F-35 tricolori: i silenzi di Roma

Preso nota delle ultime novità, dalla conferma della rinuncia al velivolo da parte del nuovo Governo canadese alla forte riduzione di ordini della Navy americana (che chiede invece nuovi Super Hornet), dal dettagliato report del Pentagono sui non fortunatissimi e – ciò che più conta – assai poco indicativi test operativi su portaerei degli STOVL al fatto che il cannone oltre che a terra ha sparato (senti senti) anche con l’aereo in volo, il programma dell’F-35 riserva nuovi sviluppi anche per quanto riguarda l’Italia.

Dagli Stati Uniti giovedì 5 novembre è arrivata la notizia che due piloti del Reparto sperimentale Volo dell’Aeronautica Militare hanno completato il primo step del loro addestramento sulla base aerea di Luke (Arizona) dell’Air Force volando per la prima volta sullo stealth da attacco di Lockheed Martin.

Stavolta davvero importante (i nostri piloti hanno usato un esemplare australiano accompagnato da in velivolo USAF), la notizia, come abbiamo detto,  è arrivata da oltre Atlantico, comunicata in rete direttamente dall’US Air Force 56th Fighter Wing di Luke, dove il nostro personale si sta addestrando da settembre.

Che dire?  E’ auspicabile che anche gli organi istituzionali del nostro Paese, per primo il Gabinetto della ministra della Difesa Roberta Pinotti, ne vogliano informare i giornali, e attraverso questi l’opinione pubblica, secondo una trasparente e sana prassi che gli altri partner del discusso programma seguono da sempre, ma alla quale per lo più Roma ricorre quando è incalzata da pacifisti e quanti altri.

La seconda notizia non è positiva come la prima, almeno quanto al prosieguo dell’avventura tricolore nel padre di tutti i programmi aero-militari.

Nell’ultimo contratto passato a Lockheed Martin (LRIP-9) dal Dipartimento della Difesa il 3 novembre, l’Italia non figura fra gli acquirenti non americani che hanno ordinato la nuova tranche di aerei, quella del lotto annuale a basso rateo di produzione numero 9, per la quale paghiamo da due anni i pezzi che bisogna ordinare in anticipo. Anche su questa battuta d’arresto (che farà felice più d’uno), silenzio totale.

Alcuni organi di stampa nei mesi scorsi avevano riportato la notizia che entro l’autunno avremmo regolarmente acquistato ulteriori aerei del LRIP-9 e pure del successivo LRIP-10, dopo aver già ordinato e cominciato ad assemblare nella FACO di Cameri 8 velivoli di tre precedenti lotti (LRIP-6, LRIP-7 e LRIP-8).

Non è chiaro – dallo Stato Maggiore della Difesa fino a tutto il 10 novembre non era arrivata alcuna precisazione al riguardo – se il mancato ordine per nuovi Joint Strike Fighter, tra i quali dovevano esserci i primi F-35B STOVL col tricolore, sia dovuto a una momentanea interruzione nei nostri piani di acquisto, forse in ossequio al mandato parlamentare per il dimezzamento/rallentamento della spesa complessiva per il programma, o chissà, alla perdurante “immaturità” del velivolo americano, che potrà cominciare a esprimere tutto il suo potenziale con una versione del software disponibile solo fra cinque-sei anni.

Nella prima ipotesi, gli impianti di assemblaggio di Cameri subirebbero a cavallo fra il 2016 e il 2017 un notevole rallentamento, facendo abortire l’atteso trend di aumento della cadenza produttiva degli impianti ottenibile con le prime lavorazioni sugli F-35 commissionati alla FACO italiana dall’Olanda.

Nella seconda, entrano in gioco considerazioni legate ai futuri tagli al bilancio della Difesa, che potrebbero ispirare una maggiore cautela nell’acquisto di aerei relativamente “immaturi” e più costosi di quelli che saranno prodotti più avanti.

La terza notizia, questa abbastanza eclatante, viene infine da Alenia Aermacchi, fortemente impegnata in sodalizio con Lockheed Martin nelle attività produttive nazionali. Secondo quanto riporta il settimanale specializzato britannico “Flight International”, il comandante Marco Venanzetti, capo delle Operazioni di volo di quella che da gennaio sarà – per così dire – declassata a “Settore” della One Company Finmeccanica, avrebbe affermato che nei prossimi 20 anni “nei nuovi scenari di guerra gli operativi di F-35 impiegheranno lo stealth d’attacco americano per non più dell’80 per cento delle missioni”, lasciando il resto a velivoli più semplici e meno costosi.

Proprio come la versione doppio ruolo (addestramento avanzato-attacco leggero) del trainer M-346 che il costruttore italiano intende sviluppare per scenari a bassa-media intensità.

Un velivolo da combattimento ideale secondo Venanzetti (e presumibilmente secondo altri) per colmare il gap creato da un aereo, il JSF, concepito per l’intero spetto delle missioni di combattimento.

Detta da un dirigente in quel ruolo e di quel calibro – a quanto si sa escluso come gli altri colleghi piloti collaudatori di Alenia Aermacchi dal programma di sviluppo dell’F-35 –  la cosa fa un certo effetto.

E fornisce in qualche modo una prova indiretta del clima non proprio tutto favorevole al programma statunitense che aleggia all’interno della maggiore industria aeronautica nazionale, pure pesantemente coinvolta in un programma così strategico.

Foto Lockheed Martin e Finmeccanica Alenia Aermacchi

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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