Droni ucraini sulle basi dei bombardieri strategici russi

Un attacco simultaneo e senza precedenti diretto contro 5 basi aeree russe che ospitano bombardieri Tupolev Tu-95 e Tu-22M, è stato condotto ieri in profondità da droni ucraini quadricotteri trasportati, occultati e lanciati da camion contro obiettivi situati fino a oltre 8mila chilometri dal confine tra Russia e Ucraina.
Il Servizio di sicurezza interna ucraino (SBU) ha annunciato ieri trionfalmente di aver effettuato un’operazione contro l’aviazione strategica russa. Il comunicato afferma che, a seguito della Operazione Spider Web, “il 34 per cento dei vettori missilistici da crociera strategici presso i principali aeroporti russi è stato colpito” per “un costo totale dei danni alle attrezzature russe che ammonta presumibilmente a 7 miliardi di dollari”.
In precedenza l’SBU aveva riferito che nell’operazione “sono stati distrutti 41 bombardieri con danni per oltre due miliardi di dollari”. Da quanto reso noto, l’operazione sembra aver visto l’occultamento di molti droni sotto tettoie di case prefabbricate in legno prima di venire armati e caricati a bordo di container imbarcati su camion per raggiungere la prossimità degli obiettivi.
Del resto non è la prima volta che attacchi contro obiettivi militari situati in territorio russo vengono effettuati con droni decollati dall’Ucraina o da pochi chilometri di distanza dagli obiettivi.
In una guerra che è anche civile e vede russi e ucraini mischiati da molte generazioni non è difficile per Kiev disporre di propri agenti e sostenitori in territorio russo e per Mosca poter contare su fiancheggiatori e partigiani nei territori controllati dagli ucraini.
Questo l’elenco degli obiettivi nel mirino degli ucraini con l’esito degli attacchi secondo le fonti militari russe:
– Base aerea Belaya nella regione di Irkutsk, nella Siberia Orientale, 4.300 chilometri dal confine ucraino, che ospita bombardieri Tu-95MS e Tu-22M3 oltre ad aerei radar A-50 (attacco confermato da Mosca),
– Base aerea Olenya, nella regione di Murmansk, base di rischieramento per i bombardieri, 2mila chilometri dal confine ucraino (attacco confermato),
– Base aerea Ukrainka, nella regione dell’Amur (attacco fallito, il camion con i droni a bordo è stato bruciato sulla strada),
– Base aerea Dyagilevo, nella regione di Ryazan, utilizzata da bombardieri Tu-22M3 e Tu-160 (attacco respinto dalla difesa aerea),
– Base aerea Ivanovo, base di rischieramento dei bombardieri nella regione di Ivanovo (confermate solo esplosioni nel cielo e difesa aerea in azione).
L’SBU ha in seguito ridimensionato il bilancio dell’attacco a 8 aerei colpiti nelle basi aeree di Belaya e Olenya:
▪️ 5 bombardieri Tupolev Tu-95MS
▪️ 2 bombardieri Tupolev Tu-22M3
▪️ 1 aereo da trasporto militare Antonov An-12.
Altre fonti hanno riferito che un aereo radar A-50 sarebbe stato distrutto o danneggiato ma al momento non vi sono dati certi circa numero e tipologia di velivoli e livello dei danni subiti. Fonti ucraine hanno definito “manipolate” le informazioni sulla distruzione di 41 aerei russi riferendo che sarebbero stati distrutti o danneggiati 4 Tu-95, un aereo da trasporto e fino a 5 Tu-22M3.
Nel caso dei bombardieri, impiegati per lanciare missili da crociera Kh-101/Kh-555 e Kh-59/69 contro l’Ucraina ma che fanno parte anche della triade nucleare russa (con i sottomarini lanciamissili balistici e i missili balistici lanciabili da terra) si tratterebbe quindi di una percentuale decisamente inferiore al 34% annunciata inizialmente dall’SBU.
Le forze aeree strategiche russe schierano 16 Tu-160, 59 Tu-95MS e 55 Tu-22M3: in totale 130 bombardieri ridottisi oggi a 123 anche se non si può escludere che altri velivoli siano stati danneggiati in modo più o meno grave dai droni ucraini.
Da un lato, se i velivoli danneggiati fossero una trentina potrebbe rivelarsi plausibile la percentuale fornita da Kiev di circa un terzo della flotta di bombardieri russi messa fuori combattimento almeno temporaneamente. Dall’altro non vi sono elementi al momento per confermare un così elevato numero di aerei colpiti in due soli aeroporti.
Volendo prendere per buono il numero complessivo di 117 droni impiegati (indicato dal presidente Volodymyr Zelensky) contro 5 obiettivi significa che ogni autocarro trasportava in media 23 o 24 droni, cioè che i due aeroporti dove l’attacco è andato a buon fine sono stati impiegati complessivamente tra 40 e 50 droni FPV.
Un autocarro si è incendiato (nella foto a lato) per cause non chiarite e un altro sembra sia stato assaltato da civili che hanno cercato di impedire il decollo dei droni, come riferiscono fonti russe.
Se nei prossimi giorni l’impiego di missili da crociera aviolanciati da parte dei russi dovesse mostrare forti flessioni avremmo un elemento concreto per valutare in modo più completo i danni inferti dagli attacchi ucraini di ieri.
Mosca infatti ha ammodernato i tre tipi di bombardieri in servizio e riavviato la produzione del Tu-160 ma potrebbe disporre di altre cellule, specie di Tu-95, con cui rimpiazzare le perdite, almeno parzialmente e in tempi non certo brevi. Si tratta infatti di velivoli di tipo sovietico da tempo fuori produzione ma diversi esemplari potrebbero trovarsi nei depositi.
Commentando l’operazione, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato di “un risultato assolutamente brillante raggiunto solo dall’Ucraina dopo 18 mesi e 9 giorni dall’inizio della pianificazione dell’operazione”. Il presidente ha definito l’attacco “la nostra operazione a più lungo raggio” aggiungendo le congratulazioni al direttore dell’SBU Vasyl Maliuk nella foto sotto) e precisando che nell’operazione sono stati impiegati 117 droni manovrati da altrettanti operatori.
“Possiamo affermare con sicurezza che si tratta di un’operazione assolutamente unica. La cosa più interessante – e possiamo già dirlo pubblicamente – è che la ‘sede’ della nostra operazione sul territorio russo si trovava proprio accanto al dipartimento dell’FSB russo in una delle regioni. Durante la fase di preparazione, i nostri uomini hanno operato in diverse regioni della Russia, in tre fusi orari. Ma alla vigilia dell’operazione sono stati portati fuori dalla Russia e ora sono al sicuro”, ha spiegato Zelensky.
Il ministero della Difesa russo ha confermato l’attacco ma non l’ultima affermazione di Zelensky riferendo che l’Ucraina “ha condotto un attacco terroristico” con droni contro aeroporti nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanovo, Ryazan e Amur. “Oggi, il regime di Kiev ha condotto un attacco terroristico con droni FPV contro aeroporti nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanovo, Ryazan e Amur”, ha reso noto il ministero in una nota, ripresa dai media russi. “Alcuni dei partecipanti all’attacco sono stati arrestati”, ha aggiunto il ministero.
L’attacco alle basi aeree è stato anticipato il 1* giugno dal lancio di missili da crociera Storm Shadow contro obiettivi russi nella regione di Lugansk e dal sabotaggio di ponti e linee ferroviarie nelle regioni russe di Bryansk e Kursk.
Un ponte stradale è esploso nella regione di Bryansk, crollando su una ferrovia e causando il deragliamento di un treno. Almeno 7 i morti, oltre 70 i feriti alcuni in gravi condizioni. Un treno merci è deragliato nella regione di Kursk mentre passava su un ponte ferroviario saltato in aria. Per il canale Telegram russo Militarist “l’esplosione di viadotti e binari ferroviari mirava chiaramente a distogliere l’attenzione dal bersaglio principale”, cioè le basi aeree ma, considerata la distanza tra gli obiettivi dei droni e dei sabotaggi non è detto vi siano relazioni tra i diversi episodi.
Poche ore prima dei sabotaggi ferroviari, nella notte tra il 31 maggio e il 1° giugno, i russi avevano effettuato il più grande attacco di droni in profondità contro il territorio ucraino (obiettivi militari e industriali) dall’inizio della guerra impiegandone 472, oltre a 7 missili da crociera mentre un missile probabilmente un balistico Iskander ha colpito nella regione di Sumy un centro di addestramento provocando almeno 12 morti e 60 feriti tra i soldati ucraini.
Probabilmente molti di più considerato che il comandante delle forze terrestri ucraine, generale Mikhailo Drapaty, già posto sotto accusa per episodi simili, ha rassegnato le dimissioni.
“Si tratta di un passo consapevole, dettato dal mio personale senso di responsabilità per la tragedia del 239* campo di addestramento, che ha causato la morte dei nostri soldati. Come comandante, non sono stato in grado di garantire la piena esecuzione dei miei ordini. Non ho esercitato pressioni, persuaso o cambiato l’atteggiamento nei confronti di una persona tra i miei ranghi. Questa è una mia responsabilità”, ha dichiarato Drapatiy..
Valutazioni
Non è certo la prima volta che i bombardieri russi vengono presi di mira dagli ucraini dopo che due anni or sono un attacco di piccoli droni distrusse un Tu-22M3 in un aeroporto nella regione di Novgorod mentre alcuni Tu-95 vennero danneggiati da un drone nella base aerea di Engels già nel dicembre 2022.
I blogger militari russi lamentano, oltre alle carenze dell’intelligence di Mosca, la mancata realizzazione di rifugi anti drone in grado di ospitare anche i grandi bombardieri, oggi più facilmente realizzabili che in passato utilizzando strutture prefabbicrate che già da tempo nelle basi aeree russe proteggono velivoli da combattimento di dimensioni più ridotte.
Sul canale Telegram militare Rybar viene sottolineato che “la domanda se costa meno un rifugio o un aereo perduto dovrà presto trovare risposta da molte persone che non hanno voluto porsela due anni fa”.
Da quanto emerso dai blogger russi, i droni ucraini hanno colpito con precisione i piloni subalari dei Tu-95MS, dove sono sospesi i missili da crociera Kh-101 e vicino al serbatoio del carburante.
In attesa di valutare (se sarà possibile) quanti bombardieri, aerei radar A-50 o altri tipi di velivoli siano stati realmente colpiti o danneggiati nell’attacco, appare evidente che per la Russia si è trattato di un rovescio grave sul piano militare e reputazionale ma non decisivo e di scarso impatto sulle operazioni lungo il fronte dove le crescenti difficoltà ucraine sono ben evidenziate dai continui successi russi in quasi tutte le regioni (in questi giorni si registrano considerevoli avanzate a Donetsk, Kharkiv, e Sumy).
All’attacco alle basi aeree di ieri Mosca dovrà rispondere in modo adeguato e non è certo casuale che sia stato effettuato 24 ore prima dei colloqui tra le delegazioni russa e ucraina che si tengono oggi in Turchia.
Difficile credere che il raid contro le basi dei bombardieri faciliti un clima più disteso nei colloqui così come è molto probabile che gli ucraini abbiano ottenuto supporto d’intelligence e satellitare dagli britannici e/o statunitensi per mettere a segno l’attacco, a conferma che in occidente vi sono nazioni che vogliono scongiurare un’intesa che sospenda il conflitto.
Gli Stati Uniti si sono subito smarcati da ogni responsabilità. Un anonimo funzionario ucraino citato da Axios ha riferito che il presidente americano Donald Trump è stato informato da Kiev in anticipo rispetto all’operazione militare contro le basi aeree. Durissima la risposta dell’Amministrazione Trump. CBS News, citando fonti interne all’amministrazione, ha riferito che la Casa Bianca non è stata informata degli attacchi pianificati dall’Ucraina contro gli aeroporti militari russi. Axios ha dovuto rettificare il suo articolo indicando che l’Ucraina non ha informato l’amministrazione Trump dei suoi piani di attaccare le basi aeree russe con i droni.
Evidente quindi il tentativo di Kiev di coinvolgere gli Stati Uniti in questo attacco strategico portato a vettori aerei che fanno parte del deterrente nucleare di Mosca, con l’evidente intento di condizionare la postura di Trump sul conflitto.
Marco Rubio e Sergei Lavrov si sono sentiti al telefono nelle scorse ore probabilmente proprio per scongiurare una crisi bilaterale ed è probabile che si siano parlati anche io capi di stato maggiore Difesa. Meglio infatti non dimenticare che l’attacco a uno degli assetti delle capacità strategiche nucleari costituisce n termini di dottrina un motivo per ricorrere alla risposta atomica.
La Gran Bretagna resta quindi il maggiore indiziato per il supporto satellitare e d’intelligence necessario a pianificare e portare a compimento l’attacco alle 5 basi la cui complessità si evince che dalla considerazione che a quanto sembra solo in due basi gli ucraini sono riusciti a conseguire successi.
Ma su Londra aleggia anche il sospetto di aver complottato con Zelensky (la cui sicurezza, insieme a quella dei palazzi del potere a Kiev, è garantita da un migliaio di contractors britannici) per minare la ripresa delle relazioni tra Washington e Mosca e sabotare i colloqui di Istanbul e l’intero impianto negoziale.
Non a caso questa mattina il premier britannico Keir Starmer ha difeso l’attacco alle basi aeree russe sostenendo che l’Ucraina “ha il diritto assoluto all’autodifesa” ma soprattutto ha colto l’occasione per dirsi sempre più colpito “dallo spirito di resistenza e dal coraggio” degli ucraini, descrivendo l’attacco di ieri come una dimostrazione del fatto che Kiev continua a combattere contro la Russia, “non è sconfitta” e dispone ormai di “una delle più temprate forze combattenti d’Europa”.
Per comprendere chi sta remando contro un accordo tra russi e ucraini che inevitabilmente comporterebbe forti penalizzazioni per Kiev vale la pena ricordare che, sempre oggi, il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha dichiarato in Lituania che il percorso dell’Ucraina per far parte della NATO è “irreversibile” ma “non c’è una data di scadenza“.
“A Washington c’era un chiaro impegno da parte di tutti i trentadue Alleati, ovvero che esiste un percorso irreversibile per l’Ucraina verso la Nato: non con una data di scadenza, non interpretandolo come parte di un accordo di pace, ma chiaramente come un impegno a lungo termine da parte di tutti”, ha specificato Rutte contraddicendo quanto espresso dagli Stati Uniti e da diversi altri stati membri dell’Alleanza oltre che rovesciando uno dei punti cardine posti dai russi come condizione per negoziare.
Illustrazioni: SBU. Telegram, NATO, Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, Presidenza Ucraina e ISW

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.