Le prospettive dell’intesa tra Mosca e Pechino

Divenire il paese più potente del mondo? E farlo in tempi relativamente brevi? È certamente questo – perlomeno nelle circostanze attuali che fanno intravedere come possibile il conseguimento del risultato – il primo ed il più sentito desiderio della Cina e dei suoi attuali governanti.
Oltretutto un successo del genere cancellerebbe anche completamente la vergogna bruciante di cui l’Impero di Mezzo parla soltanto in casa propria e con le finestre chiuse ma che non è stata mai realmente dimenticata. Vale a dire il “secolo di umiliazione “che le hanno inflitto, dalle guerre dell’oppio in poi, le potenze europee, assistite per l’occasione anche da Giappone e Stati Uniti.
In tempi relativamente recenti il desiderio di procedere sulla strada che porta al vertice della “collina delle nazioni“ è stato tra l’altro tanto forte da indurre a Pechino, che di norma procede con estrema e misurata cautela, ad assumere iniziative non tempestive destinate a ritorcersi contro la Cina stessa, ritardandone la progressione anziché accelerarla.
Si è trattato innanzitutto di una politica declaratoria che, partendo dai progressi compiuti in vari campi sino a quel momento, preconizzava addirittura gli anni in cui i cinesi avrebbero potuto sopravanzare gli americani.
Per gli Stati Uniti, momentaneamente persi in un delirio di “America first” e di “Make America Great Again“, la prospettiva – giudicata realistica da Washington – ha prodotto così gli effetti di un panno rosso agitato davanti ad un toro, rinfocolando un senso di mirata ostilità che tra l’altro era già di per sé abbastanza forte.
Ha poi fatto seguito l’iniziativa tendente a rianimare le antiche “vie della seta”, con cui Pechino sperava di incrementare la propria influenza in tre continenti ma che si è evidenziata a conti fatti come una mossa capace di sollevare, in primo luogo, le diffidenze – per buona parte ampiamente giustificate – di tutti i paesi in qualche maniera coinvolti.
Per non parlare poi dell’impiego da parte cinese di fondi massicci chiaramente destinati ad essere recuperati soltanto in parte. Per fortuna della Cina e del suo uomo forte, il Presidente Xi Jin Ping, che altrimenti sarebbe stato accusato in breve tempo di “aver perso il favore del Cielo“ e di conseguenza sarebbe stato subito sostituito, non tutte le azioni intraprese nel corso degli anni più recenti sono risultate fallimentari.
A riportare in pari la bilancia ci ha infatti pensato l’aggressione russa all’Ucraina che ha concentrato la globale attenzione su questo primo episodio di quella che il defunto Pontefice chiamava “la guerra a pezzi“ costringendo l’Occidente, ed in particolare gli Stati Uniti, a dedicare un minore interesse di quanto forse sarebbe stato necessario ai fatti ed ai protagonisti del continente asiatico.
In quelle circostanze, tra l’altro, anche il supporto fornito dalla Cina alla Russia di Putin nel momento in cui una parte del mondo condannava senza riserve la decisione del Presidente russo mentre molti stati esitavano, incerti sulla posizione da assumere, è risultato determinante.
La Cina si è infatti imposta come un esempio da seguire riuscendo a trascinare una minoranza di paesi – che però totalizzavano fra tutti la maggioranza della popolazione mondiale – a non allinearsi sulla posizione colpevolista americana ed europea.
La pressione diplomatica e di opinione pubblica che avrebbe potuto essere esercitata in quel momento sul Cremlino ne è uscita in tal modo notevolmente alleggerita.
Anche in seguito poi Pechino ha continuato a fornire supporto al proprio vicino, procedendo magari con grande discrezione ma non facendogli mai mancare il proprio aiuto nei momenti più critici di un conflitto che si avviava pericolosamente a divenire pluriennale.
Sul piano economico, in particolare, l’azione filorussa del Celeste Impero si è rivelata decisiva nel settore energetico, ove tutti gli idrocarburi che Mosca non poteva più vendere agli Occidentali hanno preso la via della Cina; ad un prezzo tale, tra l’altro, da permettere anche ai cinesi di trarre il proprio utile da tale operazione.
Si è creato così, almeno momentaneamente, un blocco che comprende i due maggiori sfidanti degli Stati Uniti e che ha finito col riunire intorno a se’ , sia pure con legami per il momento molto lenti, buona parte di coloro che ritengono come il modello di governo occidentale non sia l’ideale per il loro paese.
La cooperazione con il grande vicino permette inoltre a Pechino di continuare indisturbata la propria infiltrazione oltre frontiera, giunta ormai a tal punto che Vladivostock, ufficialmente russa, si è trasformata da tempo in una metropoli cinese. Un andazzo che fa sì che la Siberia stessa rischi di risvegliarsi un mattino, fra poco meno di una generazione, come un territorio cinese e non più russo.
Si tratterebbe anche in questo caso di quello che la Cina potrebbe considerare quale una rivincita rispetto ad umiliazioni di altri tempi: in fondo non sono passati molti anni da quando le truppe di Cina e Russia, schierate in frontiera lungo i corsi di Amur ed Ussuri , rischiavano di scontrarsi perché Pechino inseguiva il recupero di territori conquistati da Mosca al tempo dei “trattati ineguali”!
Non è comunque, almeno in prospettiva, che le relazioni fra i due colossi siano destinate a rimanere sempre all’elevato livello attuale.
In quella nuova divisione del mondo futuro che si sta delineando e che vede le superstiti democrazie confrontarsi con i paesi guidati da regimi più autoritari, il gruppo per il momento guidato dal binomio Russia-Cina non ha infatti ancora deciso quale paese scegliere come leader unico ed incontrastato. Si tratta chiaramente di un ruolo che il Presidente Putin desidererebbe per sé e per la Russia, un desiderio di cui negli anni recenti egli non ha certamente fatto mistero. D’altro canto però si tratta anche di un ruolo cui la Cina non può assolutamente rinunciare senza essere esclusa dalla sua corsa alla leadership mondiale.
Uno dei due paesi sarà quindi costretto a rinunciare al livello più alto delle proprie aspirazioni. Sopravviverà all’inevitabile confronto la loro amicizia? E soprattutto sopravviverà all’elevato livello raggiunto attualmente? C’è da dubitarne e quindi ci sarebbe anche da attendere che sopravvenga il momento di crisi pronti ad approfittare delle occasioni favorevoli per noi che in quel frangente potrebbero presentarsi. Ma questa è tutta una altra storia!
Foto: TASS e Presidenza Russa

Giuseppe CucchiVedi tutti gli articoli
Entrato alla Scuola Militare di Napoli nel 1955, il Generale Cucchi ha avuto una lunghissima carriera conclusa nel 2008 come Direttore Generale dell'Intelligence Nazionale. Dopo il definitivo pensionamento ha lavorato due anni per le Nazioni Unite come esperto nell'ambito della crisi del Mali/Sahel. Ha insegnato management alla Università LUISS di Roma ed alla Business School della Università di Bologna.