Spese militari e aiuti all’Ucraina: valutazioni a confronto

 

Spese militari da aumentare, valutare e interpretare in termini assoluti e di percentuale sul PIL.  Gli aiuti all’Ucraina e la disputa tra USA ed Europa su chi ne ha forniti di più. Miliardi  di cui oggi Washington chiede un pesante risarcimento in termini di risorse minerarie.  E poi le diverse valutazioni dei centri studi, sempre interessanti ma non sempre neutrali.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza sulla pioggia di cifre e studi che circolano in questi giorni.

 

Gli aiuti all’Ucraina

Nei tre anni di guerra in Ucraina gli alleati di Kiev hanno stanziato circa 267 miliardi di euro (quindi oltre 80 miliardi l’anno) di cui la metà (cioè 130 miliardi) in assistenza militare, altri 118 in aiuti finanziari e 19 miliardi in aiuti umanitari.

Gli Stati Uniti sono la nazione che ha fatto di più in termini di sostegno a Kiev ma tutti i paesi europei insieme hanno dato all’Ucraina più degli Stati Uniti in termini di denaro, come evidenzia l’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute che nei giorni scorsi ha pubblicato un ampio rapporto.

L’Europa ha destinato nel complesso a Kiev 132 miliardi di euro (70 in aiuti finanziari e umanitari e 62 in aiuti militari) contro i 114 miliardi degli USA, 64 in armi e 50 in aiuti finanziari e umanitari.

Si tratta quindi di una cifra ben lontana dai 350 miliardi di dollari enunciati da Trump e dai 500 miliardi che gli USA vorrebbero incassare con lo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine a titolo di risarcimento.

I paesi scandinavi e dell’Europa orientale si sono distinti per il loro contributo in rapporto al Pil, con Estonia e Danimarca che ne hanno destinato oltre il 2,5% all’assistenza Ucraina. Al contrario, potenze economiche come Germania, Regno Unito e Stati Uniti hanno speso meno dello 0,2% del loro Pil annuo.

Il contributo di Francia, Italia e Spagna, è quantificato intorno allo 0,1% del Pil. In valori assoluti, la Germania è il donatore più importante d’Europa, con un contributo complessivo di 17 miliardi di euro, seguita dal Regno Unito con 15 miliardi di euro e dalla Danimarca con 8 miliardi di euro.

L’Economist ha fatto notare come Lettonia e Lituania  hanno contribuito per il 2% al loro Pil prebellico. Il Giappone, tuttavia, fornisce più aiuti (ma non militari) di Francia, Italia e Spagna in termini assoluti e in percentuale del suo Pil.

L’11 febbraio fonti diplomatiche a Bruxelles hanno reso noto che nel corso del 2024 gli alleati della NATO hanno fornito all’Ucraina 51 miliardi di euro di aiuti militari, superando ampiamente la quota di 40 miliardi promessa al summit di Washington, con il 60% di queste forniture provenienti dagli alleati europei.

 

Chi gonfia la spesa militare russa?

Il 22 febbraio uno studio dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, diretto da Carlo Cottarelli, ha smentito la recente narrativa, sostenuta soprattutto da fonti statunitensi (come l’IISS)  favorevoli alla crescita dei budget militari europei, secondo cui la spesa militare russa nel 2024 (146 miliardi di dollari) avrebbe superato in termini reali quella europea (457 miliardi di dollari) raggiungendo i 461 miliardi.

Secondo lo studio dell’OCPI, la spesa complessiva dei Paesi europei risulta superiore del 58% rispetto a quella russa, evidenziando un quadro ben diverso da quello diffuso da alcuni media internazionali.

La confusione – scrive l’OCPI – nasce dal confronto tra due dati non coerenti tra loro, la formula Defence Expenditure utilizzata per la Russia e Defence Budget utilizzata per l’Europa. Se si utilizzasse anche per l’Europa la definizione NATO (Defence Expenditures), la spesa europea salirebbe a 493,1 miliardi (1,9% del Pil), oltre trenta miliardi sopra la spesa russa.

L’OCPI rileva poi un secondo errore presente nello stesso studio dell’IISS in cui la spesa militare russa viene valutata a tassi di cambio PPP (dollari internazionali) mentre quella europea è espressa in dollari correnti. Questo sottovaluta la spesa europea perché il livello dei prezzi in Europa è più basso di quello statunitense per un importo significativo (anche se non così significativo come nel caso della Russia).

Anche i dati per l’Europa dovrebbero quindi essere convertiti a tassi di cambio PPP. Così facendo, la spesa militare europea, nella definizione NATO, risulta di 730 miliardi di dollari internazionali nel 2024, ossia il 58% più alta rispetto ai 462 miliardi spesi dalla Russia, conclude l’OCPI.

Valutare la spesa militare russa a 462 miliardi di dollari, cioè ben 316 in più rispetto ai 146 effettivamente stanziati,  sembra confermare che stia tornando in voga la tendenza, molto diffusa durante la prima Guerra Fredda, di gonfiare la spesa militare di Mosca per giustificare alte spese militari, sia perché le ragioni per cui armi e munizioni in Russia costano meno sono legate a valutazioni diverse: accesso ad ampie riserve di materie prime, basso costo dell’energia, produzioni quasi interamente nazionali e aziende a controllo pubblico che hanno azzerato i profitti poiché “lavorano per la patria”, non per gli azionisti come quelle occidentali.

Un’analisi più equilibrata del confronto sulle spese militari metterebbero in discussione la narrazione secondo cui l’Europa sarebbe impreparata a un confronto militare con Mosca, almeno sotto il profilo delle risorse finanziarie assegnate alla Difesa.

Lo studio dell’OCPI sottolinea infatti che la spesa europea, pur essendo superiore a quella russa, soffre di problemi strutturali quali mancanza di coordinamento tra le forze armate dei 27 Stati membri dell’UE e una spesa militare spesso sbilanciata verso il personale piuttosto che verso investimenti in armamenti e innovazione tecnologica.

L’Osservatorio suggerisce cautela nel promuovere un forte aumento delle spese militari in Europa. Un incremento potrebbe essere necessario per quei Paesi, come l’Italia, che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL stabilito dalla NATO, ma non si tratta di una necessità generalizzata.

Più che aumentare i fondi, la priorità dovrebbe essere un loro impiego più razionale ed efficace, con maggiore coordinamento tra gli Stati e una redistribuzione delle risorse verso armamenti e tecnologie avanzate. Inoltre, una maggiore integrazione tra i sistemi di difesa europei potrebbe garantire un utilizzo più efficiente delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni. Raccomandazioni quindi ben diverse da quelle espresse dai fautori di spese per la Difesa raddoppiate o triplicate in Europa.

 

Numeri e interpretazioni

In un mondo che secondo l’IISS ha aumentato la spesa militare complessiva portandola nel 2024 alla cifra record di 2,46 trilioni di dollari, contro i 2,24 trilioni del 2023 (più 7,4%), Mosca spende in termini assoluti un terzo dei paesi europei (146 miliardi pari al 6,7 per cento del PIL) che però affermano di temere l’invasione russa.

Se alla spesa militare europea aggiungiamo quella statunitense nel 2024 si raggiungono i 1.343 miliardi e con quella e canadese la NATO supera i 1.350 miliardi di dollari, oltre nove volte la spesa russa che nel 2025 si prevede raggiungerà il 7,6% per PIL con una crescita rispetto all’anno scorso del 13,7 per cento.

Il confronto non è coerente poiché la spesa militare statunitense e canadese non è certo interamente rivolta al solo teatro operativo europeo, ma è utile a dare l’idea della differenza di risorse finanziarie investite in Occidente rispetto alla Russia che, peraltro, sta combattendo da tre anni una guerra convenzionale prima della quale le sue spese militari erano di circa 70 miliardi di dollari.

Al tempo stesso questa differenza permette di intuire perché gli Stati Uniti chiedano all’Europa di spendere di più, fino al 5 per cento del PIL, nel momento in cui Washington spende per la Difesa il 3,3% e prevede con l’attuale amministrazione di tagliare il budget del Pentagono già dal prossimo anno fiscale di 50 miliardi (l’8 per cento) annui fino a portarlo a fine mandato di Donald Trump da circa 900 a circa 600 miliardi di dollari: una cifra non lontana dalla spesa complessiva delle nazioni europee.

L’obiettivo sembra quindi essere quello di vendere gli europei (sotto la minaccia dei dazi) i sistemi d’arma “made in USA” che in futuro verranno acquistati in misura ridotta per le forze armate statunitensi.

Del resto se i Paesi europei aumentassero la loro spesa militare al tre per cento del PIL, come chiesto dal Segretario generale della NATO, Mark Rutte, il bilancio complessivo aumenterebbe di altri 250 miliardi di dollari superando i 700 miliardi. Se le spese dei Paesi raggiungessero il 5 per cento del PIL, come vorrebbe Trump, si aggiungerebbero 800 miliardi al bilancio complessivo che supererebbe il trilione, cifra mai raggiunta neppure dagli Stati Uniti.

Già oggi il rapporto tra USA ed Europa in termini di spesa militare appare meno squilibrato (in termini finanziari non di capacità militari espresse) se si osserva che i fondi stanziati dagli USA sono poco meno del doppio di quelli europei (886 miliardi contro 457) ma nel bilancio americano va inclusa una possente triade nucleare e il fatto che lo strumento militare è dispiegato in tutto il mondo, principalmente nell’Indo-Pacifico, non solo nel teatro europeo.

Le recenti tensioni negli Stati Uniti ed in Europa circa i negoziati che l’Amministrazione Trump ha varato per chiudere il conflitto in Ucraina, hanno riportato alla ribalta l’ipotesi che l’Europa debba provvedere da sola alla sua difesa.

Uno studio dell’istituto Bruegel e del Kiel Institute for the World Economy stima che l’Europa dovrebbe reclutare 300.000 militari e raddoppiare la sua spesa per la difesa nei prossimi cinque anni per riuscire a difendersi se dovesse fare a meno del supporto degli Stati Uniti.

Per essere autosufficiente in materia di difesa, l’Europa dovrebbe spendere 250 miliardi di euro in più all’anno nel breve termine per creare 50 nuove brigate con 300.000 nuovi soldati e compensare i soldati statunitensi oggi in Europa e quelli che arriverebbero nel caso di un attacco alla NATO.

Andrebbero acquisiti 1.400 carri armati, 2.000 veicoli da combattimento per la fanteria e 700 pezzi di artiglieria. Lo studio ricorda anche che la crescita della spesa nella difesa stimata dalla NATO al 3,5% del PIL sarebbe sufficiente solo nel caso in cui gli Stati Uniti mantenessero la loro presenza in Europa.

“Un attacco russo a un paese dell’Unione Europea” è “concepibile”, afferma tra l’altro lo studio. “Le valutazioni di NATO, Germania, Polonia, Danimarca e Stati baltici indicano la Russia pronta ad attaccare entro 3/10 anni.”

Secondo il Bruegel e il Kiel Institute, per sostituire gli Stati Uniti nel sostegno all’Ucraina, l’Ue dovrebbe spendere solo un altro 0,12 percento del suo Pil, “una cifra fattibile. Una domanda più importante è se l’Europa potrebbe farlo senza accesso alla base militare-industriale degli Stati Uniti”.

Come appare evidente, lo studio punta a evidenziare il rischio di un attacco russo all’Europa sottolineando la necessità del massiccio riarmo europeo e al tempo stesso la fattibilità di un sostegno militare europeo a lungo termine all’Ucraina affinché continui a combattere.

 

Fidarsi dei think-tank?

Una tendenza piuttosto diffusa nei think-tank non solo europei. Basti pensare che da quando Trump ha criticato il presidente ucraino lasciando intendere la chiara volontà di giungere a un accordo con Mosca, l’Institute for the Study of the War, centro studi neocon vicino da sempre alla causa di Kiev, ha cominciato a pubblicare in pochissimi giorni studi di “contro-narrazione” che dimostrerebbero, ad esempio, i fallimenti russi nello sconfiggere gli ucraini nonostante “le quantità impressionanti di manodopera e attrezzature” impiegati nelle operazioni offensive.

Tale narrazione, a cui ISW ci ha abituati, si basa su due punti specifici: ridimensionare il valore delle conquiste territoriali russe e sottolineare che le perdite di Mosca, umane e materiali, sono altissime, molto più elevate di quelle ucraine. Teoria sostenuta finora da tutti in Occidente (ucraini, USA ,UE e NATO) ma che appare bizzarra e smentita da diversi ufficiali ucraini intervistati dai media occidentali, dal momento che i tutti riconoscono che i russi detengono una assoluta superiorità numerica di truppe e mezzi e una potenza di fuoco, aereo e d’artiglieria, molte volte maggiore di quella degli ucraini.

La conclusione dell’ISW è che “la Russia ha pagato un prezzo esorbitante in perdite di manodopera e attrezzature che non può sostenere a medio termine per guadagni molto limitati”. Più o meno quello che media e centri studi scrivevano già fopo i primi mesi di guerra.

Per capire dove vuole andare a parare l’ISW occorre leggere un altro brano: “L’effettivo fallimento di queste importanti e costose operazioni offensive russe evidenzia le opportunità che l’Ucraina ha di infliggere sconfitte sul campo di battaglia più gravi alla Russia che potrebbero costringere Putin a riconsiderare il suo approccio alla guerra e ai negoziati se gli Stati Uniti e l’Occidente continuano a fornire un supporto essenziale”.

Il messaggio è che non bisogna credere che i russi stiano vincendo la guerra, basta continuare ad armare gli ucraini e le armate putiniane, già allo stremo dopo pesanti perdite e sconfitte, crolleranno.

Non stupisce che l’ISW non sottolinei la carenza di truppe addestrate nei ranghi ucraini e che le forze di Kiev hanno perso l’iniziativa sui fronti ucraini fin dal novembre 2023, quando terminò la disastrosa controffensiva ucraina che in sei mesi vide le truppe di Zelensky perdere 5 chilometri quadrati ogni 4 riconquistati, quelli si a prezzo di gravi perdite.

Un altro report dell’ISW, pubblicato pochi giorni or sono sottolinea che Vladimir Putin “difficilmente smobiliterà le forze militari in caso di cessate il fuoco perché ha paura dei suoi veterani”.

Secondo l’ISW “il Cremlino probabilmente teme l’instabilità politica come quella seguita al ritiro sovietico dall’Afghanistan nel 1988-1989. Putin teme i rischi e le sfide associati alla reintegrazione di oltre 700.000 veterani nella società russa e quindi è improbabile che si smobiliti completamente o rapidamente, anche in caso di una soluzione negoziata alla sua guerra in Ucraina.”

Varrebbe la pena ricordare che la guerra afghana fu una sconfitta dell’URSS mentre dall’aria che tira oggi sembra che quella in Ucraina costituirà una vittoria della Russia.

Dopo essere sopravvissuto miracolosamente ai colpi di stato ipotizzati e auspicati da tanti analisti occidentali e a una dozzina di malattie mortali diagnosticate da esperti che esaminavano i suoi video, Vladimir Putin dovrà domani fare i conti con i veterani di guerra. Anche in questo caso le ultime righe del report spiegano dove vuole andare a parare l’ISW.

“Gli Stati Uniti e gli alleati dell’Ucraina devono considerare la paura del Cremlino di gruppi di veterani emergenti della società civile e della smobilitazione quando valutano la posizione negoziale della Russia e i requisiti per una pace duratura in Ucraina e in Europa”.

@GianandreaGaian

Foto: MSC, TASS,OCPI e MAGA

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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