Corea del Nord: si fa presto a dire “attacco preventivo”

da Il Mattino del 6 agosto (titolo originale “Perchè si fa presto a dire bombardiamo il dittatore”)

Si fa presto a dire “attacco preventivo” ma Kim Jong-Un non è Saddam Hussein o Muammar Gheddafi, lui le armi di distruzione di massa le ha per davvero ed includono migliaia di tonnellate di armi chimiche e almeno una dozzina di armi nucleari.

Per questo se è naturale che gli Stati Uniti sottolineino che nel braccio di ferro con Pyongyang tutte le opzioni restano aperte (lo precisarono anche le amministrazioni Bush e Obama) l’accenno a una “guerra preventiva” espressa dal consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, H.R. McMaster, in una intervista alla rete Mnsbc appare una forzatura fuori luogo e pericolosa.

“Se mi state chiedendo se stiamo mettendo a punto i piani per una guerra preventiva che impedirebbe alla Corea del Nord di minacciare gli Stati Uniti con l’arma nucleare ka risposta è si” ha detto McMaster che ha difeso la posizione del suo presidente. “Trump ha detto che è intollerabile che i nordcoreani abbiano armi nucleari che possano minacciare gli Usa” ma McMaster si è anche detto consapevole che un attacco alla Corea del Nord potrebbe portare a “una guerra molto costosa che potrebbe causare sofferenze immense soprattutto alla popolazione sudcoreana”.

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Affermazioni potenzialmente pericolose per diverse ragioni.

Per “guerra preventiva” si intende una vasta e complessa operazione militare che ha l’obiettivo di distruggere preventivamente le capacità offensive del nemico impedendogli di effettuare attacchi e rappresaglie. Fu un successo contro le deboli forze serbe nel 1999 e di Gheddafi nel 2011 prive di armi di valore strategico ma contro l’Iraq non funzionò tanto bene neppure nel 1991, quando non tutti i missili balistici Scud vennero distrutti “preventivamente” e molti vennero lanciati dagli iracheni su Arabia Saudita e Israele pur senza impiegare testate chimiche.

L’attacco preventivo non è mai stato tentato contro potenze nucleari quale è la Corea del Nord e persino durante la Guerra Fredda sia statunitensi che sovietici rinunciarono a valutarlo un’opzione percorribile dopo che tutte le simulazioni dimostrarono l’impossibilità di annientare al 100% con un “first strike” improvviso le capacità dell’avversario di compiere devastanti rappresaglie atomiche contro il proprio territorio. L’opzione di attacco preventivo venne di fatto sconfitta dalla deterrenza espressa dal concetto di Reciproca Distruzione Assicurata (MAD l’acronimo in inglese) che da oltre 70 anni evita al mondo l’olocausto nucleare.

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Nel caso della Corea del Nord gli Stati Uniti sono certamente in grado di distruggere i pochi missili balistici intercontinentali Hwasong 14, ancora sperimentali e impiegati nei due test del luglio scorso e in grado di raggiungere il territorio statunitense. Difficilmente potrebbero però annientare l’intero arsenale di missili balistici ii Kim Jong-un che comprende circa mille ordigni con raggio d’azione compreso tra i 70 e i 5mila chilometri, pochi dei quali sono installati su rampe fisse.

La Corea del Sud verrebbe bersagliata con centinaia di ordigni a breve raggio del tipo Frog o derivati dagli Scud, i più numerosi di cui dispone Pyongyang e che, lanciati simultaneamente o a breve intervallo, saturerebbero ogni tipo di difesa antimissile inclusa quella del THAAD (Terminal High Altitude Air Defense) che Washington sta schierando in Corea del Sud.

Vettori del tipo Nodong, con gittata di almeno 1.300 chilometri, potrebbero colpire il Giappone che ospita basi statunitensi mentre quellicon maggiore autonomia del tipo Musudan e Taepodong minaccerebbero le basi americane a Guam e alle Hawaii.

Armi di questo tipo sono spostabili grazie a lanciatori mobili o nascoste in caverne, in tunnel scavati dentro le montagne dove sono occultate anche le armi nucleari e gran parte delle 5mila tonnellate di armi chimiche che alcune stime valutano siano a disposizione delle forze di Kim.

Gli americani potrebbero distruggere al suolo quasi tutti i vecchi Mig e Sukhoi dell’aeronautica di Kim e abbattere senza difficoltà i pochi jet che riuscissero ad alzarsi in volo ma non potrebbero garantire la distruzione preventiva delle centinaia di cannoni semoventi Koksan da 170 millimetri e lanciarazzi campali pesanti da 240 millimetri nascosti in  caverne scavate lungo la frontiera del 38° Parallelo e in grado di colpire Seul, distante meno di 40 chilometri dal confine, con migliaia di proiettili caricati con armi chimiche che vanno dal sarin all’ìprite, capaci di uccidere centinaia di migliaia di persone in brevissimo tempo.

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Le affermazioni di McMaster sono pericolose perché inducono i comandi militari Pyongyang ad accorciare i tempi di valutazione e reazione di fronte a un possibile attacco statunitense. Per intenderci, il sorvolo del confine da parte di bombardieri B-1 a stelle strisce a scopo dimostrativo, come quello effettuato nei giorni scorsi, potrebbe venire interpretato come l’inizio dell’attacco preventivo comportando un immediato attacco nordcoreano a Seul.

Scenari da “Dottor Stranamore” da non escludere tenuto conto che tra Washington e Pyongyang non esiste quel “telefono rosso” che consentiva ai presidenti americani e sovietici di parlarsi nei  momenti di maggiore tensione.

Infine le dichiarazioni di McMaster sembrano fatte apposte per far arrabbiare i sudcoreani (ma anche i giapponesi) di fatto considerati come “danni collaterali” invitabili in un a guerra preventiva tesa a proteggere il territorio statunitense. Valutazione che potrebbero inasprire i già tesi rapporti tra Seul e Washington e che coinvolgono anche lo schieramento del THAAD sgradito a mokti sudcoreani.

Anche perché gli americani hanno speso 11 miliardi di dollari per trasferire da Yongsan (ad appena 50 chilometri dalla zona smilitarizzata del 38° Parallelo) a Pyeongtaek, oltre 100 chilometri dal confine, il comando e il grosso delle forze che schierano in Corea (28 mila militari con tank, artiglieria e cacciabombardieri F-16) proprio per sottrarli al raggio d’azione dell’artiglieria nordcoreana che in caso di guerra minaccerebbe milioni di civili sudcoreani a Seul e lungo tutta la fascia di frontiera per una profondità di 60 chilometri.

Foto: Getty Images, Pravda e KCNA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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