In Siria si negozia per stabilizzare i diversi fronti

Negoziati a tutto campo coinvolgono in questi giorni tutto i protagonisti, interni ed internazionali, della crisi siriana con l’obiettivo di dare una parvenza di stabilità alle diverse aree dello Stato arabo.

Syrian soldiers patrol in the town of al-Qaryatain, in the province of Homs in central Syria, on April 4, 2016 after Syrian troops regained control of the town from jihadists of the Islamic State (IS) group the previous day. IS jihadists withdrew from the town a week after the Russian-backed army and allied militia scored a major victory in the ancient city of Palmyra, which is also located in the vast province of Homs. The recapture of al-Qaryatain allows the army to secure its grip over Palmyra, where jihadists destroyed ancient temples during their 10-month rule and executed 280 people. / AFP PHOTO / JOSEPH EID

Nel sud ovest siriano l’esercito di Bashar Assad è pronto a far scattare un’offensiva per strappare ai ribelli i territori lungo il confine israeliano e giordano: Russia, Stati Uniti, Giordania e Israele stanno negoziando un’intesa che preveda il ritiro delle forze iraniane ed Hezbollah libanesi che affiancano le truppe di Assad da quella regione della Siria a ridosso delle Alture del Golan e del confine giordano, in cambio dello smantellamento delle forze anti-governative addestrate in questi anni in Giordania da consiglieri militari.

Il raggiungimento dell’accordo consentirebbe ad Assad di riprendere il controllo di una porzione strategica del territorio nazionale garantendo Israele che forze di Teheran e degli alleati Hezbollah non stazioneranno a ridosso del Golan.

Il 26 maggio gli Stati Uniti avevano avvertito il regime siriano di essere pronti ad adottare “misure decise ed appropriate” per impedire un’eventuale offensiva contro le forze ribelli nel sud della Siria.

 

Intesa nel sud ovest

I termini dell’accordo sarebbero già stati approvati da Mosca e Washington con l’avallo di Amman e dello Stato ebraico mentre il quotidiano panarabo-saudita al Hayat afferma che la Giordania e gli Stati Uniti, che hanno influenza sulle milizie siriane anti-governative nelle regioni di Daraa e Quneitra, sono pronte a fare pressioni perchè queste forze si arrendano di fronte all’avanzata delle forze governative siriane.

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La Russia, alleata di Israele e dell’Iran, sta lavorando alla definizione di questo complesso accordo, scriveva il 30 maggio il quotidiano.

“Soltanto le forze di Damasco devono rimanere al confine della Siria con Israele” ha detto il 28 maggio il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, escludendo quindi che nella parte meridionale della Siria possano venire dispiegate forze iraniane.

Le sue dichiarazioni, durante una conferenza stampa a Mosca citata dalla Tass, confermano anticipazioni pubblicate da Haaretz. Secondo il quotidiano, che cita fonti israeliane, i russi vogliono un significativo allontanamento delle forze iraniane, e delle milizie sciite loro alleate, dal confine meridionale della Siria.

Il cambiamento nella posizione russa, si legge, è dovuto al timore che nuovi attacchi militari israeliani contro postazioni iraniane in Siria finiscano per minacciare la stabilità del regime di Bashar al Assad.

Oggi fonti siriane sul posto sentite dall’agenzi di stampa Aki-Adnkronos International hanno rivelato che le milizie iraniane e fedeli a Teheran hanno iniziato a ritirarsi dalle loro posizioni nel sud della Siria con colonne di veicoli in marcia dalle loro posizioni verso il nord di Daraa.

 

Gli iraniani fanno un passo indietro

Stando a queste fonti, il ritiro di queste forze, iniziato sabato, sarebbe il frutto delle condizioni poste da Stati Uniti e Israele nel quadro dell”accordo sulle zone di de-escalation nel sud della Siria, ma le fazioni armate fedeli all”Esercito Siriano Libero (ESL) nel sud, affermano che le milizie si stanno trasferendo nelle caserme del regime dove stanno sostituendo mezzi e unifirmi con quelle dell’esercito regolare di Assad per poi tornare a sud, sottolineando che ai checkpoint stanno facilitando il loro transito.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus, ong vicina ai ribelli anti-Assad sostenuti dagli anglo-americani), senza citare le proprie fonti, ha fatto sapere che Damasco intenderebbe “sciogliere i gruppi paramilitari fedeli alle forze governative o quelli addestrati e finanziati dall’Iran”.

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L’Ondus conferma però che le forze fedeli all’Iran stanno ritirando i loro miliziani dal triangolo Daraa-Quneitra-Rif, a sud ovest di Damasco aggiungendo che “elementi di nazionalità non siriana sono stati integrati nelle forze del regime, mentre le forze della Quarta divisione sono arrivate nelle regioni che Damasco ha minacciato di attaccare nel sud, probabilmente per dispiegarsi lungo il confine con il Golan occupato e con la Giordania”.

L’accordo sembra prevedere che le forze dell’opposizione siriana restino presenti nelle aree tornate sotto l’amministrazione di Damasco dove però non entreranno le truppe di Assad, creando così una sorta di zona cuscinetto non sottratta alla giurisdizione siriana ma priva di truppe governative lungo i confini con Israele e Giordania.

Secondo l”intelligence israeliana, riferisce il quotidiano Haaretz, in Siria vi sono al momento 2mila militari iraniani, compresi consiglieri militari e membri delle Guardie della Rivoluzione. A loro si aggiungono 9mila miliziani sciiti provenienti da Afghanistan, Pakistan e Iraq, oltre a 7mila combattenti della milizia sciita libanese degli Hezbollah.

Il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem ha legato ieri la partecipazione di Damasco ai negoziati al ritiro americano da un’altra regione, situata più a est lungo la frontiera con Iraq e Giordania. Da settimane l’esercito siriano invia delle truppe di rinforzo nel sud per rafforzare le forze in vista di un’eventuale operazione militare che punti a cacciare le forze ribelli che controllano il 70 per cento circa delle province meridionali di Deraa e Quneitra.

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“Non credete a tutti i discorsi che prospettino un accordo sul Sud finché gli Stati uniti non avranno ritirato le loro forze dalla base di al Tanaf”, ha affermato il capo della diplomazia siriana. La Coalizione a guida Usa mantiene quella base ufficialmente per lanciare operazioni contro l’Isis, ma vi ha anche addestrato ribelli siriani anti-Assad e negli ultimi mesi ha lanciato da lì in più occasioni attacchi contro le forze siriane e le milizie loro alleate.

Secondo Muallem il regime, che controlla più del 60 per cento del territorio siriano, favorirà la definizione della sorte del sud con “accordi di riconciliazione” e “si agirà quando arriverà il momento se questa via si rivelerà conclusiva”.

Il 31 maggio Assad ha però smentito nuovamente che ci siano truppe iraniane in Siria. “Non abbiamo truppe iraniane. Non le abbiamo mai avute e non possiamo nasconderle. Non avremmo problemi ad ammettere la loro presenza, così come abbiamo invitato i russi, avremmo potuto invitare gli iraniani”.

Assad ammette che ci sono ufficiali iraniani “che lavorano con l’esercito siriano e che offrono un aiuto” e circa i recenti attacchi aerei attribuiti a Israele contro presunte basi iraniane in Siria, Assad è stato categorico: “E’ una bugia israeliana. Anche nel recente attacco, alcune settimane fa, hanno detto di aver attaccato basi e campi iraniani… ci sono state decine di martiri siriani e soldati feriti, ma nessun iraniano”.

 

Le prospettive nella Siria Orientale

Delicata anche la situazione nel nord est della Siria dove Bashar Assad non ha escluso si possa aprire un fronte di guerra contro le milizie curdo-siriane delle Forze Democratiche Siriane (FDS) sostenute dagli Stati Uniti e che controllano una vasta area tra il confine turco, l’estremo est del Paese e la provincia di Deir Ezzor fino al co fine con l’Iraq. Terre strappate in gran parte al controllo dello Stato Islamico ma con l’obiettivo di interrompere la continuità della cosiddetta “mezzaluna scita”, l’asse strategico che unisce l’Iran a Iraq e Siria fono a raggiungere le coste del Mediterraneo nel Libano meridionale controllato da Hezbollah.

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In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi alla tv Russia Today, Assad afferma che sul tavolo ci sono due opzioni per l’est siriano: una negoziale e una militare. Secondo Assad, per ora sono in corso negoziati con le forze curdo-siriane. In caso di fallimento delle trattative, “libereremo la zona con la forza”.

E circa la presenza militare degli Stati Uniti, Assad ha aggiunto: “Faremo questo con o senza gli americani… che comunque devono andarsene. E se ne andranno”.

In questo settore 4 soldati russi sono stati uccisi dai ribelli il 26 maggio. Lo ha annunciato il giorno successivo il ministero della Difesa di Mosca, citato dall”agenzia stampa Tass e dai media arabi.

I quattro soldati, definiti “consiglieri militari”, sono stati uccisi nella provincia orientale di Deir al Zour, dove diversi miliziani ribelli hanno attaccato una batteria d”artiglieria del governo siriano di Bashar al Assad.

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“Due consiglieri militari russi, che controllavano il fuoco della batteria siriana, sono morti sul posto”, si legge in una nota del ministero della Difesa, aggiungendo che altri cinque soldati sono stati feriti e ricoverati in un ospedale militare russo. Due dei ricoverati sono morti successivamente per le ferite riportate.

Il ministero ha infine precisato che in questo scontro a fuoco “forze siriane e russe hanno partecipato e uccisi anche 43 ribelli”. Diversa però è la versione fornita dalle Ong attive in Siria, secondo le quali si è trattato di un attacco dei terroristi dello Stato islamico. Secondo L”Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, sarebbero 9 i soldati russi uccisi e 26 quelli del governo di Damasco.

 

Arrivano i sauditi?

A preoccupare Assad sono soprattutto le informazioni circa un intervento militare saudita al fianco dei curdi nei territori a est dell’Eufrate controllati dalle FDS, probabilmente nell’ottica di un ritiro a breve termine dei militari Usa già preannunciato da Donald Trump.

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Consiglieri militari sauditi si sarebbero infatti per la prima volta nella Siria nord-orientale con rappresentanti delle FDS, secondo la tv al-Jazeera e altri media panarabi, secondo cui l’incontro è avvenuto la settimana scorsa nella base militare americana di Kharab Ishaq, a sud della nota cittadina di Kobane, nel settore centrale della zona controllata dalle milizie curdo-siriane.

Secondo le fonti, l’incontro ha avuto lo scopo di coordinare gli sforzi sauditi per rafforzare le file dei combattenti siriani arabi nella lotta contro l’Isis e nel contenimento dell’espansionismo iraniano e russo a est dell’Eufrate. L’agenzia turca Anadolu, citata da al Jazira, afferma anche che ha preso il via con fondi sauditi il reclutamento di nuovi miliziani nelle città curdo-siriane di Hasaka e Qamishli. L’arrivo di forze saudite sul territorio siriano amplificherebbe il conflitto coinvolgendo direttamente gli stessi iraniani.

 

L’accordo Usa-Turchia sulla pelle dei curdi

La presenza militare statunitense in quella regione, circa 2mila uomini, non solo non è giustificata sul piano del diritto internazionale ma è aspramente criticata anche dalla Turchia che deve limitare le sue operazioni per creare uno fascia di sicurezza di 50 chilometri lungo il confine con la Siria proprio a ovest del Fiume Eufrate proprio a causa delle truppe americane che affiancano i curdi.

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Ankara e Washington sembrano del resto aver raggiunto un accordo per la gestione di Manbij, area di strategica importanza nel nord della Siria presidiata da truppe Usa e curde delle FDS, che a differenza di Afrin non è stata attaccata dalle truppe di Ankara propria a causa della presenza statunitense.

L’intesa è basata su una road map da portare a termine in tre fasi. La prima fase prevede il ritiro delle milizie curde nei 30 giorni successivi la definizione dell’accordo, un’amministrazione temporanea da parte dei militari turchi e americani nei 45 giorni successivi e la formazione di un’amministrazione locale nei due mesi successivi la firma dell’accordo tra Ankara e Washington, raggiunto il 4 giugno dal ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha incontrato a Washington il segretario di Stato Mike Pompeo.

 

Nuova alleanza ribelle a Idlib

Nel Nord Ovest siriano invece 11 gruppi armati di opposizione affiliati all’ESL hanno costituito una nuova alleanza anti-Assad a Idlib, provincia controllata in gran parte dai ribelli ma assediata dalle forze di Assad. Fonti interne ai gruppi armati hanno spiegato il 29 maggio L’agenzia di stampa turca Anadolu che l’alleanza è stata chiamata Fronte Nazionale per la Liberazione e conta quasi 30mila uomini.

Ne fanno parte gruppi quali la Legione Sham, Jaysh al-Nasr, Free Idlib Army, Shuhada al-Islam Darayya e Brigata Al-Hurriyat, milizie che operano a Idlib e nella parte settentrionale della provincia di Hama. A guidare la nuova alleanza, che per forza militare è uno dei principali gruppi anti-Assad, è il comandante della Legione Sham, Fadil Allah al-Hajji, mentre Suhaib Layyush di Jaysh al-Nasr è stato nominato suo vice.

Foto: SANA, AFP e Ministero Difesa Russo

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