva «il diritto sovrano degli Stati di gestire e controllare i loro confini e stabilire politiche nell’interesse della sicurezza nazionale». Non ci sono altre soluzioni poiché le possibilità di successo dell’iniziativa italiana tesa a «regionalizzare» Triton, cioè a obbligare ogni nave militare a sbarcare i migranti soccorsi nel Paese di cui batte bandiera, sono pari a zero come dovrebbe già essere chiaro a tutti nell’esecutivo Gentiloni.

«Se qualche altro Stato volesse aggiungersi, da un punto di vista teorico la possibilità ci sarebbe ma mi pare uno scenario molto complicato, anche perché le attività sono tutte guidate dalla Guardia Costiera Italia na», ha detto diplomaticamente Ewa Moncure precisando che sono i singoli Stati che partecipano a Triton a dover decidere. Di fatto però tutti i partner Ue hanno già ribadito in più occasioni che non accoglieranno migranti illegali salvati dalle loro navi allargo della Libia.

Per questo al vertice di Frontex di Varsavia l’Italia ha l’occasione di mostrare la sua determinazione annunciando lo stop all’accoglienza e la riconsegna alle autorità libiche dei migranti soccorsi in mare. Insistere, invece, sui partner Ue affinché si facciano carico di quote di clandestini è un’operazione suicida. Sbagliata nella sostanza, perché porterebbe solo ad aumentare i flussi e il business dei trafficanti e deleteria per l’Italia poiché comporterebbe il rischio che le navi europee si ritirino dal Canale di Sicilia lasciando il peso delle operazioni sulla sola Marina italiana.

Sarebbe un grave smacco per Roma, abbandonata sul mare dalla Ue e con le frontiere settentrionali presidiate ormai anche dagli eserciti di Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, come se quello fosse il confine tra l’Europa e l’Africa e la Penisola fosse ormai «Libia Europa».

Foto Marina Militare

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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