Il colloquio tra Trump e Putin mette all’angolo Zelensky e l’Europa

Il colloquio telefonico tra Vladimir Putin e Donald Trump, durato circa due ore e mezza, è stato definito molto positivo sia da Mosca che da Washington e anche se non poteva garantire risultati immediati sul tema della fine delle ostilità in Ucraina sembra comunque aver conseguito qualche risultato tangibile.
“È una cosa importante, un cessate il fuoco immediato su energia e infrastrutture. Porterà ad altre cose“, ha detto Trump. “Penso che alla fine faremo un accordo. È un buon inizio” in vista di “probabilmente un cessate il fuoco completo al momento opportuno. È difficile in questo momento perché hai persone che si guardano attraverso la canna dei fucili. Ma la prossima cosa sarebbe un cessate il fuoco totale e un accordo“. Una prospettiva che Trump ha definito “non lontana. Penso che si andrà abbastanza velocemente“.
Trump ha sottolineato il suo ruolo decisivo. “Non voglio entrare nei dettagli, ma ci sono buone ragioni per cui Putin farebbe un accordo. Ma se io non fossi qui, non lo farebbe mai. Non voglio che la gente muoia e non mi piace il fatto che abbiamo speso, a mio parere, 350 miliardi di dollari, senza ottenere nulla in cambio. “Putin è stato molto solido, molto forte, come è nel suo stile. È stata una telefonata molto buona. Lo conosco molto bene. Penso che sia davvero serio nel voler porre fine a tutto questo”.
Un comunicato sul sito del Cremlino esprime la soddisfazione di Mosca per il colloquio in cui i leader “hanno continuato il loro dettagliato e franco scambio di opinioni sulla situazione che circonda l’Ucraina. Vladimir Putin ha espresso gratitudine a Donald Trump per il suo impegno nel raggiungere il nobile obiettivo di porre fine alle ostilità e alla perdita di vite umane.
Confermando il suo impegno fondamentale nel trovare una risoluzione pacifica al conflitto, il Presidente della Russia ha espresso la volontà di elaborare a fondo possibili soluzioni in cooperazione con i partner americani, volte a raggiungere un accordo che sarebbe completo, affidabile e duraturo e, naturalmente, terrà conto dell’esigenza essenziale di eliminare le cause profonde della crisi, nonché dei legittimi interessi di sicurezza della Russia.
Per quanto riguarda la proposta del Presidente degli Stati Uniti di dichiarare un cessate il fuoco di 30 giorni, la parte russa ha delineato una serie di punti significativi riguardanti la garanzia di un controllo efficace su un possibile cessate il fuoco lungo l’intera linea del fronte, nonché la necessità di fermare la mobilitazione forzata in Ucraina e il riarmo delle Forze armate dell’Ucraina. È stato osservato che esistono alcuni gravi rischi relativi all’intrattabilità del regime di Kiev che ha ripetutamente sabotato e violato gli accordi negoziati. È stata posta l’enfasi sugli atti barbarici di terrorismo commessi dai militanti ucraini contro i civili residenti nella regione di Kursk.
È stato sottolineato che la cessazione completa della fornitura a Kiev di aiuti militari e intelligence stranieri deve diventare la condizione fondamentale per prevenire un’escalation del conflitto e progredire verso la sua risoluzione attraverso mezzi politici e diplomatici.
Riferendosi al recente appello di Donald Trump a risparmiare le vite dei militari ucraini circondati nella regione di Kursk, Vladimir Putin ha confermato che la parte russa era disposta ad abbracciare motivazioni umanitarie e ha garantito che i soldati delle Forze armate ucraine vivrebbero e sarebbero trattati equamente in conformità con la legislazione russa e il diritto internazionale in caso di resa.
Durante la conversazione, Donald Trump ha avanzato una proposta affinché le parti si astengano reciprocamente dagli attacchi alle infrastrutture energetiche per 30 giorni. Vladimir Putin ha risposto favorevolmente alla proposta e ha immediatamente impartito l’ordine pertinente alle truppe russe.
Altrettanto favorevole è stata la risposta del Presidente russo al suggerimento di Donald Trump di attuare una nota proposta riguardante la sicurezza della navigazione nel Mar Nero. I leader hanno concordato di avviare colloqui per elaborare ulteriormente i dettagli specifici di tale accordo”.
Putin ha inoltre aggiunto che oggi russi e ucraini si scambieranno ciascuno 175 prigionieri. Inoltre, come gesto di buona volontà, saranno rimpatriati anche 23 soldati ucraini gravemente feriti che attualmente ricevono assistenza presso strutture mediche russe.
Il comunicato del Cremlino specifica che “i leader hanno confermato la loro intenzione di continuare gli sforzi volti a raggiungere un accordo bilaterale in Ucraina, tenendo in particolare considerazione le suddette proposte del Presidente degli Stati Uniti. A tale scopo, sono ora in fase di formazione una task force di esperti russi e una americana”.
Come è emerso anche da fonti statunitensi Putin e Trump hanno anche affrontato altre questioni internazionali, tra cui la situazione in Medio Oriente e nella regione del Mar Rosso, dove sono riprese le ostilità a Gaza e nello Yemen.
Il Cremlino riferisce che “saranno fatti sforzi congiunti per stabilizzare la situazione nei punti di crisi e stabilire una cooperazione sulla non proliferazione nucleare e sulla sicurezza globale. Ciò contribuirà a sua volta a migliorare l’atmosfera generale delle relazioni tra Russia e Stati Uniti. Un esempio positivo è il recente voto all’ONU su una risoluzione sul conflitto in Ucraina, in cui i due paesi hanno allineato le loro posizioni”.
In aggiunta “i leader hanno espresso reciproco interesse nel normalizzare i legami bilaterali alla luce della speciale responsabilità di garantire la sicurezza e la stabilità globali sostenuta sia dalla Russia che dagli Stati Uniti. In tale contesto, hanno affrontato un’ampia gamma di aree in cui i due paesi potrebbero stabilire una cooperazione, discutendo diverse idee volte a promuovere potenziali legami di reciproco interesse in economia ed energia”.
Non è difficile notare che il Cremlino tende a evidenziare, al di là dei temi legati al conflitto, la volontà reciproca di ristabilire relazioni economiche e politiche tra Mosca e Washington; iniziativa che emargina l’Europa e ne rende ancora più anacronistica la posizione espressa da diversi leader e dai vertici della Ue tesa a prolungare il conflitto e contrastare la Russia.
Appare ad esempio paradossale che mentre USA e Russia puntano a riprendere i rapporti economici Gran Bretagna e Ue discutano la confisca dei beni russi congelati.
In quest’ottica va inserito il dettaglio con cui si chiude il comunicato del Cremlino: “Donald Trump ha espresso sostegno all’idea di Vladimir Putin di organizzare partite di hockey su ghiaccio sia negli Stati Uniti che in Russia tra giocatori russi e americani della NHL e della KHL”.
Bilancio
I risultati concreti emersi dalla lunga telefonata sono lo stop immediato ai bombardamenti russi sulle infrastrutture ucraine per una durata di 30 giorni. Aspetto non irrilevante considerando le gravi difficoltà energetiche in cui versa l’Ucraina ma che probabilmente, anche se Putin non lo ha detto, verrà garantito solo se cesseranno gli attacchi ucraini sul territorio russo.
Dopo la telefonata tra i due presidenti l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff ha precisato che questo accordo valido 30 giorni tra Russia e Ucraina non è ancora stato accettato da Kiev e riguarderebbe “le infrastrutture in generale”, quindi non solo quelle energetiche.
Anche una cessazione delle ostilità sul Mar Nero rappresenta un aspetto interessante che, se realizzato, permetterà all’Ucraina di non subire più attacchi sul porto di Odessa e ai russi di riprendere a utilizzare la base navale di Sebastopoli da cui la flotta del Mar Nero si era ritirata, riparando a Novorossysk, per evitare gli attacchi di missili e droni ucraini. Il ritorno della sicurezza della navigazione nel Mar Nero costituirebbe un vantaggio per tutte le nazioni che si affacciano su questo bacino.
La pacificazione del Mar Nero potrebbe inoltre risultare propedeutica ad un prossimo riconoscimento statunitense della sovranità russa sulla Crimea, ipotesi riferita su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi.
“Secondo due persone a conoscenza della questione, l’amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione Ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev”, si legge nel post del giornalista. Ipotesi che, se sui concretizzasse, spiazzerebbe ulteriormente gli europei.
Witkoff ha dichiarato in un’intervista a Fox News che nuovi colloqui diplomatici tra Stati Uniti e Russia in merito alla guerra in Ucraina si terranno domenica 23 marzo a Gedda in Arabia Saudita. La delegazione americana sarà guidata dal Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e dal Segretario di Stato Marco Rubio. I colloqui – ha detto ancora Witkoff – si concentreranno sui dettagli del cessate il fuoco.
Punti da chiarire
I punti da risolvere per applicare la tregua di 30 giorni al campo di battaglia restano quelli già anticipati da Mosca che pretende lo stop agli aiuti militari e d’intelligence occidentali a Kiev e la sospensione delle attività di mobilitazione (arruolamento e addestramento) delle forze ucraine.
Condizioni necessarie per Putin che in termini militari non avrebbe interesse a sospendere le operazioni che vedono le sue truppe vittoriose e quelle nemiche sempre più in difficoltà. Per questo la tregua di 30 giorni deve coincidere per Mosca con il congelamento delle attività a favore di Kiev, in modo da impedire che gli ucraini approfittino del cessate il fuoco temporaneo per far affluire armi e munizioni al fronte e rafforzare le traballanti linee difensive.
Al tempo stesso si tratta di condizioni inaccettabili per Volodymyr Zelensky che conta sul supporto degli alleati europei, tutti dichiaratisi pronti a continuare a fornire armi a Kiev.
Oggi infatti l’alto rappresentante Ue Kaja Kallas ha detto che l’Europa “non può accettare” che il flusso di armi all’Ucraina venga sospeso perché la Russia vuole che Kiev “abbassi la guardia. Se Mosca ottiene il divieto di fornire aiuti militari all’Ucraina sarà libera di continuare perché gli ucraini non potranno difendersi da soli, quindi è chiaro che non può funzionare, non può essere l’accordo”.
Il presidente ucraino ha colto a pretesto gli attacchi notturni russi, che hanno fatto seguito ieri agli attacchi ucraini alla regione russa di Belgorod, per affermare che Mosca non vuole la pace.
“Sono questi attacchi notturni della Russia che stanno distruggendo il nostro settore energetico, le nostre infrastrutture e la normale vita degli ucraini. E il fatto che questa notte non sia stata un’eccezione dimostra che dobbiamo continuare a fare pressione sulla Russia per il bene della pace”, ha scritto il leader ucraino. “Oggi (il presidente russo Vladimir) Putin ha rifiutato la proposta di un cessate il fuoco totale. Sarebbe giusto che il mondo respingesse qualsiasi tentativo di Putin di prolungare la guerra“, ha aggiunto Zelensky chiedendo agli alleati di fornire assistenza all’Ucraina.
Del resto alla vigilia della telefonata tra Trump e Putin il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha aveva dichiarato testualmente: “Ci aspettiamo dalla Russia che accetti senza condizioni la proposta di cessate il fuoco per 30 giorni. E’ tempo per la Russia di dimostrare se vuole davvero la pace”.
Le valutazioni dei vertici ucraini, come quelle che emergono in gran parte d’Europa, sembrano non tenere conto della situazione sul terreno che rende inconcepibile e anacronistico ritenere che la Russia non ponga condizioni e consenta a Kiev di riorganizzarsi militarmente grazie a 30 giorni di tregua.
Lo stesso Trump ha in più occasioni evidenziato che nella trattativa la Russia ha le “carte in mano” a differenza dell’Ucraina.
“Le condizioni secondo le quali l’Ucraina può negoziare con la Russia sono cambiate”, aveva ammesso il 15 marzo Akif Cagatay Kiliç, consigliere per la politica estera del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Secondo lui, nel 2022 i negoziati avevano l’obiettivo di limitare la perdita di territorio ucraino a favore della Russia a circa il 3 per cento, ma questa cifra è ora lievitata a circa il 25%.
Il Wall Street Journal ha riconosciuto oggi in un editoriale che gli strumenti di pressione a disposizione degli Stati Uniti e dell’Europa nei confronti della Russia sono limitati poiché a dispetto delle sanzioni la sua economia è florida, gode di ottime relazioni commerciali verso partner come India e Cina mentre sul campo di battaglia le sue truppe avanzano e Mosca sembra convinta di poter vincere il conflitto.
Non a caso la telefonata tra Trump e Putin è stata paragonata dal New York Times alla conferenza di Yalta del 1945, con la definizione di un nuovo ordine mondiale e la divisione del mondo in aree di influenza.
Se così stanno le cose i progressi nei negoziati di pace dipendono ora dalle decisioni dell’Ucraina, chiamata ad accettare lo stop alle incursioni contro le infrastrutture dell’avversario e ad accettare di congelare il fronte per 30 giorni senza rafforzare le proprie linee.
Non si può escludere che per raggiungere l’intesa Trump valuti un cambio della guardia ai vertici di Kiev.
Il presidente statunitense ha già invitato più volte Zelensky a tenere elezioni prevedendone la sconfitta, ma da qualche tempo a Kiev si segnalano iniziative parlamentari tese a sostituire il presidente della Verkhovna Rada, Ruslan Stefanchuk, attraverso il quale l’ufficio del presidente Zelensky controlla l’Assemblea.
Del resto in Ucraina molti ritengono, specie dopo la disastrosa sconfitta a Kursk, che occorra negoziare subito la fine delle ostilità non solo per risparmiare vite ma anche per evitare che in seguito a ulteriori sconfitte possano giungere da Mosca maggiori pretese di cessioni territoriali.
Foto: TASS, MAGA, MSC e Presidenza Russa
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.