ReArm Ukraine: il “libriccino bianco” di Kaja Kallas

Le sirene non suonano solo a Kiev (dove ce n’è motivo, visto che piovono missili e droni), ma anche a Bruxelles.
Ci pensa Kaja Kallas, che non riuscendo a dormire la notte per paura dell’imminente invasione russa lavora a tener desto l’allarme in tutta la UE, validamente spalleggiata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e da una ‘coalizione di volonterosi’ (altro che quella raccolta dal primo ministro britannico Starmer: questi sì che si danno da fare) nella quale primeggiano i paesi baltici (componente fissa insieme al Segretario generale della NATO Mark Rutte), affiancati a giorni alterni dalla Norvegia piuttosto che dalla Spagna o dalla Danimarca.
L’obiettivo del momento è di convincere gli europei (i governi, che sono più malleabili: non i cittadini, che su questo fronte si mostrano assai meno disponibili) a cacciare 800 miliardi di euro di qui al 2030 per incrementare la spesa militare.
A sostegno di questo sforzo l’Alto Rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza, Kaja Kallas, ha presentato il 19 marzo un ‘Libro bianco’ (più propriamente un libriccino, visto che si tratta di 23 pagine compresa la copertina e l’ultima in cui compaiono 4 righe di testo) in cui si invitano i paesi membri a mobilitare tutto il loro potenziale economico, tecnologico e industriale in quanto “l’Europa si trova a fronteggiare una minaccia acuta e crescente, e l’unico modo per preservare la pace consiste nell’essere pronti a scoraggiare coloro che vogliono farci del male”.
Chi siano questi “coloro” non è immediatamente chiaro, visto che non vengono chiamati per nome: la Russia – principale indiziato – viene menzionata per la prima volta (in relazione all’invasione dell’Ucraina) solo a pagina 3.
Seguita da altre concause fra le quali “la vicinanza al Nord Africa e al Medio Oriente, che fa dell’Europa un ricettacolo per la ricaduta di guerre, migrazioni ed effetti del cambiamento climatico” che affliggono quelle regioni.
E poi l’Artico che “sta diventando un nuovo teatro di competizione geopolitica” e infine gli Stati Uniti, che fra le malefatte compiute sotto l’amministrazione Trump hanno commesso anche quella di “ritirarsi dal loro storico ruolo di primo garante della sicurezza” in Europa.
Le amazzoni di Bruxelles
Uno scenario davvero preoccupante, ma niente paura, a porre rimedio ci pensano le amazzoni di Bruxelles Ursula e Kaja, che dopo aver lanciato il 4 marzo “ReArm”, il piano da 800 miliardi di euro per incrementare la produzione di sistemi di difesa, il 19 marzo ne hanno messo a fuoco obiettivi e contenuti con la “Joint White Paper for European Defence Readiness 2030” (Libro bianco congiunto per la prontezza della difesa europea 2030).
Il disdicevole termine “riarmo” è stato sostituito dal più digeribile “prontezza”, ma l’intestazione resta comunque fuorviante: una volta letto il documento, è infatti evidente che il titolo corretto è “ReArm Ukraine”.
Impropriamente qualificato da diversi politici e commentatori come un “Libro bianco della difesa europea”, il fascicoletto non serve in realtà a spiegare come il Vecchio Continente dovrebbe organizzarsi per dar vita a una difesa comune integrata e credibile ma punta a un obiettivo più modesto.
Si tratta infatti di convincere i rappresentanti politici europei e nazionali tuttora sordi all’appello che “il futuro dell’Ucraina è fondamentale per il futuro dell’intera Europa”, e che quindi è urgente armarsi (e armare Kiev) fino ai denti per portare a compimento la missione (altrettanto irrealistica quanto i piani di vittoria di Zelensky) che la dirigenza UE si è assegnata e ostinatamente persegue.
Quella di assicurare un “incrollabile sostegno all’indipendenza, alla sovranità territoriale e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale”, come ha tenuto a ribadire il Consiglio UE del 20 marzo.
Da un documento destinato a mobilitare un investimento di così vasta portata (secondo ad oggi solo al Recovery Plan for Europe, avviato nel 2020 per favorire il superamento della crisi generata dal COVID) sarebbe stato ragionevole aspettarsi un respiro più ampio piuttosto che una sintesi stringata e carente per alcuni aspetti fondamentali, a partire dall’indispensabile collegamento fra piano di riamo e struttura di difesa comune.
Senza quest’ultima il riarmo resta un esercizio privo di efficacia, se l’obiettivo è davvero la creazione di quel “deterrente credibile” destinato a rimettere in sicurezza l’Europa. Col progredire della lettura diventa invece evidente il secondo, vero fine che la Commissione UE intende associare al riarmo.
“Questo libro bianco – si legge infatti a pagina 2 – fornisce un quadro di riferimento per l’attuazione del piano ReArm Europe […], definendo i passi necessari per ricostituire la difesa europea e supportare l’Ucraina […]”.
Obiettivo che, se a qualcuno fosse sfuggito, viene ribadito poche righe più avanti: la ricostruzione della difesa europea, ed in particolare la ricostituzione delle scorte di munizioni, armi ed altri equipaggiamenti militari, è infatti “essenziale per mantenere ed incrementare il supporto all’Ucraina” che, come il documento sottolinea, “rappresenta il più urgente e pressante compito per la difesa europea”.
E il deterrente, dov’è andato a finire?
Il leit motiv del sostegno a Kiev è ripetuto con cadenza ossessiva, considerato che nella ventina di pagine che compongono il documento l’Ucraina è menzionata 51 volte contro le 39 dell’Europa (che dovrebbe essere il soggetto principale), le 15 della Russia, le 7 della Cina e le tre degli Stati Uniti.
Il Mediterraneo, guarda caso, non è mai citato: per la Commissione UE il riarmo serve solo a placare le ansie del fronte nord-orientale, il resto ha apparentemente poca importanza. Nella veloce rassegna del quadro strategico globale che precede quella delle motivazioni alla base della “European readiness 2030” il documento sostiene che “nel breve termine il futuro dell’Europa è determinato dalla guerra in Ucraina”, e che “se alla Russia sarà consentito di raggiungere i propri obiettivi in Ucraina, le sue ambizioni territoriali si estenderanno oltre.
La Russia continuerà a rappresentare una minaccia fondamentale per l’Europa per il prevedibile futuro, anche a ragione della sua postura nucleare più aggressiva e del posizionamento di armi nucleari in Bielorussia”.
La sezione successiva, che si occupa della preparazione all’orizzonte 2030, si apre con una dichiarazione sorprendente, che mina le basi stesse del piano di riarmo.
Pure nella prospettiva della sua attuazione, si legge infatti, “gli Stati membri [della UE] manterranno sempre la responsabilità delle proprie truppe, dalla dottrina allo schieramento alla definizione delle esigenze delle proprie forze armate.
Inoltre, l’UE agirà sempre in modo tale da non pregiudicare il carattere specifico della politica di sicurezza e difesa di determinati Stati membri, e tenendo conto degli interessi di sicurezza e difesa di ciascuno”.
Quindi armi a volontà ma nessun auspicio di una politica estera e di sicurezza comuni, di una struttura di comando comune, di una pianificazione comune e di una dottrina comune. Una visione davvero singolare, dove tutti sono invitati a procurarsi le pezze necessarie per rappezzare la difesa ma a metterle assieme come si deve, in modo che funzionino con la dovuta efficienza e come un tutto organico, non ci penserà nessuno. Il risultato? Un’“armata Arlecchino” che sicuramente spaventerà a morte la Russia e la dissuaderà dall’attaccare foss’anche il Lussemburgo, consentendo finalmente ai Baltici di dormire sonni tranquilli.
Le uniche iniziative sollecitate dal documento riguardano il “collaborative procurement”, un coordinamento nel campo degli acquisti che attraverso la standardizzazione dei materiali e l’armonizzazione degli ordini consentirebbe di realizzare significative economie di scala, e una maggiore cooperazione nel campo della ricerca, visto che “una spesa limitata e frammentata nel settore dell’innovazione da parte degli Stati membri ha un impatto negativo sulle tecnologie emergenti e dirompenti, di vitale importanza per sviluppare le capacità necessarie alla difesa”.
Ad un breve elenco delle sette aree prioritarie in cui è opportuno concentrare gli investimenti per irrobustire la difesa europea colmando gli attuali deficit capacitivi – difesa antiaerea e antimissile, sistemi di artiglieria, missili e munizioni, droni e sistemi anti drone, mobilità, sistemi elettronici (dall’intelligenza artificiale ai computer quantistici alla guerra elettronica e informatica), abilitanti strategici (inclusi trasporti, spazio e comunicazioni) e protezione delle infrastrutture critiche – segue una sezione il cui titolo (“Increased Military Support for Ukraine”) rivela ancora una volta il vero obiettivo del documento.
Riarmare l’Ucraina
A partire dal febbraio 2022, ricorda il ‘Libro Bianco’, “gli Stati membri della UE hanno fornito circa 50 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina”. I dati del Kiel Institute for the World Economy indicano che a tutto gennaio 2025 l’Ucraina ha ricevuto dall’Occidente aiuti per circa 267 miliardi di euro, provenienti per oltre la metà dai paesi UE.
Sul totale 130 miliardi, ovvero poco meno del 50%, hanno riguardato aiuti militari (diretti o sotto forma di servizi, ad esempio addestramento), 118 miliardi misure di sostegno finanziario (donazioni e prestiti) e 19 miliardi aiuti umanitari.
Ma ancora non basta: “Le esigenze di difesa dell’Ucraina continueranno a essere elevate, anche oltre un eventuale cessate il fuoco o un accordo di pace. […]. L’UE e i suoi Stati membri dovranno migliorare la capacità di difesa e sicurezza dell’Ucraina […], in modo che sia in grado di scoraggiare eventuali ulteriori attacchi e garantire una pace duratura. È quindi imperativo che l’UE e i suoi Stati membri aumentino urgentemente la loro assistenza militare all’Ucraina”.
Mano dunque al portafoglio, e largo a nuove iniziative. Segue un elenco delle misure che, secondo la Kallas, la UE dovrebbe promuovere nel quadro di una garanzia di sicurezza a lungo termine a favore di Kiev, dalla fornitura di munizioni di artiglieria di grosso calibro (almeno 2 milioni di proiettili l’anno), missili per la difesa aerea e per condurre attacchi di precisione a lunga distanza, droni e addestramento del personale a un più ampio accesso ai sistemi spaziali europei, sino a misure di sostegno a favore dell’industria locale della difesa.
Attraverso la guerra di aggressione, rileva il documento, l’industria ucraina “ha avuto modo di mettere in luce capacità altamente innovative e competenze significative in settori quali l’intelligenza artificiale e i droni” e uno spirito imprenditoriale che prova come “le giovani e dinamiche aziende ucraine possano fornire importanti impulsi alla competitività dell’Europa e allo sviluppo di capacità difensive europee migliorate”.
Visto che l’Ucraina è addirittura diventata “il principale laboratorio di innovazione tecnologica e di difesa del mondo” (chissà come saranno sorpresi di apprenderlo al Pentagono), una “più stretta cooperazione tra le industrie della difesa dell’Ucraina e quelle europee consentirà il trasferimento di conoscenze di prima mano su come utilizzare al meglio l’innovazione per raggiungere la superiorità militare sul campo di battaglia”, mettendo al sicuro il futuro di tutto il continente.
E allora, propone la Kallas, spianiamo la strada “all’integrazione dell’Ucraina nel mercato europeo dei sistemi di difesa attraverso un apposito strumento di supporto dedicato (USI, Ukraine Support Instrument)”, e aprendo le attività dell’EDIP (European Defence Industry Programme) alla partecipazione dell’Ucraina.
Solo una decina di giorni prima della presentazione del ‘Libro Bianco’ la stessa Kallas aveva avanzato un’altra proposta, relativa ad aiuti da fornire a Kiev da parte dei paesi UE in proporzione al rispettivo reddito nazionale lordo e su base volontaria, per un importo di 40 miliardi di euro.
Sottoposta al Consiglio UE del 21 marzo, l’iniziativa non è stata propriamente accolta con entusiasmo ed è presto rientrata, sostituita da un piano più “realistico” per un contributo di 5 miliardi da destinare principalmente all’acquisto di munizioni.
Questo fiorire di proposte attesta l’inesauribile attivismo dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza: ma se ciò rappresenti un effettivo contributo alla sicurezza dell’Europa, o non piuttosto la conferma di una tendenza autolesionista, non è del tutto chiaro.
Un abbraccio sempre più stretto all’Ucraina promette infatti un futuro di persistenti contrasti con la Russia molto più che il ristabilimento di un clima di colloquio e di distensione, obiettivo che, al contrario, dovrebbe essere al centro degli sforzi della diplomazia (e dei governi che ne sostengono il ruolo primario).
Nelle iniziative della coppia von der Leyen-Kallas ce n’é abbastanza da far riavere Zelensky dallo smacco subito il 28 febbraio alla Casa Bianca, dove è stato messo alla porta dal presidente Trump e dal vice presidente Vance per la sua ostinazione nel perseguire obiettivi irrealistici per la soluzione del conflitto.
Quello che non riesce più ad ottenere oltre oceano, una volta cessato il sostegno a fondo perduto che gli era garantito dalla passata amministrazione Biden, il presidente ucraino cerca oggi di averlo dall’Europa, dove continua ad essere accolto e riverito da capi di stato e di governo e dalle istituzioni di Bruxelles (UE e NATO) che lo scorrazzano da una capitale all’altra e da un vertice a un altro, quasi che senza la sua presenza, il suo illuminato parere e il suo consenso non fosse possibile valutare nessuna prospettiva né assumere alcuna decisione.
È vero che Zelensky ha smesso, almeno per il momento, di sfornare i suoi roboanti “piani per la vittoria” a spese altrui (l’ultimo dei quali, presentato il 24 ottobre 2024 al parlamento di Kiev, prevedeva l’ennesima massiccia fornitura di sistemi d’arma e “l’invito incondizionato ad entrare immediatamente nella NATO”), ma l’insistenza e la supponenza con cui continua a impartire lezioni alle cancellerie europee, ponendosi come irrinunciabile baluardo dell’Occidente di fronte all’orda russa, dovrebbe cominciare a venire a noia anche dalle nostre parti.
Foto: Commissione Europe, MSC, Ministero Difesa Ucraino e TASS
Ruggero StangliniVedi tutti gli articoli
Ingegnere, ha lavorato nell'industria della difesa prima di fare del giornalismo la sua principale attività. Nel 1982 ha contribuito a fondare la rivista mensile Panorama Difesa, che ha diretto sino al 2000, e successivamente Tecnologia & Difesa, che ha diretto fino al 2006. È autore e coautore di numerosi libri e pubblicazioni sulle marine, le operazioni e le tecnologie militari.