L’Iran guadagna tempo, Trump se ne prende un po’ e a Israele ne resta poco

 

Nelle ultime 48 ore il numero di vittime registrate in Iran per i raids aerei israeliani è salito ad almeno 430 morti e 3.500 feriti secondo quanto riportato dal ministero della Sanità mentre Israele lamenta 24 persone morte e 1.217 ferite, di cui 12 in gravi condizioni.

Sul fronte militare Israele continua la corsa contro il tempo per eliminare i veicoli lanciatori di missili balistici (TEL) prima che la difesa aerea dello Stato ebraico si ritrovi a corto di missili intercettori

Oggi le Israeli Defence Forces (IDF) hanno reso noto di aver distrutto oltre il 50% dei lanciatori di missili balistici e molti altri sono intrappolati nei tunnel colpiti tra le montagne iraniane. Secondo l’esercito, gli iraniani hanno ora difficoltà a sparare salve di decine di missili contro Israele dall’Iran occidentale e stanno lanciando da est. L’Aeronautica militare ha lanciato nella notte due potenti raid nell’Iran occidentale e centrale: a ovest, 15 aerei da combattimento hanno lanciato 30 bombe contro un enorme tunnel per lo stoccaggio di missili balistici.

Teheran del resto sembra aver modificato la propria strategia missilistica, puntando ora sulla qualità delle armi impiegate invece che sulla quantità, secondo quanto affermato da un alto funzionario iraniano all’emittente statunitense CNN.

Invece di lanciare un elevato numero di missili, l’Iran sta impiegando missili di precisione più avanzati contro obiettivi militari e centri di sicurezza sensibili e il funzionario nega l’affermazione israeliana secondo cui la diminuzione dei lanci di missili sarebbe dovuta all’esaurimento delle scorte. “Abbiamo osservato che un missile iraniano è riuscito a penetrare facilmente i sistemi americani THAAD, Patriot, Arrow 3, Arrow 2, David’s Sling e l’intera famiglia di sistemi Iron Dome, colpendo il bersaglio prestabilito”.

Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica (IRGC) ha annunciato questa mattina di aver lanciato missili verso Tel Aviv per colpire l’aeroporto Ben Gurion e alcuni centri militari. Nel comunicato, rilanciato dall’agenzia iraniana Mehr, i Pasdaran spiegano di aver lanciato la diciottesima ondata dell’operazione Vera Promessa 3, utilizzando numerosi droni suicidi e da combattimento, come lo Shahed 136, nonché missili di precisione a combustibile solido e liquido.

Secondo la dichiarazione, l’attacco ha distrutto con successo obiettivi predeterminati presso l’aeroporto Ben Gurion e i centri logistici operativi militari. I sistemi di difesa israeliani, sostengono i Pasdaran, “non sono riusciti a intercettare i droni iraniani, costringendo gli israeliani a rifugiarsi nei rifugi. I media del regime israeliano hanno riferito che sei missili iraniani su dieci hanno colpito i loro obiettivi durante l’ultima tornata di attacchi”, sottolinea l’IRGC.

La maggiore letalità dei missili iraniani potrebbe essere dovuta non solo alle loro qualità di velocità e manovrabilità ma anche al fatto che cominciano s scarseggiare le armi antimissile in mano a Israele.

 

“Bersaglio Grossi”  

Oggi l’Aeronautica Israeliana (IAF) ha reso noto di aver condotto raid notturni impiegando circa 50 aerei da combattimento che hanno sganciato 150 bombe e missili contro decine di obiettivi in Iran, tra cui il sito nucleare di Isfahan e quattro lanciatori di missili balistici pronti al lancio.

Le IDF hanno specificato che i raid sul sito nucleare di Isfahan, già colpito da Israele il primo giorno del conflitto, avevano l’obiettivo di infliggere ulteriori danni al programma nucleare iraniano. “In particolare, all’interno del complesso è stato preso di mira anche un impianto di produzione di centrifughe, oltre ad altri obiettivi militari del regime iraniano nell’area di Isfahan”, ha dichiarato l’IDF sottolineando che i bombardamenti hanno arrecato “danni significativi” alle capacità produttive di centrifughe dell’Iran.

Sulle capacità nucleari iraniane il dibattito resta vivace e ricco di polemiche. L’Iran ha presentato una denuncia contro il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), Rafael Grossi, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per “il suo approccio al programma nucleare iraniano”.

Come riporta l’agenzia IRNA, in una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres e al CVonsiglio di Sicurezza, il rappresentante dell’Iran all’Onu, Saeed Iravani, ha affermato che “le dichiarazioni del capo dell’Aiea contro il programma nucleare iraniano, rilasciate alla vigilia degli attacchi israeliani contro l’Iran, hanno violato palesemente e gravemente il principio di imparzialità“. Ieri Grossi ha dichiarato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, sebbene l’Iran disponga del materiale necessario per costruire una bomba nucleare, non sembra avere intenzione di farlo.

Io 20 giugno Grossi aveva dichiarato che un attacco diretto alla centrale nucleare iraniana di Bushehr, attualmente in funzione, avrebbe conseguenze molto “gravi”, con il potenziale rilascio di grandi quantità di radiazioni nell’ambiente. Allo stato attuale, gli attacchi israeliani contro l’IRAN “non hanno causato un rilascio di radiazioni tale da poter danneggiare la popolazione“, ma “esiste il pericolo che ciò possa accadere“, ha aggiunto Grossi.

 

La posizione di Mosca

Per il presidente russo Vladimir Putin, indicato anche da Donald Trump come possibile mediatore nel conflitto “non ci sono prove che Iran prepari arma nucleare. Abbiamo informato Israele più volte” ha detto a Sky News.

“La Russia, come l’Aiea, non ha mai avuto la minima prova che l’Iran si stesse preparando ad acquisire armi nucleari. Abbiamo ripetutamente informato la leadership israeliana di questo. Ci sono alcuni dettagli che possono essere discussi e concordati”, ha affermato sottolineando che “se Israele ha delle preoccupazioni, allora queste devono essere risolte, e ci sono modi e possibilità per risolverle“, ha concluso Putin.

Il presidente russo aveva liquidato anche l’ipotesi che israeliani o statunitensi puntino a uccidere l’ayatollah Ali Khamenei.

Non voglio neppure parlarne” ha detto Putin parlando alla stampa internazionale nell’ambito del Forum Economico di San Pietroburgo, il presidente russo ha definito irresponsabili tali speculazioni e ha sostenuto che, nonostante le tensioni interne, “la società iraniana si sta consolidando attorno alla leadership politica del Paese”.Secondo Putin “le strutture sotterranee di arricchimento dell’uranio sono intatte”, quindi a suo avviso le capacità nucleari iraniane non sono state compromesse.

Putin ha ribadito che la Russia ha “ottime relazioni” con l’Iran e che Mosca può garantire i suoi interessi nel campo dell’energia nucleare civile. Ha ricordato l’esistenza di un trattato di partenariato strategico con Teheran, ma ha precisato che esso non include cooperazione militare, e che l’Iran non ha richiesto armamenti.

“Il trattato di partenariato strategico firmato con l’Iran non prevede cooperazione militare e l’Iran non ha avanzato alcuna richiesta formale di assistenza in tal senso“, ha affermato il capo del Cremlino. Mosca si è detta disponibile a gestire il ciclo del combustibile nucleare iraniano, offrendo uranio arricchito e ritirando quello lavorato, come soluzione diplomatica per rassicurare Israele.

Putin ha inoltre confermato di aver ricevuto garanzie da parte israeliana sul fatto che i tecnici russi presenti nella centrale atomica di Bushehr non saranno colpiti. Nel frattempo, il ministero degli Esteri russo ha messo in guardia da un possibile attacco israeliano alle infrastrutture nucleari iraniane, definendolo un rischio di “catastrofe nucleare”. Il viceministro Sergey Ryabkov ha avvertito Washington che colpire l’Iran destabilizzerebbe l’intero Medio Oriente.

Il 19 giugno il portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova aveva messo in guardia gli Stati Uniti contro qualsiasi “intervento militare” nel conflitto tra Iran e Israele, avvertendo da “conseguenze negative davvero imprevedibili. Vogliamo mettere in guardia Washington contro qualsiasi intervento militare in questa situazione, che rappresenterebbe un passo estremamente pericoloso con conseguenze negative davvero imprevedibili”.

 

L’intelligence USA; bomba no, ma anche si!

Sul tema della “bomba” iraniana non mancano gli aspetti comici, come il dietrofront di Tulsi Gabbard, il coordinatore delle agenzie d’intelligence statunitensi che si è detta oggi convinta che l’Iran possa dotarsi della bomba non più in tre anni ma in tre settimane.

I media disonesti stanno intenzionalmente decontestualizzando la mia testimonianza e diffondendo notizie false per alimentare la divisione. L’America ha informazioni di intelligence che indicano che l’Iran è in grado di produrre un’arma nucleare entro poche settimane o mesi, se decide di finalizzare l’assemblaggio.

Il presidente Trump ha chiarito che ciò non può accadere, e sono d’accordo” ha scritto Gabbard su X dopo che si erano diffuse voci di una sua imminente rimozione dall’incarico dovuta alle divergenti valutazioni tra l‘intelligence statunitense e il presidente emerse in seguito alle polemiche sulla sua testimonianza al Congresso a marzo scorso.

Il presidente Trump, parlando con i reporter, aveva detto di pensare che l’Iran fosse a settimane o mesi dalla bomba atomica, sostenendo che guida degli 007 Usa si “sbaglia” sulla distanza che separa Teheran dall’arma nucleare.

Un rovesciamento di ruoli certo non nuovo ma oggi più pericoloso che mai. Il vertice politico non prende decisioni in base ai rapporti dell’intelligence ma, al contrario, stabilisce una linea e i rapporti d’intelligence devono adeguarsi ad essa, oppure qualche testa cadrà.

Una vicenda che ricorda la polemica sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein che nel 2003 venne utilizzata come casus belli dall’Amministrazione Bush Jr. per l’invasione dell’Iraq con enormi pressioni sull’intelligence affinché suffragasse tale decisione politica anche se non venne mai trovata traccia di tali armi.

Difficile poi decifrare quali iniziative assumerà Donald Trump nei confronti dell’Iran. Dopo aver ammonito il regime degli ayatollah ad “arrendersi senza condizioni” ha successivamente affermato di volersi prendere un paio di settimane per decidere se intervenire o meno al fianco di Israele nella guerra.

 

Trump va alla guerra?

Nel frattempo i preparativi statunitensi a un possibile intervento proseguono con il ritiro dei civili dalle ambasciate e dalle numerose basi militari statunitensi nel Golfo Persico e con l’invio in mare delle navi americane ancorate nel porto di Manama, in Bahrain, sede del comando della 5a Flotta.

Inoltre, l’elevato numero (tra 50 e 60) di aerei da combattimento israeliani in volo quasi a tempo pieno sui cieli iraniani, a oltre 1.500 chilometri dalle basi in Israele, induce a ritenere che i numerosi aerei cisterna statunitensi volino sull’Iraq per “fare il pieno” ai caccia israeliani che nella loro aeronautica dispongono di meno di una decina di aerei di questo tipo.

Le IDF hanno dichiarato ieri mattina che nella notte tra il 19 e il 20 giugno più di 25 aerei hanno colpito e distrutto più di 35 strutture utilizzate per lo stoccaggio e il lancio di missili nelle aree di Tabriz e Kermanshah, nell’Iran occidentale. Le forze di Tel Aviv sono concentrate a distruggere missili balistici e soprattutto i lanciatori mobili di tali armi per ridurre la pressione delle ondate di missili balistici iraniani che insieme ai droni stanno colpendo duramente Israele, eludendo sempre più spesso le difese aeree israeliane, considerate formidabili ma già ampiamente “bucate” dai missili iraniani nell’aprile 2024.

Il Wall Street Journal ha scritto, citando un anonimo funzionario statunitense, che Israele starebbe esaurendo le scorte di intercettori Arrow. sollevando dubbi sulla capacità dello Stato ebraico di contrastare ancora a lungo i missili balistici iraniani se il conflitto non dovesse chiudersi a breve.

Gli Stati Uniti sarebbero a conoscenza della situazione “da mesi” e Washington ha potenziato le difese di Israele con sistemi terrestri (THAAD), navali (AEGIS con missili Sm3 imbarcati sui cacciatorpediniere classe Burke) e aerei. Dall’escalation del conflitto il Pentagono ha inviato ulteriori mezzi di difesa missilistica nella regione ma la preoccupazione è che anche gli Stati Uniti stiano assottigliando le scorte. Specie considerando l’intenso impegno di missili da difesa area contro gli Houthi dello Yemen e per rifornire negli ultimi tre anni l’Ucraina.

Le difficoltà di Israele a difendere il proprio spazio aereo per carenza di missili spiegherebbero, al di là dell’obiettivo di colpire con gigantesche bombe a penetrazione il sito nucleare iraniano di Fordow situato in profondità sotto una montagna, le continue pressioni espresse anche dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, affinché gli Stati Uniti si uniscano allo Stato ebraico nella guerra all’Iran.

L’intervento diretto delle forze statunitensi comporterebbe la rappresaglia (già preannunciata) iraniana alle loro basi in Medio Oriente. Un aspetto che vedrebbe quindi coinvolte diverse nazioni arabe che ospitano basi statunitensi tra cui Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Giordania e Iraq. Sono tutte disposte a ritrovarsi di fatto in guerra con l’Iran?

Se così non fosse l’intervento statunitense, oltre al rischio di far esplodere l’intero Golfo Persico, potrebbe provocare una forte crisi nei rapporti tra Washington e monarchie arabe.

 

Obiettivo Fordow

Come anticipato all’inizio di questo articolo, il supporto diretto di Washington alle operazioni israeliane sull’Iran si renderebbe necessario anche per colpire in profondità il sito atomico sotterraneo ubicato (si dice) a 90 metri di profondità di Fordow, 20 chilometri a nord-est della città santa di Qom, capitale spirituale dell’Iran.

Costruito sotto una montagna, non è vulnerabile alle bombe a penetrazione in dotazione alle forze aeree israeliane e forse solo le bombe la GBU 57/B Massive Ordnance Penetrator statunitensi potrebbero potenzialmente conseguire qualche risultato sganciando gli ordigni dai bombardieri B-2 Spirit americani. In alternativa, se Washington concedesse tali ordigni all’alleato, l’aeronautica israeliana potrebbe sganciare una di queste bombe, dal peso di 14 tonnellate, solo utilizzando un aereo da trasporto C-130, lento e vulnerabile ai missili antiaerei iraniani.

L’Iran ha iniziato a costruire segretamente l’impianto di Fordow dopo aver annunciato ufficialmente la chiusura del suo programma nucleare militare e ne ha riconosciuto l’esistenza solo nel settembre 2009, dopo che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno diffuso informazioni di intelligence.

Situato all’interno di una grande base del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, Fordow è entrato in funzione alla fine del 2011 come sito per l’arricchimento dell’uranio ad alti livelli, capace di ospitare circa 3.000 centrifughe. Nel 2015, nell’ambito del già citato accordo sul nucleare (JCPOA), Teheran accettò di interrompere l’arricchimento dell’uranio a Fordow e di convertire l’impianto in un centro di ricerca.

Quando nel 2018, nel suo primo mandato presidenziale, Donald Trump ha ritirato in modo unilaterale gli USA dall’accordo l’Iran ha ripreso le attività di arricchimento a Fordow. Nel 2019, Teheran ha annunciato che avrebbe arricchito l’uranio al 5% e poi al 20%. Nel 2023, l’Aiea ha rilevato la presenza di uranio arricchito all’83,7%, un livello vicino a quello necessario per costruire armi nucleari (90%). Allora, le autorità iraniane hanno riferito di “fluttuazioni involontarie” dei livelli di arricchimento.

Ieri gli israeliani hanno colpito anche il reattore nucleare di Arak ma lo stesso Vladimir Putin ha precisato che il potenziale nucleare iraniano è in realtà rimasto intatto, con un riferimento ai bunker in profondità nel sottosuolo realizzati da Teheran per proteggerlo. Mosca ha le idee chiare sul programma atomico iraniano poiché la centrale nucleare di Busher e la gran parte degli impianti iraniani sono stati realizzati da società e tecnici russi.

Mosca si oppone inoltre decisamente al cambio di regime a Teheran, vero obiettivo di USA e Israele e definito “inaccettabile” dal portavoce del Cremlino Dimitry Peskov. Due funzionari israeliani hanno detto ieri al sito Iran International”, legato all’opposizione iraniana, che l’attacco a Fordow potrebbe cominciare nelle prossime 48-72 ore senza l’aiuto degli Stati Uniti. Nelk frattempo i raids degli aerei di Tel Aviv hanno ucciso un altro scienziato iraniano (il decimo dal 12 giugno) coinvolto nel programma nucleare.

 

Tempi stretti per Israele

Notizia che confermerebbe la fretta di Israele di chiudere la guerra, dettata non solo dalle condizioni strategiche con sei fronti di guerra aperti (Gaza, Cisgiordania, Siria, Libano Yemen e Iran) , ma anche da quelle economiche.

Secondo i dati raccolti dal sito economico israeliano Calcalist, Tel Aviv ha speso 67,5 miliardi di dollari per la guerra a Gaza e in Libano iniziato nell’ottobre 2023 e almeno 7 miliardi (735 milioni di dollari al giorno) per il conflitto in Iran iniziato il 12 giugno.

Una cifra indicata anche da Reuters e Guardian, come ricordava ieri l’agenzia ANSA Il massiccio richiamo di riservisti sta riducendo la forza lavoro e la produttività economica mentre il bilancio del Ministero della Difesa è quasi raddoppiato in soli due anni ed assorbe ora quasi il 7% del PIL.

Gli analisti economici valutano che tali costi si ripercuoteranno a lungo sui servizi pubblici, in particolare sanità e istruzione mentre il ministero delle finanze ha rivisto le previsioni di crescita del Pil per il 2025 dal 4,3% al 3,6%.

Ciò nonostante ieri il generale Eyal Zamir, capo di stato maggiore delle IDF, ha affermato che gli israeliani devono prepararsi per “un’operazione prolungata” contro l’Iran che sta “costruendo da anni un piano chiaro per distruggere lo Stato di Israele” e che negli ultimi mesi “il piano ha raggiunto il punto di non ritorno, dove le capacità hanno raggiunto la capacità operativa”. Israele ha lanciato l’operazione Rising Lion il 13 giugno scorso “quando l’Iran possedeva circa 2.500 missili terra-terra, con un elevato tasso di produzione, tanto che entro circa due anni si prevedeva che ne possedesse circa 8.000”, aggiunge.

Zamir, che sembra evidenziare i limiti dell’offensiva israeliana, afferma che gli sforzi dell’Iran nel campo dei missili balistici, i suoi rappresentanti in Medio Oriente e i progressi nucleari “ci hanno costretto a colpire e sferrare un attacco preventivo”. Il generale ha aggiunto che le IDF si stanno preparando a una “serie di possibili sviluppi. La campagna non è finita. Sebbene abbiamo ottenuto risultati significativi, ci attendono ancora giorni difficili e dobbiamo rimanere vigili e uniti fino al completamento”.

Del resto se è vero, come sostiene Tel Aviv, che dall’inizio dell’Operazione Rising Lion, sono stati lanciati dall’Iran verso Israele oltre 450 missili e centinaia di droni e oltre 50 siti sono stati colpiti, anche tenendo conto che alcuni missili balistici saranno stati distrutti dai raid israeliani al suolo non è difficile ipotizzare l’Iran possa mettere in campo ancora circa 2.000 missili balistici.

Secondo un’analisi pubblicata nei giorni scorsi su Facebook dall’esperto di geopolitica Nima Baheli, tenendo conto di 250 missili già lanciati e di un numero simile di vettori danneggiati o resi inservibili dai raid israeliani, il numero di missili balistici ancora operativi il 18 giugno si aggirerebbe tra 1.500 e 2.000. I media iraniani, sostengono che molti dei bersagli colpiti dai caccia israeliani fossero in realtà falsi obiettivi, cioè sagome impiegate per ingannare i radar e proteggere gli asset strategici.

Della vasta gamma di missili balistici iraniani (qui sotto l’elenco stilato da Agenzia Nova), non tutti sono impiegabili contro Israele per limiti di raggio d’azione.

Tra questi i missili a corto raggio Fateh-110 a propellente solido (300 chilometri di gittata, 500 chilogrammi di testata), Shahab-1 a combustibile liquido (300 chilometri di gittata, 1.000 chilogrammi di testata), Raad-500 a propellente solido (500 chilometri di gittata, 300 chilogrammi di testata), Shahab-2 a combustibile liquido (500 chilometri di gittata, 1.000 chilogrammi di testata), Zolfaghar a propellente solido (700 chilometri di gittata, 500 chilogrammi di testata), Qiam-1 a combustibile liquido (800 chilometri di gittata, 750 chilogrammi di testata) e Dezful a propellente solido (1.000 chilometri di gittata, 450 chilogrammi di testata).

Considerata la distanza superiore ai mille chilometri che separa le due nazioni (Tel Aviv dista da Teheran in linea d’aria 1.590 chilometri) i missili che l’Iran può utilizzare appartengono al tipo Shahab-3 a combustibile liquido (1.300 chilometri di gittata, 1.000 chilogrammi di testata), Rezvan a combustibile liquido (1.400 chilometri di gittata, 500 chilogrammi di testata), Fattah a propellente solido (1.400 chilometri di gittata, 500 chilogrammi di testata), Kheibar Shekan (combustibile solido, gittata di 1.450 km, testata di 500 kg), Ghadr-110 combustibile (liquido, gittata di 1.600 km, testata: 750kg),  Emad (combustibile liquido, gittata 1.700km  e  testata da 750 kg), Sejjil (solido, gittata: 2 mila, testata: 750); Khorramshahr (liquido, gittata: 2 mila, testata: 1.800) e Khorramshahr-4 (Khaybar) a combustibile liquido con gittata di  2.000 km e testata da 1.500 chili.

Il canale Telegram militare russo Blizhnevostochnyj Buka valuta che l’operazione israeliana mira soprattutto a neutralizzare i cosiddetti “colli di bottiglia” nella catena logistica dei missili balistici iraniani colpendo in particolare gli accessi ai depositi sotterranei di stoccaggio. “Se questi varchi vengono distrutti, la quantità di testate disponibili diventa irrilevante: senza accesso ai depositi i missili non possono essere utilizzati”.

@GianandreaGaiani

Foto: IDF, IRNA, Tasnim, TASS e Direzione Nazionale Intelligence USA,

Mappe: Luca Gabella e CSIS

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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