Si rafforza la penetrazione turca in Africa

L’ultima visita ufficiale di Erdogan in Africa Occidentale (Algeria, Mauritania, Senegal e Mali), avvenuta tra marzo ed aprile, ha concretizzato ancora una volta un interesse crescente di Ankara nei confronti del Continente Nero. Non si tratta certo di una novità della politica estera turca ma di un trend le cui basi erano state gettate nei primi anni 2000.

Il dinamismo che la politica di Erdogan ha assunto nei confronti dell’Africa subsahariana da qualche anno a questa parte e che trova culmine nelle recenti visite, è un fenomeno multidimensionale che vede come minimo comune denominatore un crescente protagonismo di Ankara negli affari africani.

Al contrario dell’Occidente, la Turchia viene percepita in Africa piuttosto come un attore politicamente più fresco e giovane, grazie ai principi che permeano le sue iniziative: gradualismo; dimensione umanitaria e promozione di uno sviluppo endogeno caratterizzati da aiuti economici non condizionati, tutela della proprietà africana e attenzione alla realtà locale.

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Il 2003 era stato dichiarato da Ankara anno dell’Africa e aveva sancito il primo storico viaggio del Presidente turco mentre nel 2008 la Turchia è divenuta ufficialmente partner strategico dell’Unione Africana.

L’apertura all’Africa faceva parte degli obiettivi del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (APK) guidato da Erdogan già dagli inizi, promettendosi di andare oltre alla collaborazione con l’Occidente ma solo recentemente la politica turca in Africa ha acquisito una dimensione globale.

Nel 2015 il Presidente aveva visitato tre paesi del Corno d’Africa; nel 2016 è stata la volta dell’Africa occidentale, Kenya ed Uganda; nel 2017 ha visitato ben sei paesi, sempre accompagnato da una delegazione di uomini d’affari e diplomatici.

Negli ultimi cinque anni la presenza turca in Africa si è notevolmente rafforzata: il numero di ambasciate (saranno presto una trentina), le bandiere turche visibili nelle strade più internazionali delle maggiori città africane, assieme alle frequenti visite del Presidente, sono il segno che la Turchia sta cercando di incrementare la sua influenza nella regione.

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Gli interessi turchi in Africa toccano vari aspetti, da quello degli aiuti umanitari a quelli più prettamente politici. Il fattore economico resta però il punto principale dell’agenda turca nella regione, e specialmente in Africa occidentale.

Le motivazioni economiche sono state ribadite senza infingimenti ad un incontro di vertice tra il Presidente Erdogan e rappresentati della commissione dell’Unione Africana lo scorso febbraio a Istanbul.

Da un alto la Turchia ambisce ovviamente ad incrementare le sue esportazioni e in ciò persegue una politica non dissimile a quella cinese in Africa.

Il volume degli scambi commerciali tra Ankara e l’Africa negli ultimi 15 anni è più che triplicato. Anche le iniziative di più ampio respiro volte a sigillare l’unione non mancano: a febbraio si è tenuto il primo forum economico Turchia/ECOWAS- CEDEAO mentre il prossimo anno si terrà il terzo forum sul partenariato Turchia-Africa.

Ma l’interesse turco nei confronti dell’Africa non è dettato esclusivamente da motivazioni economiche. Durante le visite di quest’anno, intese sono state raggiunte nel settore culturale, agricolo, energetico e universitario.

Inoltre, verranno stanziati da Ankara 5 miliardi per un nuovo dispositivo militare congiunto tra i Paesi del Sahel (Mali, Mauritania, Burkina Faso, Niger e Chad). Dalla Mauritania, il Presidente ha affermato che «la Turchia è tra i Paesi che meglio comprendono i pericoli che devono essere affrontati nel Sahel».

 

I turchi in Somalia

Che la Difesa sia al centro di affari è evidente in particolare nel Corno d’Africa. In Somalia si sta giocando una guerra d’influenza tra monarchie del Golfo, Turchia e Iran.

La Turchia fin dal 2005 ha ricoperto un grande ruolo nella ripresa economica e sociale del paese ricostruendo porto e aeroporto di Mogadiscio oltre a illuminare e asfaltare le strade del centro della capitale. Ankara tiene a conservare ed estendere la sua reputazione nell’area e il modello somalo può essere un esempio di ciò che la Turchia sarebbe in grado di fare in altri paesi africani desiderosi di ricevere assistenza.

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Per rafforzare la sua presenza e renderla credibile, Ankara ha inaugurato lo scorso settembre il più grande centro di addestramento militare all’estero in Somalia. Mesi prima era stata raggiunta un’intesa bilaterale con il paese che prevedeva la cooperazione in vari settori, da quello economico e delle infrastrutture alla cooperazione militare in materia d sicurezza.

La Somalia è diventata il più grande destinatario internazionale dell’aiuto turco e al contempo una sorta di satellite militare. Inoltre, con l’apertura della base militare a Mogasdiscio, che dovrebbe venire impiegata per addestrare le truppe somale, la Turchia ha notevolmente aumentato la visibilità nel settore della sicurezza e la presenza nell’Oceano Indiano in un contesto in cui l’alleanza tra Turchia e Qatar comporta una forte rivalità con gli Emirati Arabi Uniti sempre più presenti nel Corno d’Africa.

Non da ultimo la Turchia ha anche bisogno della benevolenza dell’Africa — sia dei singoli paesi che dell’Unione Africana come istituzione — per accrescere la sua influenza nelle organizzazioni internazionali.  Per far ciò può usare i suoi legami cultural- religiosi con diverse regioni africane a maggioranza islamica, cosa che è presclusa sia a Bruxelles che a Washington.

 

La rivalità coi cinesi

La silenziosa scramble for Africa assume i connotati di una guerra di influenza su due piani: economico e politico/militare. I rivali non mancano e rappresentano un limite all’espansionismo africano di Ankara.

Sul primo fronte la Tuchia si trova in competizione con Cina e India per accaparrarsi i mercati dell’Africa subsahariana.La Cina rimane il gigante economico nel continente e si pone in prima linea anche negli aiuti allo sviluppo da quando il Presidente Xi Jinping ha annunciato un piano di 60 miliardi di dollari in progetti per i prossimi anni.

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In particolare, infastidiscono Ankara gli investimenti cinesi nel Corno d’Africa, in Kenya e in Angola, dove Pechino è impegnata nella costruzione di una massiccia rete di infrastrutture. La presenza cinese è ben solida anche in Sudan, dove le motivazioni economiche si intrecciano a quello politiche.

Non a caso Erdogan ha intrapreso un viaggio in Sudan lo scorso dicembre, durante il quale è stata conclusa un’intesa per la costruzione di un cantiere navale turco nell’isola di Suakin, porto a sud di Port Sudan dove la flotta turca potrà avere libero accesso: un primo passo per potenziare la presenza navale tra Suez e lo Stretto di Bab el-Mabdeb.

L’India sicuramente non preoccupa più di tanto Anakara, tuttavia il ruolo ruolo economico e geopolitico nel continente africano non dovrebbe essere sottovalutato.

Recentemente il governo indiano ha approvato l’apertura di nuove missioni diplomatiche in Africa entro il 2021, in particolare in Africa occidentale e nel Corno, proprio dove sono maggiori gli interessi turchi.

Nuova Delhi si sta impegnando a diventare sempre più influente in Africa soprattutto in un’ottica anticinese. Le esportazioni di Pechino verso l’Africa subsahariana costituiscono il triplo di quelle indiane anche se Delhi potrebbe tentare di colmare il divario grazie anche all’iniziativa «Asia–Africa Growth Corridor», iniziativa congiunta col Giappone.

 

Strategia di penetrazione

Secondo alcuni analisti, la ricetta commerciale di Erdogan è basata su una strategia di segmentazione regionale del mercato africano in vista di un’auspicabile futura omogeneizzazione delle formule economiche e di sviluppo adottate nel continente.

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Dall’altro lato c’è invece il pacchetto sicurezza, in cui sono più implicati, su fronti contrapposti, Arabia Saudita ed Emirati Arabi da un lato e Turchia e Qatar dall’altro.

Lo scorso giugno Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Bahrein ed Egitto avevano imposto un embargo al Qatar, accusato di sostenere e finanziare i terroristi.

La stretta relazione tra Qatar e Turchia fa da sfondo alle vicende nel Corno d’Africa. Dal punto di vista di Ankara questa non solo serve l’obiettivo di rafforzare l’influenza turca in Medio Oriente in funzione antisaudita, ma anche a saldare una partnership economica e a smarcarsi il più possibile da Washington, affermando un ruolo di primo piano come decision maker negli affari di almeno due continenti.

Al momento Ankara si trova in vantaggio ma gli Emirati Arabi Uniti stanno realizzando una base aerea e navale a Berbera, nel Somaliland nell’ambito della necessità di disporre basi di supporto per le operazioni belliche della coalizione araba nello Yemen ma anche in virtù di un programma cominciato nel 2014, nell’ambito di una missione promossa dall’Unione Africana, allo scopo di contrastare l’insorgenza islamista nel territorio somalo e ristabilire la sicurezza nel paese, col supporto dei Paesi occidentali e della Turchia stessa.

 

Prospettive

Durante gli ultimi incontri con incontri con le autorità di Algeria, Mauritania, Senegal e Mali, Erdogan ha concluso anche intese volte alla cooperazione militare, portando a casa notevoli successi per l’industria della Difesa&Sicurezza turca. Un’ulteriore ragione dell’impegno turco in Africa su questo tema è la repressione di Hizmet, l’organizzazione di Fetullah Gulen ampiamente diffusa nel Continente Nero: velata condizionalità che si cela dietro ai sempre più cospicui aiuti allo sviluppo destinati ai governi africani.

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Un altro punto di interesse primario per la Turchia è insito  nella militarizzazione della costa orientale africana come strategia per ottenere controllo sulle rotte mercantili, sia sul Mar Rosso che lungo la costa somala.

Ci sono poi diverse variabili da considerare. Mentre Pechino e Nuova Delhi sono in competizione diretta con Ankara nei mercati africani, l’Egitto non ha certo apprezzato i nuovi intrecci tra Ankara e Karthoum che intralciano la strategia marittima di Al-Sisi già indebolita dalla cessione delle isole di Sanafir e Tiran all’Arabia Saudita.

Del resto i rapporti tra Egitto e Turchia sono aspri dalla caduta del governo di Mohammed Morsi, espressione dell’ideologia dei Fratelli Musulmani cui fa capo anche Erdogan.

Ankara tiene fede all’approccio multilaterale che ha da sempre caratterizzato l’APK, spostandosi però in modo sempre di marcato dall’euroatlantismo ad un multilateralismo euro-afro-asiatico che ben si concilia con gli interessi turchi nei territori dell’ex Impero Ottomano e oltre.

Foto Reuters, Anadolu, AP e AFP

 

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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