Immigrazione. Pipes: la follia storica della Merkel

Da L’informale del 5 settembre 2017

Pezzo in lingua originale inglese: Merkel’s Historic Folly

 

Mister Pipes, lei ha scritto che la decisione di Angela Merkel di aprire i confini a più di un milione di migranti nel 2015 “probabilmente sarà considerata come un momento cruciale della storia europea”. Da storico, cosa intende con questa espressione?

Mi aspetto che quando l’evoluzione della civiltà europea sarà studiata in futuro, l’agosto 2015 sarà visto come un momento cruciale. La decisione di consentire un’immigrazione illimitata in Germania ha avuto implicazioni profonde per l’Europa, sollevando tale problema in forma più acuta, come mai prima d’ora, creando divisioni tra gli europei autoctoni, favorevoli o contrari all’immigrazione su larga scala, e tra i nativi e i nuovi europei.

 Quali sono i problemi fondamentali che gli europei devono affrontare?

Non facendo abbastanza figli per garantire il ricambio generazionale, allora ci si chiede se gli europei continueranno passivamente ad accettare chiunque arrivi, anche senza possedere alcuna competenza e appartenendo a una cultura largamente ostile; oppure se riusciranno a elaborare un piano di immigrazione controllata, che selezioni le persone di tutto il mondo più idonee ad apportare competenze e integrarsi. La decisione della Germania di aprire i confini ha comportato la scelta della prima opzione.

Perché le relazioni fra gli europei e i migranti musulmani sono così carichi di tensione?

Lo sono perché l’Islam è una fede imperialista e molti migranti musulmani vogliono rimpiazzare l’esistente civiltà europea con l’Islam. A esacerbare questo stato di cose, gli europei e i musulmani sono del tutto diversi per vari aspetti: gli europei hanno un basso tasso di natalità, mentre quello dei musulmani è elevato. Gli europei hanno una debole identità religiosa, gli islamici ne hanno una forte. Gli europei si sentono in colpa per i loro errori storici, mentre i migranti hanno un’esuberante fiducia nella superiorità della loro civiltà.

Molti tedeschi affermano che, essendo la loro una nazione ricca, sono moralmente obbligati ad aprire le porte alle persone in difficoltà.

Ammiro questo impulso umanitario, ma è inverosimile. La Germania può, ad esempio, accogliere due miliardi di persone? Se non è in grado di farlo, come può trovare moralmente giusto aprire le porte alla piccola percentuale che accoglie?

E allora qual è la risposta?

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In pratica, io vedo il mondo in termini di aree culturali e geografiche: gli occidentali dovrebbero stare in Occidente, i mediorientali in Medio Oriente, e così via dicendo in tutto il mondo. Non è strano che i migranti provenienti da Siria e Iraq si traferiscano in paesi come Germania e Svezia? Non sarebbe meglio andare in Arabia Saudita e in Kuwait, dove il clima, la lingua, la religione e i costumi sono quelli loro, e inoltre, questi due paesi sono molto più vicini alla Siria. Le 100 mila tende permanenti e quasi sempre vuote dell’Arabia Saudita possono ospitare 3 milioni di persone.

Le culture e i costumi cambiano. Forse i musulmani si adatteranno alle culture europee se gliene dessero l’opportunità?

In teoria, sì, e in pratica, no. L’esperienza mostra che la prima generazione di immigrati musulmani in Europa si è adattata meglio rispetto ai propri figli e nipoti, poiché la separazione aumenta col passare del tempo. È difficile trovare un posto in Europa dove i migranti musulmani si siano integrati, e questo mi induce fortemente a dubitare del fatto che questo succederà in futuro. Cileni, cinesi e congolesi si adattano meglio alla cultura europea rispetto ai musulmani.

Molti migranti musulmani affermano che la discriminazione è un fattore che impedisce loro di integrarsi appieno nella società tedesca.

Sì, la discriminazione è un problema. Non vorrei chiamarmi Muhammad e cercare lavoro ad Amburgo. Ma questo avalla la mia affermazione secondo la quale è meglio chiamarsi Muhammad in Arabia Saudita o in Kuwait. Perché mettere insieme persone che, come hanno mostrato gli ultimi 55 anni, non riescono a vivere tranquillamente insieme? Come ha dimostrato Thilo Sarrazin, l’esperimento dell’immigrazione musulmana è fallito e andando avanti aumenteranno le tensioni.

Lei ribadisce che la minaccia è rappresentata dall’islamismo, e non dall’Islam. Come definisce l’islamismo?

L’islamismo fa propria una specifica interpretazione dell’Islam, secondo la quale, se i musulmani desiderano tornare ad avere le ricchezze e il potere di mille anni fa, devono applicare la legge islamica nella sua interezza. Gli islamisti discutono tra di loro come farlo: in Turchia, il movimento di Fethullah Gülen orientato alla modernità rappresenta un estremo e l’Isis, che vuole tornare al VII secolo, rappresenta l’altro. Alcuni islamisti ricorrono all’uso della violenza, altri operano attraverso il sistema politico. In tal modo, assomigliano ai comunisti, con importanti differenze tattiche, ma obiettivi simili.

Lei definisce “la minaccia islamista” come “il maggior problema del nostro tempo” che sta affrontando l’Occidente. Il terrorismo islamista può certamente nuocere, ma in che modo gli islamisti minacciano l’intero Occidente, considerato il suo potere economico e militare dominante?

Ritengo che l’islamismo sia la terza grande minaccia totalitaria dopo il comunismo e il fascismo, un allettante e poderoso serbatoio di idee che minacciano il nostro modo di vivere. E proprio come abbiamo dovuto combattere contro il fascismo e il comunismo, ora dobbiamo combattere l’islamismo.

Quando Lei dice che l’Occidente deve combattere l’islamismo, a quale tipo di lotta si riferisce: culturale, politica o militare?

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Contrastare la violenza è la parte più facile perché i sanguinosi attacchi jihadisti sono agghiaccianti e l’Occidente dispone di dipartimenti di polizia, agenzie di intelligence e forze armate competenti per far fronte a questo problema. Inoltre, questa violenza di bassa lega danneggia le cose e uccide le persone, ma non può cambiare le civiltà. Gli islamisti rispettosi della legge, al contrario, operando all’interno del sistema, nei media o in ambito politico, educativo e filantropico hanno un’influenza potenzialmente profonda. Anche se preferirei incontrare per strada un islamista rispettoso della legge piuttosto che un jihadista violento, occorre rilevare che soltanto le tattiche non violente cambiano il volto della società e sono relativamente pochi gli occidentali che si accorgono di quello che sta succedendo.

Come giudica la risposta dell’Europa all’islamismo?

Rispetto a venti anni fa, la consapevolezza ha fatto passi da gigante, ma non è ancora sufficiente per cambiare le politiche. Pressoché in tutta Europa esistono partiti politici che assegnano un’importanza prioritaria alla questione dell’immigrazione e dell’islamismo, ma nessuno di questi è mai stato al potere, perché questi gruppi tendono ad essere composti da principianti, al loro interno militano anche molti elementi estremisti e sono ostracizzati. Di conseguenza, non riescono a raggiungere il 51 per cento.

Come Alternative für Deutschland in Germania, l’unico partito che si oppone sistematicamente all’immigrazione musulmana?

Esattamente. L’AfD è un eccellente esempio di una formazione composta da dilettanti ed estremisti in crisi di identità – liberali, neonazisti o una via di mezzo? Finché lasceranno la questione in sospeso, il loro potenziale elettorato sarà limitato, e verranno visti come pericolosi. Ma mi aspetto che alla fine l’AfD maturerà, e penso e spero che si orienterà verso una formazione politica tradizionale, perché in Germania esiste la necessità di un partito del genere. Ma di anno in anno, il pericolo aumenta.

I partiti anti-immigrati rimarranno esclusi dal potere?

No, mi aspetto che questo cambierà, che questi partiti inizieranno a conquistare potere nel giro di un decennio.

Nei sondaggi l’AfD non supera il 10 per cento, mentre la CDU della Merkel si attesta quasi al 40 per cento. Questo è un segnale che i tedeschi non sono poi così insoddisfatti delle politiche della Merkel in materia di immigrazione?

Ne sono sorpreso e non riesco a spiegare la mancanza di una sfida della CDU alla Merkel.

In Olanda, Geert Wilders, uno dei più eminenti politici che si batte contro l’immigrazione musulmana, è finito sotto processo per incitamento all’odio. Mister Pipes, la Sua organizzazione ha contribuito a coprire i costi legali. Perché?

Noi, nel Middle East Forum, crediamo nella libertà di esprimere pubblicamente opinioni sulle questioni riguardanti l’Islam e l’islamismo, indipendentemente dal fatto di condividere quelle opinioni. A tal fine, il nostro Legal Project spesso aiuta i convenuti a pagare le spese processuali, come abbiamo fatto qualche anno fa con Wilders. Non concordo con lui sull’identità del nemico (lui ritiene che sia l’Islam ed io l’islamismo), ma questo è un aspetto secondario. Lo aiuterò, come ogni altro occidentale, ad affermare il diritto di parlare dell’Islam senza finire in un’aula di tribunale.

Il “bando sui musulmani” emesso da Donald Trump è un utile strumento per tenere gli islamisti fuori dagli Stati Uniti?

Il divieto di ingresso negli Stati Uniti imposto dall’amministrazione Trump e rivolto ai cittadini provenienti da sei Paesi a maggioranza musulmana era costellato da buone intenzione, ma è stato eseguito male. Non si dovrebbe guardare al passaporto di una persona, ma alle sue idee. Alcuni iraniani sono nostri amici e alcuni canadesi nemici. Ovviamente, le idee sono più elusive della nazionalità. Ma vietare l’ingresso ai cittadini di certi Paesi non offre protezione, e questo necessita di notevoli sforzi per conoscere ogni persona che entra negli Stati Uniti.

La città di Amburgo nel 2012 ha firmato un accordo, uno “Staatsvertrag” con gruppi musulmani come Ditib, Schura e VIKZ per regolamentare classi e festività islamiche. I membri di queste organizzazioni sono stati accusati di islamismo e antisemitismo, ma le autorità non riescono a ripulire le organizzazioni musulmane. Il Suo commento?

Gli islamisti dispongono di fondi più cospicui e sono organizzati molto meglio rispetto ai musulmani non islamisti, in parte perché ricevono aiuti da Paesi mediorientali come l’Arabia Saudita, l’Iran e la Turchia. Ciò permette loro abitualmente di dominare la vita musulmana in Occidente, apparendo in televisione, avviando un dialogo religioso, insegnando nelle aule scolastiche e (come in questo caso) collaborando con i governi.

Secondo Lei i governi occidentali dovrebbero dare più potere ai musulmani moderati, ma in Germania solo pochi musulmani si sono presentati per protestare contro l’islamismo, pertanto, chi e dove sono i moderati?

La richiesta di un massiccio sostegno musulmano contro l’islamismo fallisce sempre in Occidente. (È diverso nei Paesi a maggioranza musulmana.) In parte, ciò è dovuto a una mancanza di finanziamenti e organizzazione, e in parte alle intimidazioni: richiede molto coraggio essere un musulmano e schierarsi pubblicamente contro l’islamismo. La nuova moschea liberale Ibn Ruschd-Goethe, a Berlino, costituisce un buon esempio: il suo fondatore, Seyran Ateş, ha ricevuto minacce di morte.

Cosa dovrebbero fare i governi occidentali?

Sostenere con forza i musulmani non islamisti e soprattutto i musulmani anti-islamisti. Gli islamisti come il presidente turco Recep Tayyip Erdogan affermano l’esistenza di un solo tipo di Islam, vale a dire il loro. No, non è così. Esistono molte versioni di Islam e i non musulmani dovrebbero respingere, e di certo non consentire, l’egemonia islamista. Piuttosto, i coraggiosi anti-islamisti come Ateş dovrebbero ottenere un riconoscimento ufficiale e altre forme di appoggio.

Nel 2015, alla Merkel è stato chiesto in che modo la Germania avrebbe dovuto affrontare la paura dell’islamizzazione, e lei ha replicato dicendo che anziché temere l’Islam, i cristiani tedeschi dovevano saperne di più sulle radici della loro religione e recarsi più spesso in chiesa. Lei come avrebbe replicato?

La risposta irritante della Merkel è tipica delle élite dell’Europa occidentale (e non orientale) che continuano a ignorare i problemi creati dall’immigrazione musulmana. Le ragioni sono molteplici: i sensi di colpa, il fatto di vivere sotto una campana di vetro, l’andare a caccia di voti, la correttezza politica e la paura di essere definiti “islamofobi”.

Perché sensi di colpa?

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Perché, come spiegava lo scrittore e saggista francese Pascal Bruckner, nel suo libro del 2006 La tirannia della penitenza, molti europei nutrono un profondo rimorso personale per il trio di imperialismo, fascismo e razzismo, pur non essendo implicati in questi “mali”. Per alcuni europei, la stessa pelle bianca è un segno di colpa. Di conseguenza, si sentono costretti a dimostrare smisurata tolleranza e benevolenza verso i non occidentali. Il fatto che anche i popoli non occidentali abbiano commesso peccati, non conta per loro, il che implica una certa arroganza, e perfino razzismo: contano soltanto i peccati dei bianchi.

Questo senso di colpa è ancor più impressionante, visto i grandi progressi dell’Europa. Ricordo che nel 1987 mentre mi trovavo in Finlandia, camminando per le strade pensavo: “Questa prosperità, libertà, stato di diritto, e democrazia è ciò per cui l’umanità si è sempre impegnata”. Com’è strano che un’Europa che ha raggiunto un tale successo oggi affondi nei sensi di colpa, abbia un tasso di natalità irrisorio e preferisca non proteggersi da una civiltà rivale. Da storico dico: Questa debolezza è senza precedenti

Traduzione di Angelita La Spada

Foto: Ansa, AP e AFP

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