Il pavone padrone dell‘Aia piena di polli adoranti

Non si erano mai visti in un’aia tanti polli omaggiare adoranti un pavone così superbo, proteso a impartire ordini tassativi, minacciare i disobbedienti e umiliare i suoi più umili servitori.
Al vertice dell’Aia la NATO è di fatto morta come alleanza pur sopravvivendo come una sorta di impero feudale in cui il sovrano cerca e ottiene sudditanza e adulazione dai vassalli sottomessi.
Gli Stati Uniti di Donald Trump appaiono oggi non più il “grande alleato” ma il vero padrone, che oltre a spiare gli europei come un “grande fratello” pretende anche devozione, cieca obbedienza e glorificazione delle proprie gesta e di quelle del suo condottiero.
Valutazioni esagerate? Forse, ma è difficile raccontare in termini diversi il Vertice NATO dell’Aia, in cui Donald Trump è stato il totale e assoluto protagonista di fronte ad alleati europei ormai trattati apertamente come docili vassalli a cui concedere di sedere al fianco del monarca assoluto, oppure come servi da disprezzare e umiliare pubblicamente.
Come spiegare con termini diversi il fatto che Trump abbia reso pubblica la lettera del Segretario generale della NATO, l’olandese Mark Rutte, che lo celebrava come un imperatore al ritorno da una trionfale campagna militare per i raids contro i siti nucleari dell’Iran.

Photo: Martijn Beekman
Rutte ha lodato “l’azione decisiva di Trump in Iran” dicendo al presidente che “l’Europa pagherà in grande stile per la Difesa e sarà una tua vittoria”. Rutte ha ringraziato Trump per averci imposto il 5 per cento con un servilismo che ha fatto scrivere all’opinionista Arnaud Bertrand: “Abbiamo raggiunto l’apice del vassallaggio europeo, perfino i servi medievali avevano più rispetto di sé”.
Come è ben noto Trump non è certo amato dalla gran parte dei governi europei, aspetto che non sembra aver impedito una quasi generale genuflessione ai suoi piedi, forse per non scatenarne l’ira e con la convinzione di poter eludere col tempo i suoi diktat.
Che Rutte mostri servilismo verso il presidente statunitense può forse non sorprendere ma che Trump lo ridicolizzi pubblicando la lettera scritta in ginocchio dal segretario generale conferma ancora una volta il disprezzo con cui il presidente americano e sua amministrazione guardano all’Europa. Peraltro confermato in questi giorni anche dal senatore repubblicano Mike Lee che ha presentato tre proposte per l’uscita degli Stati Uniti dalla NATO e smascherare gli “alleati parassiti”.
Il senatore dello Utah ha presentato una serie di proposte di legge che puntano al ritiro degli Stati Uniti dall’Alleanza Atlantica, a una maggiore trasparenza sui contributi alla difesa e alla denuncia degli alleati che non rispettano i propri impegni. “Il ritiro dell’America dalla NATO è atteso da tempo”, ha affermato Lee. “Le minacce per cui è nata non sono più rilevanti. Se lo fossero, l’Europa pagherebbe la sua giusta quota invece di far pagare tutto ai contribuenti americani”.
Anche il senatore del Kentucky, il repubblicano Rand Paul, ha detto che “è tempo che i nostri alleati si assumano le proprie responsabilità. Basta assegni in bianco”. Sulla stessa linea, la senatrice del Tennessee Marsha Blackburn: “La NATO è vitale solo se tutti fanno la loro parte. L’America non può continuare a essere il gendarme del mondo”.
Polemica alimentata dal fatto che un terzo dei 32 stati membri della NATO non raggiunge ancora il del 2% del PIL dedicato alle spese militari, come concordato nel 2014 mentre all’Aia tutti hanno sottoscritto l’impegno a raggiungere il 5 per cento del PIL entro il 2035, cioè tra dieci anni anche se nel 2029 verrà attuata una valutazione del piano per vedere a che punto sono arrivati i singoli partner.

Un traguardo imposto da Trump e recepito da tutti i 32 alleati che comprende un 3,5% di spesa per la difesa vera e propria e un altro 1,5% per la “sicurezza”, in cui si include la protezione delle infrastrutture critiche, la difesa civile, il sostegno all’innovazione e all’industria della difesa”, come recita la dichiarazione approvata all’unanimità.
Considerato il dibattito apertosi anche in Italia che contrappone favorevoli e contrari all’aumento delle spese militari, occorre precisare un punto fondamentale di cui si nota una diffusa reticenza a parlare.
L’iniziativa del 5% del PIL alla Difesa non ha nulla di militare: i piani di sviluppo delle forze armate si fanno diversamente, cioè definendo cosa occorre per conseguire le capacità stabilite, quanto tempo è necessario e quanto costa produrre gli equipaggiamenti necessari nonché arruolare e addestrare il personale necessario e infine reperendo le risorse richieste per sostenere un piano di sviluppo. Non certo stabilendo a priori percentuali di PIL.
Trump infatti non ha mai nascosto quali scopi persegua il suo diktat, peraltro riproposto dopo che era stato anticipato già durante il suo primo mandato: a suo dire gli alleati dovrebbero spendere in “hardware militare”, cioè in armamenti, sottolineando che le armi statunitensi sono di eccellente qualità.
Nella valutazione della Casa Bianca, l’obiettivo del 5 per cento per la Difesa ha un valore finanziario e commerciale: gli alleati europei comprino armi statunitensi per riequilibrare la bilancia commerciale tra le due sponde dell’Atlantico ed evitare i dazi americani che lo stesso Trump minaccia quotidianamente a tutti gli alleati.
Ai polli europei, schiacciati dall’incudine del 5 per cento di Trump e il martello degli 800 miliardi a debito che ci vuole imporre la Ue, tocca obbedire anche se tutti sono consapevoli che entrambi i programmi non hanno un carattere militare ma solo economico: il primo per favorire gli Stati Uniti, il secondo la Germania. In entrambi i casi paghiamo noi.

Peraltro, come Analisi Difesa ha illustrato da tempo, l’Europa non ha le condizioni economiche per il riarmo. Costi energetici e di materie prime troppo alti e indisponibilità di acciaio ed esplosivo rendono i prodotti dell’industria europea troppo cari, favorendo così l’acquisto dei prodotti statunitensi o di altre nazioni come la Corea del Sud, protagonista con aerei e mezzi corazzati a costi contenuti sui mercati europei.
Un Trump arrogante come non mai ha imposto agli alleati un tetto di spese per la Difesa più elevato di quello degli Stati Uniti, che spendono il 3,3 per cento per la Difesa (ma solo una parte di esso per la difesa dell’Europa), ma non ha neppure ritenuto doveroso ribadire il ruolo della deterrenza statunitense nei confronti degli alleati.
Intervistato sull’impegno americano nei confronti dell’Articolo 5 del trattato NATO (l’attacco a uno stato membro sarà considerato come rivolto a tutti gli alleati che adotteranno le misure che necessarie per assistere l’aggredito), ha risposto che “dipende dalla tua definizione dell’Articolo 5”.
Una dichiarazione che mina il principio della difesa collettiva su cui si basa l’intera architettura dell’Alleanza e sottolinea che Washington non si sente vincolata a sostenere in armi un alleato sotto attacco. Per fare un esempio concreto, si può intendere che Trump non metterebbe a rischio i rapporti con Mosca, in evidente via di consolidamento, per tutelare col suo ombrello nucleare una repubblica baltica minacciata da Mosca.
Trump ci prende a calci e Rutte continua a lustrargli le scarpe. Durante la conferenza stampa al termine del vertice Trump ha parlato di Iran e Israele che “hanno avuto una grande litigata, come due bambini nel cortile di una scuola. Litigano come matti, non si può fermarli. Lasciateli litigare per due o tre minuti, poi sarà più facile fermarli”.
Una frase che un paio di settimane or sono, in termini simili, aveva già utilizzato per commentare il conflitto tra Russia e Ucraina paragonando i due belligeranti a bambini che litigano. Il risultato fu che, per una volta, Russia e Ucraina furono unite nel protestare spiegando al presidente le rispettive ragioni di quella guerra.

Photo: Martijn Beekman
Se il pavone rimedia figuracce, i polli si guardano bene dal farglielo notare. Infatti Rutte non ha perso l’occasione per mettersi prono davanti a Trump aggiungendo che “paparino (daddy) a volte deve usare un linguaggio forte”.
Un “paparino sopra le righe, in piena foga autocelebrativa che mentre faceva la ruota si è vantato rivendicando di aver impedito l’escalation tra India e Pakistan, ha annunciato che nel weekend avrebbe convocato Ruanda e Congo per mettere fine ad una “guerra tremenda combattuta coi machete” e ha rivendicato di aver messo fine alla guerra dei dodici giorni tra Israele e Iran, “annientando” i siti nucleari iraniani, specie quello di Fordow. Lo stesso effetto, ha notato, che ebbero le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, che imposero la resa incondizionata al Giappone nell’estate del 1945.
Paragonare Fordow a Hiroshima e Nagasaki non è solo una sciocchezza ma risulta offensivo per i giapponesi, anche solo tenendo conto che nel sito iraniano colpito dalle bombe americana non risultano esserci stati morti, a differenza delle due città nipponiche devastate dalle bombe nucleari americane dove morirono solo per le esplosioni oltre 150 mila persone e in Giappone non vi erano siti nucleari da neutralizzare.
Paragone infelice anche perché dimostra anche il disprezzo di Trump per un altro alleato storico degli Stati Uniti, considerato a quanto pare nulla più di un vassallo. Il primo ministro giapponese Yoshimasa Hayashi ha mostrato grande garbo orientale nel commentare le parole del presidente limitandosi a osservare che “la valutazione delle dichiarazioni di Trump spetta agli storici”.
Il generale Maurizio Boni, che ha lavorato a lungo in comandi NATO, ha evidenziato su Analisi Difesa come “la durata record del vertice – meno di 24 ore – rappresenta forse l’aspetto più emblematico della crisi dell’Alleanza. I funzionari NATO hanno deliberatamente accorciato i tempi per evitare che Donald Trump abbandonasse prematuramente i lavori, come aveva fatto una settimana prima durante il G7 in Canada a causa della crisi mediorientale”.
Al generalizzato servilismo degli europei nei confronti di Trump, che ormai quotidianamente si auto-propone per il Premio Nobel per la Pace, ha opposto una fiera resistenza il governo di sinistra spagnolo, mostratosi campione di sovranismo, nel ribadire che non spenderà per la Difesa più del 2,.1 per cento del Pil.

Messaggio già espresso da Madrid in ambito Ue nel marzo scorso quando il ministro della Difesa Margarita Robles aveva detto che sarebbe stato raggiunto il 2 per cento solo nel 2029 e solo se questo non avesse determinato tagli rilevanti alla spesa sociale. All’Aia il ministro degli Esteri José Manuel Albares Bueno ha detto che Madrid spenderà il 2,1%, centrando comunque gli obiettivi di capacità.
Trump ha definito “terribile” l’iniziativa della Spagna, che, ha detto, “non vuole pagare” quanto deve. “Non lo permetterò”, ha tuonato, minacciando ritorsioni sul piano commerciale. Il premier Pedro Sanchez ha ribadito che l’investimento del 2% del Pil in difesa è in linea con il modello sociale della Spagna, “un investimento che riteniamo sufficiente, realistico e – ciò che è molto importante per la Spagna – compatibile con il nostro modello sociale, con il nostro stato del benessere”.
Il ministro Robles, ha affermato che avrebbe voluto che il presidente Trump, invece di dare consigli alla Spagna, “che non ne ha bisogno“, avesse fatto riferimento all’Ucraina e a Gaza durante il vertice NATO e lo ha invitato a usare la sua influenza per porre fine a entrambe le guerre. Robles, riferiscono i media iberici, ha fatto notare che Trump non ha fatto “una sola menzione all’Ucraina e a Gaza, terribili focolai che l’umanità sta vivendo“.

Il ministro iberico ha toccato un nervo scoperto. In un vertice fatto di corsa per non annoiare Trump, c’è stato poco spazio per l’Ucraina, quasi messa da parte anche in questo caso per volontà degli USA, anche se Trump ha detto a Volodymyr Zelensky che valuterà l’eventuale invio di altri missili Patriot da difesa aerea.
La dichiarazione conclusiva del summit (che riportiamo in coda a questo articolo tradotta in lingua italiana) ribadisce gli impegni “sovrani” (quindi di ogni singolo Stato) a sostenere Kiev. Rutte ha ripetuto che esiste un percorso “irreversibile” dell’Ucraina verso l’adesione alla NATO ma di questo non vi è traccia in nessun documento, a conferma che Trump intende lasciare agli europei il fardello del confronto militare con la Russia e del sostegno militare all’Ucraina.
Il vertice NATO dell’Aia ha messo in luce tutte le contraddizioni e l’inadeguatezza di un’alleanza che tira a campare. Nessuno stato membro ha finora raggiunto l’obiettivo di spesa del 5% (la Polonia è la più vicina, al 4,7%), diversi economisti spiegano che si tratta di un tetto insostenibile ma nei prossimi dieci anni tutti potranno correggere o rimangiarsi gli impegni assunti in base agli sviluppi geopolitici, economici e finanziari.
Nel 2029 la verifica del programma vedrà probabilmente al potere in Europa governi diversi da quelli attuali mentre anche Trump sarà a fine mandato. Inoltre entro il 2029 e di certo entro il 2035 vedremo quanto sono credibili le fosche previsioni di invasione russa dell’Europa, ipotizzate entro i prossimi tre/cinque anni da molti esponenti governativi europei e persino da una fonte del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE).
Smentendo il disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa, l’anonimo alto ufficiale ha ricordato il 26 giugno che il Comandante Supremo Alleato d’Europa, generale dell’US Army Christopher G. Cavoli, “ha affermato che le ambizioni del presidente russo Vladimir Putin non si fermano all’Ucraina”. Putin punterà ad arrivare a Lisbona o si accontenterà delle repubbliche baltiche?

Nel dubbio, all’Aia i “polli europei” si sono mostrati proni al “pavone Trump” ma prendendo tempi lunghi per obbedire ai suoi diktat. Nel frattempo la NATO non esita a complicarsi la vita.
Non riesce ad aiutare efficacemente l’Ucraina, mantiene alta la tensione con la Russia ma cerca nuovi nemici a Oriente. Come ha scritto Boni, Rutte ha intensificato la retorica ostile nei confronti della Cina, definendo l’espansione militare di Pechino “senza precedenti” e una minaccia diretta per l’Occidente. “Non stanno accumulando forze per parate a Pechino“, ha avvertito, preparando l’Occidente a uno scontro su due fronti: in Europa contro la Russia e in Asia contro la Cina.
Anche per questo l’impressione è che il vertice dell’Aia, mettendo insieme l’arrogante pavone americano e i timidi polli europei, abbia evidenziato soprattutto che la NATO fatica a garantire sicurezza e deterrenza ai suoi membri, non è in grado di combattere e vincere guerre ma punta essenzialmente a cercare e indicare nemici per giustificare e legittimare la propria esistenza. Fino a quando?
Foto NATO
La Dichiarazione congiunta al termine del Summit NATO dell’Aia
Noi, Capi di Stato e di Governo dell’Alleanza Atlantica, ci siamo riuniti all’Aia per riaffermare il nostro impegno nei confronti della NATO, l’Alleanza più forte della storia, e del legame transatlantico. Riaffermiamo il nostro ferreo impegno per la difesa collettiva, come sancito dall’Articolo 5 del Trattato di Washington: un attacco a uno è un attacco a tutti. Rimaniamo uniti e risoluti nella nostra determinazione a proteggere il nostro miliardo di cittadini, difendere l’Alleanza e salvaguardare la nostra libertà e democrazia.
Uniti di fronte alle profonde minacce e sfide per la sicurezza, in particolare alla minaccia a lungo termine rappresentata dalla Russia per la sicurezza euro-atlantica e alla persistente minaccia del terrorismo, gli Alleati si impegnano a investire il 5% del PIL all’anno nei requisiti fondamentali della difesa, nonché nella spesa per la difesa e la sicurezza, entro il 2035, per garantire i nostri obblighi individuali e collettivi, in conformità con l’Articolo 3 del Trattato di Washington. I nostri investimenti garantiranno la disponibilità di forze, capacità, risorse, infrastrutture, prontezza operativa e resilienza necessarie per la deterrenza e la difesa, in linea con i nostri tre compiti principali: deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa.
Gli Alleati concordano che questo impegno del 5% comprenderà due categorie essenziali di investimenti per la difesa. Gli Alleati stanzieranno almeno il 3,5% del PIL all’anno, sulla base della definizione concordata di spesa per la difesa della NATO entro il 2035, al fabbisogno di risorse per la difesa e al raggiungimento degli Obiettivi di Capacità della NATO. Gli Alleati si impegnano a presentare piani annuali che indichino un percorso credibile e progressivo per raggiungere questo obiettivo. Gli Alleati contribuiranno fino all’1,5% del PIL all’anno, tra l’altro, a proteggere le nostre infrastrutture critiche, difendere le nostre reti, garantire la nostra preparazione e resilienza civile, liberare l’innovazione e rafforzare la nostra base industriale di difesa. La traiettoria e l’equilibrio della spesa nell’ambito di questo piano saranno rivisti nel 2029, alla luce del contesto strategico e degli Obiettivi di Capacità aggiornati. Gli Alleati ribadiscono il loro impegno sovrano e duraturo a fornire supporto all’Ucraina, la cui sicurezza contribuisce alla nostra, e, a tal fine, includeranno i contributi diretti alla difesa ucraina e alla sua industria di difesa nel calcolo della spesa per la difesa degli Alleati.
Riaffermiamo il nostro impegno comune a espandere rapidamente la cooperazione transatlantica nel settore della difesa e a sfruttare le tecnologie emergenti e lo spirito di innovazione per promuovere la nostra sicurezza collettiva. Ci impegneremo per eliminare le barriere commerciali nel settore della difesa tra gli Alleati e faremo leva sulle nostre partnership per promuovere la cooperazione nel settore della difesa.
Esprimiamo il nostro apprezzamento per la generosa ospitalità offertaci dal Regno dei Paesi Bassi. Attendiamo con impazienza il nostro prossimo incontro in Turchia nel 2026, seguito da un incontro in Albania.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.