ReArm Europe: verso una politica di difesa comune o solo sesterzi?

 

di Manuel di Casoli*

 C’è una bellissima scena del film “Scipione detto anche l’Africano”, nella quale Marcello Mastroianni, al rientro da Cartagine, illustra le epiche gesta compiute, e si sente chiedere: “Si, vabbè, ma li sesterzi?”. Nihil novum sub soli, per passare dal romanesco al latino, niente di nuovo sotto il sole. Parliamo sempre e solo di sesterzi.

Su First OnLine del 10 marzo in una interessante intervista di Luigi Marcadella, l’ambasciatore Riccardo Sessa con la sua profondissima esperienza e competenza in materia di politica internazionale ed acuta visione ha evidenziato aspetti di estremo interesse, relativamente al progetto ReArm EU (poi ribattezzato Readiness 2030).

Tuttavia, vi sono considerazioni ulteriori che ritengo debbano essere sviluppate e articolate, alla luce di valutazioni sia di natura geostrategica, che politica e finanziaria, che di difesa.

La prima ci porta direttamente alla sostanza delle cose, al piano sul quale sta avvenendo la discussione. Si da, infatti, per scontato che l’ultimo Consiglio Europeo straordinario abbia affrontato il tema della “Politica di difesa comune” ma così non è. Magari lo fosse stato, si sarebbero compiuti davvero sia il primo passo verso una difesa comune a livello UE che un deciso salto di qualità dell’azione dell’Unione. Di fatto, invece, l’UE ha ancora una volta evidenziato la sua lacuna costitutiva, ossia quella di essere -in definitiva- una mera organizzazione economica.

“Stanziare” 800 miliardi di Euro, infatti, significa esattamente il contrario che avere una “politica”, pensare che il tema si possa affrontare e risolvere con il denaro.

Lasciamo perdere, per un attimo, il tema strettamente tecnico, che non consente direttamente alla Presidente della Commissione di assumere decisioni del genere, né alla UE di occuparsi di difesa in luogo degli Stati membri, e veniamo alla sostanza.

Una “politica di difesa” richiede, molto prima che un finanziamento, di assumere delle decisioni, appunto, politiche. Che modello di difesa comune esce da questa iniziativa? Nessuno. Uno strumento militare, in quanto strumento, va definito sulla base di una politica, non è un affare di acquisti di armi.

Per esempio, dalla fine della Guerra Fredda l’Italia si è dotata nel tempo di uno strumento militare coerente con gli obiettivi e le missioni che la politica ha ridefinito: partecipazione alle missioni di pace (anche se in realtà si trattava di teatri di guerra), concorso alla difesa di obiettivi sensibili sul territorio nazionale, vigilanza e difesa delle frontiere marittime, sospensione della leva obbligatoria.

Ciò ha comportato che lo strumento venisse completamente ridisegnato, rispetto alla sua configurazione precedente. Prendiamo il caso dell’Esercito: addestramento di militari di professione (e quindi numeriche ridotte), reparti operativi incentrati sulla fanteria leggera, ampliamento dei reparti speciali, abbandono delle linee di carri da combattimento, riduzione drastica del parco di artiglieria, logistica focalizzata su mezzi leggeri, capacità di proiezione remota, riduzione delle scorte tattiche e strategiche, dismissione di immobili. Tutto questo è stato fatto perché lo strumento militare rispondesse alle missioni che la politica ha inteso assegnare, come è nella natura delle cose.

E la UE che missioni intende affidare alle forze militari delle quali [non] dispone? In quali teatri? Secondo quali obiettivi e priorità? Con che macro-regole di ingaggio? In che tempi e secondo quali priorità? Come ripartire tra gli Eserciti specializzazioni e compiti, in base alle attitudini ed alle esperienze? Come configurare le forze secondo i terreni sui quali muoversi? In che modo ripartire le aree di competenza e le zone di intervento, pensiamo per esempio alla difesa contraerea?

Veniamo ora al panorama degli ambiti internazionali di riferimento.

La UE si compone di 27 Stati, la NATO di 32: è evidente che le Organizzazioni non siano sovrapponibili. Norvegia e UK non fanno parte della UE ma della NATO si, l’Austria esattamente il contrario. Quali forze dei Paesi che sono parte sia della UE che della NATO sarebbero disponibili per un “esercito UE”? Le armi nucleari di Francia e UK in quale configurazione ricadono? E se un Paese NATO venisse attaccato in quanto parte della UE, l’art. 5 del Trattato Atlantico – che obbliga gli altri Paesi NATO (USA e Canada inclusi) ad intervenire – potrebbe essere invocato ed applicato? Che interoperabilità e coordinamento sono ipotizzabili tra UE e NATO?

C’è poi un altro punto cruciale, che discende dalle scelte politiche: come si articolerà la catena di comando? In che modo sarà composta e a chi spettano le decisioni ai vari livelli? Il solo creare una organizzazione del genere e renderla operativa è un lavoro che richiede anni, posto che le regole siano chiare. In guerra non ci sono seconde possibilità: come si direbbe su un set, “buona la prima”. E non c’è tempo per le discussioni, tutto dev’essere chiaro da prima.

Solo dopo aver definito tutto questo è possibile disegnare e realizzare un complesso di forze, e quindi spendere quel che resterebbe degli 800 miliardi (perché fare tutto ciò che si è detto ha dei costi non indifferenti), ripartendoli in infrastrutture, arruolamento e addestramento, armamenti e mezzi, tecnologie, scorte, logistica e quant’altro necessario.

E solo a quel punto inizierà il lavoro vero. Armonizzare procedimenti e creare standard, definire piani e disegnare scenari e, finalmente, addestrare le truppe, testarne l’efficienza, apprendere a lavorare insieme in una lingua comune, (ricordando, en passant, che solo una nazione europea parla inglese e non è parte della UE).

Tutto questo, peraltro, dando per scontato che le varie Nazioni, i Popoli, siano disposti a farlo, perché poi sulla nuda terra ci deve andare un soldato e i soldati muoiono.

Fatti questi accenni sintetici, ci siamo resi conto che una “politica di difesa comune UE” non è stata nemmeno abbozzata. Se vogliamo attribuire all’iniziativa una qualche forma di intelligenza, non ci resta che osservare i fatti, primo fra tutti che il supporto all’Ucraina ha di fatto assorbito la quasi totalità delle riserve strategiche dei Paesi europei.

La sensazione che si tratti di una manovra politica ad effetto per far digerire ai riluttanti cittadini UE le spese necessarie a ripianare gli stock è molto forte. E che si tratti di una faccenda complessa e rispetto alla quale ci siano problemi consistenti è di tutta evidenza.

Due piccioni con una fava, quindi: trovare le risorse per spese sgradite che coprano azioni insipienti, e ricompattare una UE in crisi di popolarità e di consensi. E’ prassi consolidata, per le leadership deboli ed in crisi di consensi, invocare la guerra, anche se storicamente ciò ha sempre e solo riguardato le dittature.

Già nel 2017, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito francese, il Generale Pierre de Villiers, si dimise in aperta polemica con il presidente Emmanuel Macron per i tagli al bilancio della Difesa: lo stesso Macron che ora invoca il riarmo.

Ad agosto del 2022, le dichiarazioni dell’Ispettore Generale (Capo di Stato Maggiore) tedesco, Eberhard Zorn, circa la capacità russa di proseguire le operazioni militari in Ucraina per tempi molto lunghi e di estenderle ulteriormente, gli erano costate il posto.

Contraddicevano la vulgata secondo la quale i russi sarebbero stati alle corde e fu accusato di sopravvalutare nettamente le loro capacità. Ricorderemo tutti la panzana dei chip tolti alle lavatrici per poter dotarne i missili, e chi lo ha “dimesso” afferma oggi ciò che egli disse a suo tempo. Perché?

A gennaio del 2023, il Ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht, fu costretta anch’essa alle dimissioni per la sua riluttanza a cedere all’Ucraina mezzi corazzati tedeschi. I commenti a questo evento evidenziavano la necessità di una pesante ristrutturazione della Bundeswehr, una riforma per la quale la Commissaria per le Forze Armate del Bundestag tedesco, Eva Högl, stimava necessari circa 300 miliardi di Euro, a fronte dei 100 stanziati. E giova ricordare che Ursula von del Leyen sia stata Ministro della Difesa tedesco dal 2013 al 2019, e che sui suoi acquisti in tale ruolo siano state sollevate diverse obiezioni.

Facendo due conti, la differenza di 200 miliardi necessaria alla Germania sarebbe il 25% degli 800 ipotizzati, e il PIL tedesco è il 24,2% di quello UE. Curiose coincidenze, verrebbe da pensare. Il caso vuole che i conti tornino…

Nessun dubbio nel plaudire alle ironiche parole dell’Ambasciatore Riccardo Sessa sul fatto che Putin meriterebbe un monumento in Rue de la Loi. Personalmente ritengo che non lo meriti solo per aver spinto l’Europa verso una più profonda integrazione, ma anche per un’altra ragione, più profonda: averci riportato sul terreno della realtà, alla quale l’UE sembra ancora non dare molto peso, abituata com’è ad occuparsi di voli pindarici idealistici e spesso ideologici.

E’ l’involontario artefice del nostro ritorno al sano, per quanto spesso scomodo e doloroso, principio di realtà.

De Gasperi, Adenauer e Schuman erano cattolici, e quindi decisamente ancorati alla realtà e alla concretezza, coi piedi per terra e la mente verso il Cielo. L’evoluzione successiva dell’unione tra i Paesi europei non si può dire che ne abbia seguito le orme, sia in termini di statura morale che di saggezza a servizio del bene comune.

Ma il cambiamento più significativo e decisivo, a mio parere, determinato dal binomio Putin-Trump è la rinnovata primazia della politica sulla finanza e sul denaro. Dagli anni ’90 in poi, ci eravamo abituati al fatto che fossero la finanza e l’economia a determinare gli equilibri e le dinamiche di un mondo globalizzato.

Da qualche mese, invece, constatiamo che le scelte politiche vengono assunte in qualche modo al di sopra (ed in alcuni casi apparentemente contro) di interessi finanziari ed economici che davamo per scontati e preminenti.

Duole constatare come, anche in questo stravolgimento del panorama mondiale, la UE vada contromano rispetto al mondo che cambia. Invece di concepire e porre in essere una politica coerente con i suoi interessi geostrategici, continua imperterrita a rispondere a logiche meramente economico-finanziarie, limitandosi a parlarsi addosso e lasciando di fatto agli altri attori planetari l’iniziativa.

Ricorda un po’ l’orchestra del Titanic, che almeno dalla sua aveva la nobiltà di affrontare con eleganza una morte scontata. D’altro canto, appare sempre più evidente come la UE manchi di una leadership di livello adeguato. Quella che ne regge le sorti nella tempesta si dimostra priva degli strumenti culturali e della capacità, individuale e politica, necessari ad affrontare le sfide del presente e del futuro.

“Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”, ammoniva Seneca.

Foto: Commissione Ue, Presidenza Russa e RWM Italia

 

Manuel Di Casoli – Cinquantanove  anni, è laureato in Giurisprudenza ed in “Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna”. Attualmente è Global Strategies Advisor nel settore energetico e lavora in America Latina per società di investimento e di produzione di energia, nei settori Oil & Gas, eolico, solare e minerario. Ha ricoperto diversi incarichi come Direttore Operations, Sicurezza e Affari Legali per grandi aziende italiane e multinazionali ed in Expo Milano 2015 ed è Professore a contratto in due Università italiane. Fino al 2000 è stato Ufficiale dei Carabinieri, svolgendo il proprio servizio in Sicilia, Calabria e nella Capitale.

 

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Ha frequentato la Scuola Militare "Nunziatella" di Napoli, l'Accademia Militare di Modena e la Scuola Ufficiali Carabinieri ed è laureato in Giurisprudenza ed in Scienze della Sicurezza. Fino al 2000 è stato Ufficiale dei Carabinieri, svolgendo il proprio servizio in Sicilia, Calabria e nella Capitale. E' Professore a contratto in alcune Università italiane ed ha conseguito un Master presso l'Università di Buenos Aires. Attualmente è Global Strategies Advisor nel settore energetico e lavora tra America Latina ed Europa per società di investimento e produzione nel settore energetico. Ha ricoperto diversi incarichi come Direttore Operations, Sicurezza e Affari Legali per grandi aziende sia italiane che multinazionali ed in Expo Milano 2015.

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