Rotta verso l’Asia: la Marina italiana nell’Indo-Pacifico

 

 

Anche la Marina italiana è stata chiamata dagli alleati a partecipare al contenimento strategico della Cina. E questi nuovi orizzonti operativi, ben al di là dell’alveo denominato “Mediterraneo Allargato, verranno sanciti alla fine del 2023 da una prevista missione oceanica che vedrà impegnata la portaerei Cavour, con la sua squadra di scorta, nelle acque degli Oceani Indiano e Pacifico.

Nave Francesco Morosini, seconda unità della classe Pattugliatori Polivalente d’Altura (PPA) della Marina Militare è salpata ieri dalla base navale di La Spezia per una campagna navale in Estremo Oriente che durerà 5 mesi. A salutare l’equipaggio il Sottosegretario di Stato alla Difesa Matteo Perego di Cremnago e il Comandante in Capo della Squadra Navale ammiraglio Aurelio De Carolis.
Durante la campagna il pattugliatore solcherà le acque del Mar Cinese arrivando a toccare i porti di Yokosuka, in Giappone (14-18 giugno) e Pusan, in Corea del Sud (21-24 giugno) effettuando attività di Naval Diplomacy in quindici porti di quattordici Paesi del sud-est asiatico.

Nave Morosini prenderà parte anche all’operazione AGENOR, dispositivo aeronavale europeo a connotazione prevalentemente marittima dispiegato tra Golfo Persico e la regione dell’Oceano Indiano per la salvaguardia della libertà di navigazione e la sicurezza delle navi in transito in quell’area (EMASOH).

Nelle ultime settimane, anche in seguito alle recenti visite della premier Giorgia Meloni in India e del ministro della Difesa Guido Crosetto in Giappone, è stato confermato che aumenterà la presenza della Marina Militare italiana negli oceani Indiano e Pacifico.

Soprattutto, è prevista tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 un’ambiziosa crociera operativa della squadra della portaerei Cavour, comprensiva della citata unità portaeromobili e di almeno 4 unità di scorta e appoggio.

Nei mesi precedenti si avrà una prima missione del pattugliatore Morosini, che, si può dire, andrà sostanzialmente in “avanscoperta”, accumulando esperienze, anche logistiche, utili all’organizzazione della successiva missione della Cavour.

Le nostre forze navali si abitueranno così, nei prossimi anni, a operare sempre più, anche a livello di squadra e non solo di crociere di unità isolate, in aree ben al di là del tradizionale scacchiere strategico del “Mediterraneo Allargato”. Ciò è in linea col progressivo debordare della NATO nell’Estremo Oriente, caldeggiato specialmente dagli Stati Uniti, che individuando sempre più nella Cina il massimo competitore globale, in prospettiva dei prossimi decenni, intendono già ora promuovere l’appoggio degli alleati europei agli alleati est-asiatici nel fare muro contro la proiezione aeronavale di Pechino nei mari e nelle isole limitrofi.

Già lo scorso 30 gennaio 2023 il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino, aveva annunciato, in un’intervista ad Airpress, la missione preventiva del pattugliatore d’altura Francesco Morosini nei mari dell’Asia Orientali.

“A breve, nave Morosini si addestrerà insieme agli alleati e alle marine amiche nell’Indo-Pacifico. Un’occasione anche per contribuire alla possibile esportazione del prodotto nazionale”.

 

Nuove relazioni militari con l’India

Poche settimane dopo, durante il vertice fra il primo ministro italiano Giorgia Meloni e il premier indiano Narendra Modi tenutosi il 2 marzo a Nuova Delhi, è stato confermato l’interesse italiano per l’Indo-Pacifico, di cui la missione della Morosini costituisce il battistrada, non nascondendo la speranza di poter vendere unità PPA di quella classe, Thaon di Revel, alla Marina Indiana.

Ciò trasparirebbe dal Patto Bilaterale per la Difesa firmato in quell’occasione, così commentato da Modi: “Oggi istituiamo un ponte tra l’Italia e l’India aprendo un nuovo capitolo e cioè la cooperazione in materia di difesa per la produzione e sviluppo in questo settore che può essere un beneficio per ambedue i Paesi”. Il patto prevede “esercitazioni e corsi di formazione congiunti tra le rispettive forze armate”, nonché “opportunità di sviluppo nella produzione di sistemi”, con vantaggi per gruppi italiani come Leonardo, Fincantieri ed Elettronica, per citare solo i principali.

Il pattugliatore Morosini precede la missione della portaerei Cavour, che avverrebbe nel tardo autunno o all’inizio dell’inverno venturo. Il Pattugliatore Polivalente d’Altura potrebbe ragionevolmente interessare la Marina Indiana (Bharatiya Nau Sena), per acquisto diretto o produzione su licenza, in modo da incentivare le capacità indiane di pattugliamento.

Con scafo lungo 143 metri, per un dislocamento massimo di circa 6.270 tonnellate, la classe Thaon di Revel vanta un armamento abbastanza diversificato, e di fatto si può considerare quasi un cacciatorpediniere, con due cannoni OTO Melara, uno da 127 mm e uno da 76 mm, ottimizzati per munizioni guidate Vulcano e Davide/DART, più celle di lancio per missili Aster e Teseo e capacità di trasporto di 1-2 elicotteri, a seconda del tipo.

L’autonomia è di oltre 9200 km a una velocità di crociera di 15 nodi, poco meno di 28 km/h, mentre la velocità massima è di 32 nodi, quasi 60 km/h. Poiché si tratta di una classe nuova, realizzata da Fincantieri nel Muggiano, è palese che la decisione di inviarne un esemplare in una lunga crociera che toccherà l’India e si spingerà fino alla Corea del Sud e al Giappone è motivata anche dal desiderio di dimostrare le capacità dell’unità e di promuovere eventuali ordinazioni dalle marine alleate.

Nave Morosini, varata nel 2020 e consegnata alla nostra Marina nell’ottobre 2022, ha seguito di pochi mesi la capoclasse Thaon di Revel, varata nel 2019 e consegnata nel marzo 2022. A breve, nel maggio 2023, è prevista la consegna della terza unità, la Raimondo Montecuccoli, che sarà seguita nei ranghi della flotta italiana da altre tre navi gemelle fra 2024 e 2026. E’ chiaro che promuovere la potenziale esportazione, diretta o via costruzione su licenza, della classe Thaon di Revel può contribuire molto ad ammortizzare i costi di produzione per le 7 unità totali previste per la nostra Marina. Inizialmente la Marina ne voleva 16, poi più che dimezzate per motivi di costi.

Al che può essere lieto chiedersi se in futuro un eventuale successo di esportazione per le unità classe Thaon di Revel possa rendere conveniente anche per la nostra Marina acquistare ulteriori unità opzionali.

 

Una squadra navale “contro” la Cina

Ad annunciare che il pattugliatore Morisini sarà seguito nelle acque asiatiche dalla portaerei Cavour e dalla sua squadra, è stato il sottocapo di Stato Maggiore della Marina italiana, ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, che il 14 marzo 2023 è intervenuto personalmente a un convegno organizzato all’Università Cattolica di Milano per onorare la carriera dello storico militare e diplomatico Massimo De Leonardis.

Come vicario del capo di Stato Maggiore ammiraglio Credendino, che era in viaggio nelle stesse ore insieme al ministro della Difesa Guido Crosetto alla volta del Giappone, Berutti Bergotto ha spiegato: “Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 la nostra Marina invierà una squadra portaerei nella regione dell’Indo-Pacifico per operare con gli alleati. Navigherà fino al Giappone, prendendo poi la via del ritorno. La formazione comprenderà la portaerei Cavour e il suo naviglio di scorta, cioè un cacciatorpediniere, una fregata e un rifornitore di squadra. La missione verrà preceduta dall’invio nel Pacifico del pattugliatore d’altura Morosini, che compirà una crociera addestrativa di 4 mesi”.

La portaerei Cavour, varata nel 2004 da Fincantieri a Muggiano e operativa dal 2009, è lunga 244 m e disloca quasi 30.000 tonnellate. Può portare da 22 a 36 velivoli, tra aerei da caccia ed elicotteri e l’armamento principale comprende 32 missili antiaerei Aster e due cannoni Oto Melara da 76 mm. L’autonomia è di quasi 13.000 km alla media di 16 nodi (29 km/h) mentre la velocità massima è sui 29 nodi, circa 52 km/h.

La scorta adombrata per la missione indo-pacifica, di cui non sono state ancora specificate le unità, potrebbe essere composta, intuibilmente, da un cacciatorpediniere classe Andrea Doria/Orizzonte, da 7.700 tonnellate, da una fregata classe Bergamini, da 6.900 tonnellate, e da un rifornitore di squadra classe Stromboli, da 8.700 tonnellate. Sembra assodato che in previsione della missione, la Cavour possa anche schierare a bordo, per la prima volta con piena operatività, i nuovi caccia supersonici stealth Lockheed-Martin F-35B Lightning II, al fianco degli assai più attempati subsonici McDonnell Douglas/Bae AV-8B Harrier II+.

I primi F-35B consegnati alla Marina Militare italiana da Lockheed hanno effettuato appontaggi sulla Cavour dal dicembre 2022.

Poi, quando la portaerei ha partecipato, dal 20 al 28 febbraio 2023, alle esercitazioni NATO Neptune Strike 23 nel Mediterraneo, combinando la propria proiezione aerea con quelle della portaerei americana George W. Bush e della spagnola Juan Carlos I, ancora gli F-35B hanno operato insieme agli AV-8B.

La portaerei Cavour, prima di salpare per i mari d’Oriente, sarà sottoposta a partire da metà maggio a lavori di manutenzione che, un po’ inaspettatamente, si svolgeranno nel bacino di carenaggio della Fincantieri di Palermo, anziché negli analoghi impianti di Taranto, come era d’uso abituale.

Ciò ha dato adito anche a polemiche politiche, come la protesta del senatore Mario Turco del Movimento 5 Stelle, che ha scritto: “La decisione di Fincantieri e del Ministero della Difesa in merito al trasferimento da Taranto a Palermo, a partire da metà maggio, delle attività di manutenzione della portaerei Cavour, nave Ammiraglia della Marina Militare italiana, desta non poche preoccupazioni.

Ciò avrebbe un pericoloso impatto economico e occupazionale che ricadrebbe sul sistema delle imprese navalmeccaniche di Taranto, che avevano eseguito tali attività negli ultimi anni”.

Risvolti economici a parte, non si sa se la decisione di affidare al bacino di Palermo la manutenzione della portaerei in vista della missione in Oriente sia, o no, legata ai timori di vagheggiate infiltrazioni dello spionaggio cinese a Taranto, ma non sembra casuale che proprio negli stessi giorni, a partire dal 23 marzo scorso, sia emerso su numerosi giornali della stampa nazionale l’interesse di almeno due società a controllo cinese per piattaforme commerciali nella parte civile del porto pugliese.

Si tratta di Ferretti Group, controllata dal gruppo cinese Weichai, e della Progetto Internazionale 39 di Gao Shuai, che ci permettiamo di citare unicamente perché già citate da numerose altre testate, e di cui comunque ricordiamo la possibilità di totale estraneità a fatti di tipo strategico.

Che il governo della Cina comunista abbia fitti contatti con il mondo imprenditoriale cinese non è certo una novità. Non si è chiaramente in grado di stabilire, allo stato attuale, se queste, oppure altre aziende possano costituire, oppure no, reali pericoli di spionaggio in un porto come quello di Taranto, con le infrastrutture civili così vicine a quelle militari. In linea di principio, ogni edificio civile abbastanza vicino a un bacino di carenaggio militare o a un porto può offrire copertura per osservazione ottica, se non elettromagnetica a distanza, in grado di rilevare, per esempio, la forma di nuove strutture installate su uno scafo.

Una presenza commerciale cinese a Taranto, come in tanti altri porti d’Italia e del mondo, può quindi plausibilmente fungere da “cavallo di Troia”, costituendo una “antenna” locale di intelligence, mascherata in edifici, container o natanti civili. Come del resto è sempre avvenuto nella secolare storia dello spionaggio navale, dato che porti e cantieri navali sono sempre stati fra i più ambiti obbiettivi di intelligence.

Basti rammentare, come esempio curioso d’altri tempi, che nel 1942 la Regia Marina italiana allestì un osservatorio occultato nella cosiddetta “Villa Carmela”, residenza di un tecnico della X MAS, Antonio Ramognino, e di sua moglie Conchita, spagnola. Sorgeva su un’altura a Puenta Maiorga, sulla baia di Algeciras, nella Spagna neutrale, e vantava una splendida vista sulla vicinissima base britannica di Gibilterra, grazie a una speciale finestra-osservatorio opportunamente mascherata dietro una gabbietta di pappagallini!

 

Il rinnovato asse Roma-Tokyo

Pur in un contesto diversissimo da quello della Seconda Guerra Mondiale, il rinnovamento di una sorta di asse Roma-Tokyo, sancito dalla visita in Giappone del ministro Crosetto e dal suo incontro con il titolare della Difesa nipponica, Yasukazu Hamada, fa trasparire per la nostra Marina un impegno duraturo nelle acque orientali, di cui la missione apripista della Morosini e quella “muscolare” della squadra guidata dal Cavour costituiranno solo gli inizi.

Il ministro Crosetto ha dichiarato il 16 marzo: “Una volta Indo-Pacifico e Mediterraneo erano aree considerate lontane tra loro. Oggi, invece, il mondo è diventato sempre più piccolo, le crisi sono aumentate e probabilmente in questo decennio la situazione peggiorerà. Il futuro del Mediterraneo dipende da ciò che succede nell’Indo-Pacifico e viceversa. Ed è per questo motivo che le nostre Nazioni devono lavorare e cooperare insieme. Soltanto unendo le forze riusciremo a contrastare la grandezza dei problemi e le sfide future”.

Al vertice ha partecipato anche il ministro della Difesa britannico Ben Wallace e, come noto, i tre paesi hanno confermato l’intenzione già espressa nel 2022 di unificare i rispettivi programmi per un aereo da caccia futuro, l’F-X giapponese e il Tempest anglo-italiano, in quello che è stato battezzato Global Combat Air Programme (GCAP).

Più in generale, l’inizio di una collaborazione operativa fra la Marina italiana e la giapponese Kaijō Jieitai, ovvero quella che in inglese viene definita Japan Maritime Self-Defense Force, e in prospettiva con altre marine alleate filoamericane dell’Asia, segue un po’ una scia già tracciata dalla Gran Bretagna quando segnò il grande ritorno della Royal Navy in Estremo Oriente in occasione della prima grande missione operativa della nuova portaerei Queen Elizabeth (nella foto sotto).

L’inconfondibile unità inglese contraddistinta da due “isole” a dritta del ponte di volo, infatti, compì dal maggio al dicembre 2021 una lunga crociera operativa attraverso Mediterraneo, Canale di Suez, Oceano Indiano e Oceano Pacifico, arrivando fino a Corea del Sud e Giappone e addestrandosi insieme alla flotta nipponica. Attorno alla Queen Elizabeth si formò per l’occasione un Carrier Strike Group 21, formato da 10 unità, di cui 8 britanniche, fra le quali il sottomarino Astute, una americana, il cacciatorpediniere The Sullivans di classe Arleigh Burke, e una olandese, la fregata Eversten di classe De Zeven Provincien.

Che un modello simile sia previsto anche per la progettata missione asiatica della Cavour, con eventuali aggregazioni di unità alleate per sperimentare interoperabilità e affiatamento, è troppo presto per poterlo affermare, sebbene possa essere plausibile. E non solo per meri motivi militari, bensì politici, per lanciare alla Cina, segnatamente, un messaggio di compattezza e prontezza nel caso di un peggioramento della crisi nello stretto di Taiwan.

Anche se le analisi prevalenti in questi mesi tendono a prevedere un ipotetico tentativo cinese di invasione dell’isola democratica attorno al 2027, sulla base dei programmi in atto da parte cinese per migliorare le proprie capacità, soprattutto in sbarco anfibio, resta il timore che Pechino possa essere tentata di anticipare i tempi nel caso di peggioramento della situazione in Europa, con allargamento del conflitto ucraino che inevitabilmente costringerebbe gli Stati Uniti a impegnarsi in forze lontano dal Pacifico.

Il vertice tenutosi a Mosca dal 20 al 22 marzo scorsi fra il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping non fa che rafforzare il sospetto di una coordinazione sotterranea fra i due colossi, accomunati dalla messa in discussione dell’egemonia statunitense sul pianeta. In un contesto simile, l’Italia non può certo far mancare il suo peso sulla bilancia, essendo già un attore marittimo di primo piano in ambito NATO, sia nel Mediterraneo propriamente detto, sia nel concettuale Mediterraneo Allargato, con l’area d’interesse precipua della nostra flotta ampliata, in difesa della stabilità, della libertà di navigazione e degli approvvigionamenti trasportati per nave, ai mari attorno all’Africa e all’Arabia.

Segnatamente, basti ricordare le missioni antipirateria Gabinia, nel Golfo di Guinea, Atalanta, nel Golfo di Aden, ed EMASOH nell’area dello Stretto di Hormuz, il più noto “collo di bottiglia” per le petroliere. Perchè quini esimersi dall’operare nel Pacifico? Anzi, ritornarci!

 

“Ritorno al futuro”

In effetti, la missione che fra poco meno di un anno sarà compiuta dalla squadra della Cavour in Estremo Oriente rappresenterà non tanto un esordio, quanto il ripristino di una presenza navale italiana in quelle acque che era piuttosto frequente nell’epoca in cui la nostra Marina era ancora Regia.

Presenza in sostanza dimenticata dai più, se si escludono ottimi lavori, tuttora validissimi, come l’ampio articolo di Ciro Paoletti “La Divisione Navale dell’Estremo Oriente”, uscito su Rivista Italiana Difesa nel settembre 2002, oltre un ventennio fa. Per accennare solo ad alcuni tratti salienti di una storia che merita attenzione, già nel 1866, appena cinque anni dopo l’unità d’Italia, incrociò nei mari cinesi la pirocorvetta Magenta. Nel 1898, su impulso dell’ammiraglio Felice Napoleone Canevaro, ministro della Marina nel governo Di Rudinì e poi degli Esteri nel governo Pelloux, fu creata la Divisione Navale dell’Estremo Oriente, come supporto militare alla conquista italiana in Cina di concessioni da parte della decadente dinastia imperiale Qing-Manciù.

La Divisione Estremo Oriente ebbe come sua prima formazione gli incrociatori Marco Polo ed Elba, via via rinforzati e poi sostituiti da altre unità a turnazione. Nel giugno 1900 vari distaccamenti di marinai italiani parteciparono a quella che è considerata la prima operazione di “polizia internazionale” in chiave moderna, cioè la repressione della rivolta dei Boxers in Cina. Parte dei marinai contribuì insieme ad altri contingenti europei alla difesa del quartiere di Pechino che ospitava le legazioni straniere.

Parte fu sbarcata dall’incrociatore Calabria presso Tientsin. Nel 1914 arrivò sullo Yangze, il “Fiume Azzurro”, la regia cannoniera Caboto, per pattugliamento fluviale, poi nel 1922 ritornò in Cina il Calabria, che nel settembre 1923 accorse in aiuto del Giappone, colpito dal disastroso terremoto del Kanto, che aveva raso al suolo Tokyo e Yokohama.

Navi e marinai italiani continuarono per anni a proteggere le concessioni italiane durante l’aggravarsi della guerra civile cinese e il successivo inizio dell’invasione giapponese. Nell’agosto 1937 fu inviato di rinforzo l’incrociatore Montecuccoli, insieme al Conte Biancamano, da cui sbarcarono a Tientsin marò del reggimento San Marco e fanti dei Granatieri di Savoia per proteggere le concessioni occidentali insieme a soldati anglo-americani. Nel 1938 il Montecuccoli fu rilevato dall’incrociatore Colleoni, che rientrò però in Italia nel 1939, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. La nuova alleanza dell’Italia con Germania e Giappone imponeva di fatto di lasciare mano libera al Sol Levante in Asia. Nel 1941, quando scoppiò la guerra del Pacifico, erano di base in Cina solo 4 navi leggere italiane, come la cannoniera Carlotto.

Poi ci fu una certa spola di sommergibili oceanici, come il Cappellini e il Barbarigo, che nel 1943 salpavano dalla base Betasom di Bordeaux, per raggiungere il Giappone carichi di materiali strategici.

L’armistizio dell’8 settembre 1943, con l’internamento degli equipaggi e l’autoaffondamento di molte unità, segnò di fatto la fine della Divisione Navale Estremo Oriente della Regia Marina, sebbene un paio di sommergibili con equipaggi fedeli a Mussolini e alla Repubblica di Salò, il Cappellini e il Torelli, operassero ancora nel Pacifico nel 1944-1945, ma inquadrati nella Kriegsmarine tedesca. Nel dopoguerra la presenza della Marina Militare italiana nel Pacifico tornò a essere sporadica, pur con episodi di rilievo.

Per esempio, fra il luglio e l’agosto 1979 gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria, appoggiati dal rifornitore di squadra Stromboli, vennero inviati a Singapore per una delle prime importanti operazioni umanitarie delle nostre forze armate. Dalla penisola della Malacca, le navi italiane operarono nel Golfo del Siam e nel Mar Cinese Meridionale per soccorrere e raccogliere i cosiddetti “boat people”, i profughi vietnamiti che su imbarcazioni di fortuna lasciavano il loro paese, da pochi anni unificato sotto il regime comunista di Hanoi, dopo la presa di Saigon del 1975.

 

Mari affollati

La nostra portaerei e le sue navi di scorta salperanno, come detto alla fine di quest’anno, in una data ancora imprecisata. La stesura di una tabella di marcia dettagliata è ancora in divenire. Dipenderà infatti dai tempi necessari a organizzare una crociera che pone sfide logistiche. Per non lasciare sguarnito il Mediterraneo, infatti, si attende che raggiunga l’operatività la Trieste, classificata “portaelicotteri da assalto anfibio”, ma di fatto anch’essa una portaerei. mentre resta disponibile anche il più vecchio incrociatore portaeromobili Garibaldi.

Con 244 m di lunghezza e un dislocamento massimo di 38.000 tonnellate, la Trieste è attualmente impegnata nel completamento delle prove di mare e verrebbe consegnata alla Marina nei prossimi mesi, comunque entro il 2023. Potendo imbarcare e far operare anche caccia AV-8B ed F-35, può rappresentare di fatto una supplente del Cavour in fatto di aviazione imbarcata nei lunghi mesi in cui la seconda sarà nei mari asiatici.

Inviare una squadra di almeno 5 navi nell’Indo-Pacifico, in concomitanza con la permanente allerta della NATO a causa della guerra in Ucraina e con la crescente sfida portata dalla Russia nel Mediterraneo, implica per l’Italia uno sforzo in più per mantenere nelle nostre acque una presenza continuativa.

Nei giorni scorsi l’ammiraglio Credendino ha rilevato: “L’aumento della flotta russa nel Mediterraneo ci costringe a tenere in mare 20 navi in permanenza”. L’ammiraglio Berutti Bergotto ha aggiunto: “La punta attuale è di 27 navi italiane in mare, fra cui un sottomarino. Le navi russe in Mediterraneo sono all’incirca fra 10 e 12. Fanno capo alla base di Tartus, in Siria, che può accogliere anche grandi unità, ma non è attrezzata per una manutenzione completa. Perciò le unità russe si avvicendano spesso tornando ai rispettivi porti di partenza”.

Il vicecapo di Stato Maggiore della Marina non ha escluso che i russi possano creare un grande approdo alle isole Dahlak, nel Mar Rosso, d’intesa col governo dell’Eritrea, come si vocifera almeno dal 2021, ma per ora si appoggiano di tanto in tanto alla base che la Cina ha aperto a Gibuti fin dal 2017 e che costituisce la sua prima base all’estero.

Peraltro, il Sudan va ripetendo che presto concederà ai russi una base sulla sua costa, a Porto Sudan. Ma è Gibuti, incuneata allo sbocco dello stretto di Bab El Mandeb, e cerniera fra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, che appare, al secondo posto dopo il Canale di Suez, il fulcro di quella vera propria “dorsale acquatica” che dall’Atlantico e da Gibilterra, via Mediterraneo-Suez-Oceano Indiano, si spinge fino allo stretto della Malacca e alle porte del Pacifico. Ex-colonia francese, Gibuti ospita ovviamente una base navale della flotta di Parigi, Heron, che conta 3.000 uomini.

Il governo gibutino, per incassare milioni di dollari, ha via via concesso a diverse nazioni straniere porzioni del suo territorio, in pratica “affittando” la sua posizione strategica.

E ciò senza curarsi dei rischi di coabitazione fra paesi spesso rivali. In tal modo, già dal 2002 gli americani si sono insediati nella vicina Camp Lemonnier (nella foto sopra), con approdo e pista aerea. Gli USA vi impiegano 4.000 uomini per le azioni antiterrorismo in Somalia e Yemen. Nel 2011 sono arrivati a Gibuti i giapponesi, che per la sorveglianza antipirateria hanno aperto la loro prima base estera, con 180 soldati.

Nel 2014, è stata la volta dell’Italia, con un avamposto da 300 uomini intitolato al “comandante diavolo” Amedeo Guillet, eroe nel 1941 contro gli inglesi. E in effetti la presenza italiana nel Corno d’Africa non è certo fuori luogo, date le note motivazioni storiche e l’afferenza dell’area al Mediterraneo Allargato. Infine la Cina s’è insinuata a Gibuti, appunto nel 2017, una base da 2000 uomini presso cui fanno scalo anche unità russe. Gli americani hanno protestato invano per la presenza dei cinesi, accusati talvolta di aver molestato con laser i piloti degli aerei in atterraggio a Camp Lemonnier.

 

Linee esterne

Che a Gibuti abbiano sede una base giapponese e una cinese conferma che già da qualche anno il teatro euro-mediterraneo, quello indo-arabico e quello pacifico si vanno intrecciando, anzi, sono soggetti a una vera e propria osmosi e fusione. Ed è in questo processo che acquisisce il suo significato strategico la crociera della squadra della Cavour.

La “dorsale” dal Mediterraneo al Pacifico via Mar Rosso-Oceano Indiano appare infatti come la principale spina dorsale marittima dell’Eurasia, sia per quanto riguarda il traffico di mercantili e petroliere, sia riguardo ai suoi riflessi militari, in termini di protezione di rotte e traffici “amici” e interdizione, almeno potenziale, di quelli “nemici”. Russia e Cina si stanno configurando sempre più come un “campo” del mondo contrapposto al “campo” occidentale, che sotto l’egemonia degli Stati Uniti aggioga anche democrazie orientali come Giappone e Corea del Sud, ma con l’India che abilmente si destreggia tra ambo gli schieramenti.

Poichè Russia e Cina si coprono rispettivamente le spalle sul continente eurasiatico, per vie marittime di collegamento hanno a disposizione quella artica, sempre più praticabile a causa del disgelo, e la citata dorsale Indo-Pacifica.

Per superare l’immensa massa dell’Eurasia via mare, infatti, non ci sono che due vie, aggirarla lungo la via del Nord o lungo quella del Sud. Del consolidamento della rotta artica hanno parlato anche Putin e Xi nei loro incontri del 20-22 marzo, in particolare prospettando un aumento di collaborazione rendendo disponibili più porti siberiani come terminal e scalo per i mercantili cinesi.

La via artica può aiutare a rafforzare il più generale piano cinese per la Nuova Via della Seta, avendo il vantaggio di essere coperta per l’intera lunghezza, dalla costa della Russia, con difese ravvicinate che renderebbero molto difficile alla NATO interdirla. Navi e aerei occidentali non potrebbero infatti, se non con altissimi rischi, avventurarsi nello stretto canale di acque libere fra la costa settentrionale russa, con tutte le sue basi, e la pur arretrata calotta glaciale. La rotta artica sarebbe pericolosa per russi e cinesi solo a partire dalle acque vicine alla Norvegia e allo sbocco sull’Atlantico in corrispondenza del catenaccio del GIUK Gap (Greenland, Iceland, United Kingdom).

La via artica, insomma, è per l’asse Russia-Cina più sicura militarmente, ma meno competitiva dal punto di vista commerciale, poiché il grosso dei traffici avviene e avverrà ancora, lungo la citata “dorsale” a Sud, vera anima principale della Nuova Via della Seta. Essa vanta l’accesso a una serie di popolosi paesi dell’Asia Meridionale, tanto che uno dei terminali del commercio cinese è il porto di Gwadar, in Pakistan, collegato alla Cina per ferrovia e utilizzato come scalo anche da navi militari di Pechino. Poi, mediante Suez, la “dorsale” giunge ai porti dell’Europa, anche grandi porti italiani come Gioia Tauro, e del Nordafrica.

Ma questa rotta è militarmente più vulnerabile, poiché tradizionalmente battuta da secoli da navi da guerra occidentali, senza contare che anche le basi russe o cinesi nell’area, esistenti o programmate, sono relativamente isolate e lontane dalle rispettive patrie. Un’opera prolungata di pattugliamenti congiunti fra le marine alleate lungo la direttrice dal Mediterraneo al Pacifico costituisce così una vera manovra per linee esterne che consente alla NATO e agli alleati estasiatici di portarsi reciproco aiuto e di poter minacciare, potenzialmente, un vero blocco navale contro il commercio cinese.

Commercio che è un tallone d’Achille notevole per Pechino, dato che il decollo industriale e militare del Dragone si è basato, da oltre vent’anni a questa parte, soprattutto sulle esportazioni a basso costo in tutto il mondo.

La missione della Cavour in Oriente può significare quindi per la Marina italiana l’inizio di una nuova stagione di periodici impegni a distanze enormi, lungo questa direttrice strategica, con comprensibili tempi lunghi di assenza dal teatro mediterraneo di navi e uomini.

Se la Marina Militare italiana vuole quindi aumentare la frequenza di invio di navi in Asia, ma senza sguarnire il Mediterraneo Allargato, dovrò optare per un aumento della sua linea di combattimento, per poter disporre di un numero superiore di unità, oppure riuscire a comprimere i tempi dei cicli di manutenzione, per riuscire a tenere in mare, pur con grande sforzo, un numero più alto di navi e sottomarini nello stesso momento.

In alternativa, per “fare numero” senza varare troppe unità è prevedibile che l’interoperatività fra flotte alleate, includendo a questo punto anche quelle sudcoreana e giapponese e forse, ufficiosamente, taiwanese, potrebbe essere spinta alla formazione di squadre multinazionali permanenti o semi-permanenti. Del resto, il moto è reciproco anche in senso Est-Ovest e, come nel Mediterraneo si sono già viste navi cinesi, sempre più frequentemente potrebbero vedersi anche cacciatorpediniere o fregate di Seul e Tokyo.

Senza dimenticare che il Giappone aveva inviato già fra il 1917 e il 1918 in Mediterraneo una flotta forte di un incrociatore e 8 cacciatorpediniere per la lotta antisommergibile al fianco della nostra Regia Marina, quando, da alleati dell’Intesa, il comune nemico erano gli U-Boote tedeschi e austroungarici. Come si vede, nulla di davvero nuovo nella Storia, ma perpetue oscillazioni, come le onde del mare.

Foto: Marina Militare, Royal Navy, Xinhua e US DoD

 

 

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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